Mestieri di strada a Bologna: i venditori ambulanti di una volta

Mestieri di strada | i venditori ambulanti 1796 | 1927
Nel sito Storia e Memoria di Bologna è ora presente l’approfondimento dedicato ai Mistocchinai, orbini, stagnini e solfanari… tanti sono i lavori ormai dimenticati da più di un secolo. Ma qualcuno sopravvive ancora in occasione di fiere e feste di paese. Per approfondire attraverso testi, foto e documenti :
https://www.storiaememoriadibologna.it/mestieri-di-strada-i-venditori-ambulanti-2088-evento
Bologna, tranquilla e ascetica per eccellenza, coi portici lunghi e melanconici, ha perduto in un ventennio anche molte caratteristiche del suo popolo, delle sue genti, ed importanti tradizioni storiche si sono rincantucciate chissà dove. Oggi conserva ancora qualche costumanza, qualche macchietta e le eresie del suo dialetto masticato molto spesso maccheronicamente. (…) E così i mestieri della via hanno mutato un pò per le ineluttabili necessità del dopo guerra, un pò per trasformazione di molte cose.
Nei crocevia delle strade, nei vicoletti silenti e romiti, sotto i lunghi porticati, qualche tipica macchietta petroniana fa parte ancora della Bologna d’oggi. Altre figure sono scomparse e fanno parte della vecchia Bologna. I venditori ambulanti colle loro piccole industrie – vociatori e silenti – hanno disertato per imprescindibili esigenze del loro commercio, modificando anche il ritmo cadenzato e sonoro della voce dialettale. “La mistocchinara”, “la limonara”, “la marronara” ad esempio sono tre tipiche figure di strada. I caldi arrosti della “marronara” che oggi costano più dei manicaretti, olezzano dalla padella, scottanti e molte volte… crudi per un certo rispetto all’economia del carbone. I limoni e le arance che prima facevano comparsa strategica nelle ceste e nei panieri della fruttarola ambulante offerti ai passanti per due o tre “baioc” hanno cambiato residenza ufficiale e si trovano in permanenza nelle botteghe e nei mercati delle frutta e delle erbe. Il vero “mistocchinaio” bolognese è stato un tipo famoso, celebre più di tutti per la sonorità della voce e la caratteristica del suo aspetto nomade e ramingo. Con il bizzarro e stranissimo venditore di “bignè” Menini, morto da molti anni, si può dire che il “mistocchinaio” rappresentasse la stirpe di tutta la falange delle caratteristiche figurine della Bologna di ieri. Ora non lo vediamo più, nelle fredde sere d’inverno, col tradizionale lampioncino acceso alla mano, e la cesta di pasticcini di farina impastata e secca, sotto il braccio. Non basterebbero i sei baiocchi per comperare le mistocchine, mentre una volta il grido del “mistocchinaio” era di “sii al baioc al mistuchein” contrasto perfetto alla cadenza sonora del dialetto! Al contrario, si vede “il venditore di castagnacci alla pisana”, solito adunarsi davanti le scuole, o dove maggiormente si affollano le giovani scolaresche.

Pochi venditori ambulanti esistono ancora a Bologna, col carrello carico di erbe ortaggi e frutta, come pure è sparito il venditore di cipolle e barbabietole” cotte al forno e all’inferno, che udivamo sovente nella stagione della grande calura, gettare grida e richiami altissimi nel più perfetto accento bolognese. Rivive la figura del venditore di “paste, brustulli e passatempi”, una volta impenitente assiduo dei nostri Giardini Margherita, ma fanno parte della vecchia Bologna, il “sulfaner” e “al stagnein”, quello dei “bajuch matt” e il “venditore di sulfanein”. I mocciosi ragazzetti scalzi non cercano più per le vie le guscie dei meloni e lo “scarparo” accentua il ritmo della voce, ma ohimè non più quello di una volta!
Nelle costumanze, “l’organista”, delizia dei nonni e dei buongustai della musica, sembra anch’egli uniformarsi alla storia presente. Le canzonette popolari, le ariette napoletane di quando in quando echeggiano nella solitudine di qualche vicoletto, nelle vie più remote. Lo “spazzacamino” è quel personaggio che più fugacemente accoglie le vibrazioni atmosferiche dell’aria, rigida e invernale. Questa nera figura di montanaro ricoperta di fuligine, lancia il grido rauco del suo dialetto romagnolo e lascia le impronte dei suoi scarponi chiodati su la neve. Dalla mendicopoli è sparita una macchietta: “l’orbino”, dal fiammante pastrano rosso e col bussolotto fra le mani, sovente seduto su gli scalini delle Chiese e chiedere “la caritée signuréin!” i mercati e le fiere sono ancora in uso e restano forse l’unica consuetudine più in voga. Il rude carattere dei nostri campagnoli, pesanti e se vogliamo grotteschi, afferma una fisionomia tutta regionale. Essi perseverano a riunirsi all’ombra del palazzo dei Mercanti o verso l’angolo di Re Enzo e il Cantone dei Fiori. Alla Montagnola, ogni sabato vengono predisposte lunghe file di pancherelle riparate da un ampio ombrello verde e collocate simmetricamente. Quivi si forma la cosidetta “Piazzola” assai movimentata e ritrovo preferito per le compre e vendita delle piccole mercanzie. Alla fiera di S. Lucia sono allineati presepi e giocattoli di latta e di stagno, figurine di terra cotta, in mezzo a Santi e Madonne.

Ci resta ancora la scena zingaresca dei saltimbanchi da baracconi che prima tenevano le tende in piazza dell’8 Agosto ed oggi d’inverno stazionano nella vasta rotonda della Montagnola. Quivi è un centro di rumori, di animazione vivissima; giostre, altalene, musei, circhi equestri, cinematografi sono predisposti un pò dappertutto. Nel maggio, finalmente, viene celebrato il rito religioso per la B.V. di S. Luca. L’immagine è dal santuario portata in lungo corteo, tra due fitte ale di religiosi e sacerdoti, alla Metropolitana. La piazza maggiore nel dì della benedizione assume un aspetto coreografico, variopinto per moltitudine di popolo in preghiera. Bologna nottambula appare nella sua divisa medioevale, modernizzatasi alquanto nelle errate costruzioni stilistiche. La sua fisionomia à perduto quel senso di arcana bellezza, che racchiudeva tante caratteristiche notturne. Per questo la vita sembra tacere sotto i riflessi variopinti d’oro e d’argento della luna. Recandoci di notte sotto i suoi portici suggestivi, ma monotoni e freddi, rivediamo le vie strette da cui non fiocca che l’azzurro delle luci incerte di vecchi lampioni. Le pietre qua e là solcate di sempre verde, testimoni della storia secolare, oggi riflettono un nuovo mondo d’ironie e assurdità. I nottambuli sono incorreggibili e molte volte l’orologio di Piazza batte due tocchi prima che essi si ritirino a dormire.

**- Testo di Alberto Chappuis tratto da ‘Ieri e oggi, Bologna nella… via’, in ‘Bologna d’oggi – Rassegna illustrata mensile’. Anno I n. 4 agosto – settembre 1927. Tipografia Vighi & Rizzoli, Bologna.

Augusto Morelli in “Entra se hai sete”. Ricordi bolognesi di un bettoliere poeta” (Bologna, 1954) descrive una delle figure più celebri tra gli ambulanti del XIX secolo: “Menini, detto quel di bignè, era un venditore di focacce inzuccherate e talvolta inzaccherate, che appunto in un francese non controllato chiamava bignè”. Tale eccentrico personaggio, dal grosso naso paonazzo, girovagava per Bologna con una paniera allungata contenente la sua “merce” poggiata su un trabiccolo a due ruote. Spesso veniva preso in giro dai ragazzi di strada ed era anche noto alle forze dell’ordine. Finì in galera per avere accoltellato un uomo, colpevole -secondo lui- di aver causato la sua rovina economica.