S.Antonio abate, tra storia, leggenda e tradizioni

S. Antonio abate è una delle figure del cristianesimo  che  si porta dietro,  fino ai giorni nostri, una iconografia e una biografia in cui si mescolano elementi reali e immaginari, storia, leggenda, tradizioni arcaiche  pagane e altre successive  rivestite di simbologia cristiana.
Quanto alla storia vera, si prende come base quanto ne raccontò  un altro “padre della Chiesa”, Atanasio, patriarca e vescovo  di Alessandria d’Egitto (295-373) che ne tracciò una biografia. Da essa si desume che
Antonio nacque verso il 250 d.C . da una agiata famiglia di agricoltori nel villaggio di Coma (in altra fonte è scritto Eracliopoli), attuale Qumans in Egitto, e verso i 20 anni rimase orfano, con un ricco patrimonio da amministrare e con una sorella minore da educare.  Attratto dall’insegnamento evangelico “Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi, e sull’esempio di alcuni anacoreti che vivevano nei dintorni dei villaggi egiziani, in preghiera, povertà e castità , Antonio volle scegliere questa strada, e, venduti i suoi beni, affidò la sorella a  una comunità di vergini e  si dedicò alla vita ascetica, prima davanti alla sua casa e poi al di fuori del paese in una grotta  che ancora oggi è nota  e venerata, sul monte Colztum, vicino al mar Rosso.
Atanasio lo presenta come un uomo di una “saggezza divina, pieno di grazia e di urbanità, benchè fosse illetterato ….. acquisì la sua fama non con i suoi scritti, nè con la sapienza di questo mondo o con un’arte qualunque, ma unicamente con il servizio di Dio”.
Riassumendo, si sa  che viene considerato il fondatore del monachesimo eremitale (cioè¨ solitario) orientale cristiano, anche se poi fondò una comunità , prima a Fayum poi nel Pispir.
Appoggiò il vescovo amico  Atanasio nella lotta contro l’arianesimo. Morì ultracentenario, nonostante le privazioni e le sofferenze  cui si sottopose per combattere tutte le tentazioni, nel suo eremo, il 17 gennaio dell’anno 356. Da questa data di morte discenderebbe quindi la decisione della Chiesa di dedicargli quel giorno in calendario.
Non è ben chiaro perchè poi, dopo la sua morte, S. Antonio sia diventato famoso come protettore degli animali domestici della fattoria contadina, e per questo venerato in modo particolare da tutti i contadini, che ne tenevano una immagine sulla porta della stalla e del porcile. Immagine che ritraeva il santo  con l’immancabile maialino accanto, oltre ad altri animali, con in mano una croce, spesso croce a T,  o Tau, o con un bastone da pellegrino con un campanello appeso.

Da qui poi la sua protezione è stata rivendicata anche da tosatori, macellai , salumieri e altre categorie di artigiani che lavoravano parti del maiale. Ma veniva invocato anche da fucilieri, confettieri, fabbricanti di stoviglie, panierai (perchè si racconta che intrecciasse cestini) e persino dai becchini (perchè si racconta si sia occupato di dare assistenza e sepoltura cristiana  ad un vecchio eremita come lui.

Considerato anche protettore dagli incendi, e quindi non mancava mai nei santini a lui dedicati anche l’immagine del fuoco. La sua protezione era pure invocata per guarire dall‘herpes zoster, detto appunto, fuoco di S. Antonio. Altari dedicati a  S. Antonio abate,  dipinti o statue, ci sono in tutte le chiese. E’ tradizione diffusa la benedizione di animali, portati sul sagrato della chiesa il giorno della festa di S. Antonio. In provincia di Napoli c’è pure un comune che porta il suo nome, S. Antonio abate, e celebra la sua Fiera annuale proprio in questi giorni (vedi il volantino in alto).

La vigilia della festa usava poi fare falò, in onore del santo, per scacciare maledizioni e ricordare un altro episodio leggendario che riferiva di un fuoco sottratto al demonio da Antonio stesso  dopo una lotta vittoriosa contro il grande tentatore che lo tormentava. Cene a base di carne di maiale, accompagnate da libagioni se ne facevano, e se ne fanno tuttora, un po’ dovunque nelle località  di forte tradizione agricola.
Per l’occasione ai bambini poteva arrivare qualche modesto regalino in dolciumi fatti in casa,  o frutta, a integrazione e seguito di una povera  Befana.  Quanto tutto questo c’entri con la vita ascetica  del santo e perchè si siano affermate e consolidate queste tradizioni, è materia di studio storico-antropologico. Stando alle ricostruzioni di alcuni  studiosi e ricercatori in materia, pare che  l’accostamento tra la figura dell’eremita Antonio e il maiale, sia dovuto ad una coincidenza temporale tra la data della sua morte e precedenti feste pagane  agricole che si tenevano abitualmente verso la fine di gennaio.

Nell’antica Roma la fine di gennaio era contrassegnata da ricorrenze e cerimonie atte a purificare gli uomini e gli animali, i campi, per propiziarsi gli dei affinché permettessero il regolare rinnovamento delle stagioni. Alle fine di gennaio si tenevano le Ferie sementine, durante le quali si procedeva alla lustrazione, cerimonia di espiazione e purificazione, dei campi e degli abitati rurali offrendo alle dee Terra e Cerere ( la prima accoglieva  i semi in seno e la seconda  li faceva germinare), un intruglio di latte e mosto cotto, il farro che costituiva un dono usuale, e
sacrificando una scrofa gravida. Le giovenche  venivano inghirlandate con corone di fiori. Come racconta Ovidio nei Fasti, le due dee dovevano essere  placate con il sangue della scrofa, e si ponevano ogni anno i doni per loro sui rustici altari. All’inizio della evangelizzazione, all’interno della nuova fede si sono innestate le usanze della religione precedente, per far proseliti e per non perdere completamente le proprie  consuetudini, cosicchè i riti pagani della benedizione dei campi e degli animali sono trasmigrati nel cristianesimo in occasione della ricorrenza di S. Antonio

Perchè tanta attenzione per  il maiale, che per i cristiani (ma soprattutto per ebrei e musulmani) era simbolo del male? Secondo gli studiosi, all’inizio si trattava di un cinghiale, attributo del dio celtico Lug, venerato in Gallia ma che compare anche nelle saghe irlandesi, ritratto come un giovane che tiene tra le braccia questo animale. Lug era il dio del gioco e della divinazione, era colui che risorgeva con la primavera, figlio della Grande Madre celtica cui erano consacrati i cinghiali e i maiali come alla romana Cerere. I celti lo tenevano in gran conto, tanto è vero che  portavano l’emblema di un cinghiale sugli stendardi e il simbolo sugli elmi. Non solo, sui corti capelli stendevano una poltiglia di gesso perché, irrigidendosi, rassomigliassero alla cotenna dell’animale. I sacerdoti celtici, i druidi, erano chiamati Grandi Cinghiali Bianchi, nelle leggende si racconta della caccia al cinghiale immortale per togliergli un pettine e una forbice che si trovavano fra le sue orecchie.
Poiché le reliquie del santo erano giunte in Francia portate da un crociato, si diffusero due leggende per cristianizzare gli emblemi, la prima racconta che il cinghiale-maiale fosse il diavolo sconfitto da Antonio resistendo alle tentazioni, la seconda dice che un giorno il santo guarì un maialino e da quel momento questi lo seguì fedele come un cane. E il maiale diventò un privilegio dei Fratelli Ospedalieri di sant’Antonio, fondati nel 1600, che potevano allevarlo per nutrire gli ammalati che accorrevano alla chiesa di Saint-Antoine-de-Viennoi a alla Motte-Saint-Didier, dopo che si era sparsa la voce che attribuiva al santo la facoltà di guarirel’herpes zoster, grazie al suo dominio sul fuoco.

Insomma le ipotesi sono tante e un po’ confuse. Il fatto certo è che il maiale è stato per secoli un animale provvidenziale e fondamentale  per l’alimentazione della povera famiglia contadina, in Italia del nord e del sud, come in Francia e altre parti d’Europa, e andava protetto da tutte le possibili benedizioni  divine  o pagane che fossero, secondo gli usi e i costumi del proprio tempo, mescolando fede e superstizione.

A S. Antonio sono dedicati anche vari proverbi popolari, legati agli andamenti stagionali o  derivati dalle leggende di cui sopra.

Magda Barbieri

– Per ulteriori informazioni, vedi:

 wikipedia , www.arcobaleno.net , www.santiebeati.it,  www.primonumero.it

Spunti bibliografici su Sant’Antonio Abate a cura di LibreriadelSanto.it 

  • Pesenti Graziano, Sant’Antonio Abate. Padre del monachesimo, Elledici, 2009 – 48 pagine
  • Antonio Abate (sant’), Antonio e i Padri del deserto. Invito alla lettura, San Paolo Edizioni, 1999 – 94 pagine

  • Antonio Abate (sant’), Secondo il vangelo. Le venti Lettere di Antonio, Qiqajon Edizioni, 1999 – 232 pagine

  • Atanasio (sant’), Antonio Abate (sant’), Vita di Antonio. Detti, lettere, Paoline Edizioni, 1995 – 316 pagine

  • Roberto Olivato, Sacrari, santi patroni e preghiere militari, Edizioni Messaggero, 2009 – 312 pagine

  • Benedetto XVI, I santi di Benedetto XVI. Selezione di testi di Papa Benedetto XVI, Libreria Editrice Vaticana, 2008 – 151 pagine

  • F. Agnoli, M. Luscia, A. Pertosa, Santi & rivoluzionari, SugarCo, 2008 – 184 pagine

  • Ratzinger J., Santi. Gli autentici apologeti della Chiesa, Lindau Edizioni, 2007 – 160 pagine

  • Maria Vago, Piccole storie di grandi santi, Edizioni Messaggero, 2007 – 64 pagine

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  • Piero Lazzarin, Il libro dei Santi. Piccola enciclopedia, Edizioni Messaggero, 2007 – 720 pagine

  • Lanzi Fernando, Lanzi Gioia, Come riconoscere i santi e i patroni nell’arte e nelle immagini popolari, Jaca Book, 2007 – 237 pagine

  • Mario Benatti, I santi dei malati, Edizioni Messaggero, 2007 – 224 pagine

  • Sicari Antonio M., Atlante storico dei grandi santi e dei fondatori, Jaca Book, 2006 – 259 pagine

  • Dardanello Tosi Lorenza, Storie di santi e beati e di valori vissuti, Paoline Edizioni, 2006 –
    208 pagine