Palazzo Fontana. Storia di un palazzo e dei suoi proprietari. Alberto Tampellini

** Testo tratto dal libro  Le dimore dei signori, Marefosca edizioni, 2004. Per gentile concessione dell‘autore, Alberto Tampellini, e dell’editore, Floriano Govoni, possiamo conoscere le storie dei proprietari, del palazzo e della tenuta.
– La
Villa o Palazzo Fontana,
nel territorio di
San Matteo della Decima,è uno dei complessi rustico-residenziali più interessanti delle nostre campagne, anche se praticamente sconosciuto e attualmente in avanzato stato di degrado architettonico e strutturale. Contrariamente a quanto credono molti abitanti della zona, il suo nome non deriva dalla famiglia Fontana bensì dalla presenza di una vera e propria fonte d’acqua che sgorgava nei pressi (1). La denominazione “Fontana” indica inoltre anche la vasta tenuta agricola circostante, che si è costituita nel corso di secoli a partire dalle prime acquisizioni di terreni compiute nella zona da Ercole, figlio Leggi Tutto

Balene sull’Appennino bolognese e mammut nel ferrarese: fossili di casa nostra

Che nella nostra Regione , tra Reno e Po , dall’Appennino al mare Adriatico attuali , vi abbiano abitato
Etruschi, Celti e Romani è fatto assodato, documentato da migliaia di reperti, e noto a tutti, dagli studenti delle elementari  agli adulti pur modestamente informati di storia.
Ma forse ancora pochi sanno che in quest’area , molto tempo prima della comparsa dell’uomo, e anche dopo, nell’acqua del mare preesistente ci sguazzavano le balene e tante creature marine dall’aspetto e dai nomi esotici; e poi, sulla terraferma via via consolidatasi nel tempo, correvano mammuth e
rinoceronti lanosi, leoni delle caverne e bisonti delle steppe.
Non è¨ fantascienza , o pura teoria deduttiva, ma quanto risulta da recenti ritrovamenti di fossili e da studi supportati da analisi scientifiche, che hanno permesso di dare certezza a quelle che prima potevano essere solo supposizioni. Citiamo solo qualche esempio. Nel 1965 , sul versante sinistro della val di Zena, a Gorgognano , a pochi chilometri da Pianoro e ad est dell’antica via della Futa, sono stati ritrovati i resti di una balena fossile. Le operazioni di recupero e consolidamento dell’esemplare sono state effettuate dall’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bologna. Nei sedimenti che inglobavano le ossa della balena sono stati raccolti al momento dello scavo anche diversi macrofossili, in particolare lamellibranchi, gasteropodi e scafopodi.

 

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1914 – L’illuminazione pubblica a S.Giorgio di Piano passa dall’acetilene all’elettricità. Anna Fini

2014: CENTO ANNI DELLA
ILLUMINAZIONE ELETTRICA PUBBLICA A S. GIORGIO DI PIANO.
Ricerca
di Anna Fini
Esattamente 100 anni fa, nel
1
914, nel comune di San Giorgio di Piano si passava
dall’illuminazione pubblica a gas acetilene all’illuminazione
elettrica.
Ma come avvenne questo passaggio?
Nel lontano 1912 la SocietÃ
Elettrica di Bologna chiese d’iniziare le pratiche per
impiantare una rete di pubblica illuminazione elettrica a San
Giorgio. La Giunta, allora presieduta dal Sindaco
Gaetano Rossi, pensando che questo nuovo sistema fosse
più sicuro, più economico e più pratico rispetto al sistema sin a
quel momento utilizzato, affidò all’assessore Gaetano Tommasini
l’incarico di studiare l’argomento.
San Giorgio attraversava, in quegli
anni, uno “sviluppo dell’arte edilizia” con un aumento
delle dimensioni del paese che aveva reso l’impianto
d’illuminazione a gas acetilene insufficiente ed era quindi
indispensabile la sua estensione oppure la sua sostituzione con un
impianto a luce elettrica. Le due soluzioni vennero vagliate
dall’Amministrazione
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Incolato e Partecipanze Agrarie. Brevi note. Magda Barbieri.

In risposta ad una richiesta , pervenuta al nostro sito da parte di un lettore di Monaco che conosce l’italiano ed è interessato all’economia del centopievese crediamo sia utile spiegare  che “incolato” è vocabolo di antica origine e si riferisce all’obbligo di residenza per aver diritto alla divisione periodica dei “capi” (o parti di terreno) delle Partecipanze agrarie emiliane.
Ovviamente, per capire bene il significato di questo termine nel suo contesto, occorrerebbe conoscere, almeno per sommi capi, origine e organizzazione delle Partecipanze, ma è difficile  spiegarlo  in un testo di poche righe.

C’è una ricca bibliografia in materia , ma si tratta di pubblicazioni di storia locale che probabilmente non si trovano nelle biblioteche e nelle librerie all’estero; e anche in Italia, al di fuori dell’Emilia. Sommariamente, posso ricordare che le Partecipanze Agrarie tuttora presenti e attive in Emilia-Romagna sono 6 e si trovano nei Comuni di : Pieve di Cento (Bo), S. Giovanni in Persiceto-Decima (Bo),  S. Agata Bolognese (Bo), Medicina-Villa Fontana (Bo), Cento (Fe), Nonantola (Mo). Era importante e  attiva anche quella di Budrio (Bo), soppressa nel 1930 .
Tutte hanno lontanissime origini che risalgono al Medioevo, tra XI e  XII secolo nella prima formulazione, e , sia pur con regole e storie parzialmente diverse, si può dire che derivano tutte da concessioni , fatte da Abati o Vescovi con poteri feudali, alle popolazioni locali, di vaste aree di terreni paludosi o boschivi da bonificare e coltivare; aree assegnate in proprietà  comune e in perpetuo ai capifamiglia del luogo e ai loro discendenti maschi, da suddividere e scambiare periodicamente tra essi, con il divieto assoluto di alienazione o di trasformazione in proprietà  privata dei singoli Partecipanti.
Ogni Partecipanza è regolata da antichi e complessi Statuti, che sono stati nel corso dei secoli solo in parte modificati e aggiornati, ma che conservano alcune regole basilari immutate nel tempo. Una di queste regole è appunto quella dell“incolato”, che sancisce  l’obbligo di residenza ininterrotta e continuativa del Partecipante  nel territorio di competenza della sua  Partecipanza,  per almeno 2 anni prima dell’inizio delle operazioni di divisione dei terreni e di assegnazione dei “capi”. Assegnazione che viene fatta  ogni 20 anni per alcune Partecipanze, o ogni 9  per altre.

Va ricordato anche che il diritto all’appartenza ad un Partecipanza è riservato solo agli uomini che portano determinati cognomi e sono sicuramente discendenti da quel primo nucleo di famiglie che beneficiarono della prima concessione. Ed è proprio grazie a questa regola che certi cognomi sono diffusissimi in questi comuni (basta consultare l’elenco telefonico…) e pochi dei cognomi originari sono estinti.
Questa singolare istituzione di proprietà fondiaria comunitaria, pur essendo circoscritta  in alcune aree e con “capi” di modesta estensione, ha avuto ed ha tuttora un ruolo rilevante per l’economia agricola e per il contesto sociale delle località   in cui si trovano le Partecipanze. Ed è anche molto sentito e coltivato l’interesse per la conservazione delle memorie storiche, delle tradizioni e della storia locale.

(*) Nella foto sopra, una antica tipica casa della Partecipanza di Cento, ristrutturata e diventata sede di Museo dell’istituzione

 Magda Barbieri                  

La torre “Conserva”. Agonia di un edificio. Franco Ardizzoni

La torre Conserva è un edificio di fine Quattrocento o inizi Cinquecento, che si scorge sulla sinistra percorrendo la strada S.Alberto, da S.Pietro in Casale verso S.Vincenzo, appena dentro il territorio di Galliera ed è posta al n. 5 della omonima via Torre. E’ una casa-torre sviluppata su tre piani dell’altezza complessiva di circa 18 metri e con una base leggermente rettangolare di circa  mt.8×6, ai cui lati sono state addossate due ulteriori costruzioni .
Costruita probabilmente dai Malvezzi, antica famiglia senatoria bolognese, i quali nel XV secolo,  possedevano molte terre nella zona a partire da S. Alberto (oggi in comune di S. Pietro in Casale), attraversando parte del comune di Galliera, e verso il territorio ferrarese fino alla località  Raveda, nei pressi di Mirabello.

Allora il fiume Reno non aveva l’attuale percorso, ma da S. Agostino proseguiva verso nord immettendosi nel Po all’altezza di Porotto ed il territorio bolognese arrivava fino alla torre Verga (oggi non più esistente) appunto vicino all’attuale Mirabello, per cui i Malvezzi potevano  coltivare ed amministrare le loro terre senza troppi impedimenti, non avendo l’ostacolo del fiume.

La torre si trova a poca distanza dal Palazzo della Tombetta, villa padronale costruita dalla stessa famiglia e sede della tenuta Tombetta, un vasto tenimento di 570 tornature che nel 1801 Francesco e Giuseppe Malvezzi vendettero ad Antonio Aldini e che nel 1812 andò a far parte del Ducato di Galliera.
Nella carta della pianura bolognese, pubblicata da Andrea Chiesa nel 1740-42, la torre è indicata con il nome Malvezzi, ma in altre pubblicazioni più recenti viene nominata come torre Conserva, come Tombetta o come Raffia Vecchia, anche se questo nome si riferisce al podere di fronte ad essa, dall’altro lato della strada. Infatti in documenti conservati presso l’archivio parrocchiale di Galliera a metà  Ottocento sono indicati il predio Conserva, che è quello in cui si trova la torre, ed il Predio Graffia, cioè quello di fronte.
La Torre, che fino a metà  degli anni settanta era ancora intatta e discretamente conservata (vedi foto), si trova oggi purtroppo allo stato di rudere e la sua sorte appare irrimediabilmente segnata. Con gli oltre quattro secoli di vita, durante i quali avrà  sopportato ogni sorta di violenza, di trasformazioni e di ricostruzioni, resistendo a guerre ed alluvioni, ha ora dovuto arrendersi allo stato di abbandono ed all’incuria, così  come succede a molte case di campagna che, non essendo più abitate, crollano su se stesse come funghi troppo maturi. Infatti la parete nord è  ormai completamente crollata, portandosi nel crollo metà  della torre in senso verticale, mentre la parete sud, che rappresenta la facciata principale, risulta ancora miracolosamente intera, ma manca ormai del tetto, e lascia intravedere i tamponamenti eseguiti in chissà  quali momenti della sua storia. Così si può osservare che, sulla sinistra, vi era un’ampia apertura fra il secondo ed il terzo piano ed un’altra esisteva oltre il terzo.

Sulla destra della facciata, sempre fra il secondo ed il terzo piano, ma più in alto di quella di sinistra,  è ben visibile un’apertura ad arco, identica a quella della porta al piano terreno e sulla stessa linea verticale.
Nella parete principale della torre esistono tre finestre, di cui due hanno doppio battente mentre la terza (fatto curioso) ne  ha uno soltanto.
Le finestre sulle due costruzioni laterali non sono sulla stessa linea di quelle della torre ed anche le dimensioni sono differenti. Evidentemente sono state fatte in periodi diversi.
Sulla facciata è ancora presente lo stemma del Ducato di Galliera, creato da Napoleone Bonaparte nel 1812, di cui la torre ed il terreno circostante hanno fatto parte.
Nella Pianta Generale delle terre del Ducato di Galliera, stampata in Francia nel 1823, a proposito del toponimo Tombetta vengono indicate risaie e magazzini di riso, mentre per quanto riguarda la Conserva sono segnalati terreni arativi, piantate di alberi e vigne.
Nel 1919 l’allora duca di Galliera, don Antonio d’Orleans, vendette le terre del Ducato a Gino Lisi, che le acquistò per conto della Società Anonima Imprese e Conduzioni Agricole di Roma, la quale nel 1926 le cedette a Silvio Bignetti, a Giacomo Migliorati ed ai fratelli Tosoni in ragione di un terzo ciascuno. Nel 1935 i fratelli Brenno ed Enea Venturi acquistarano dagli eredi di Silvio Bignetti la tenuta di cui facevano parte la Tombetta e la torre Conserva.  Nel 1956 furono vendute ad acquirenti diversi.

Questa torre, come altri edifici simili, si può dire sia vittima del benessere e del progresso. Infatti fino a quando era abitata da famiglie di modeste possibilità , che si scaldavano con il camino o con una stufa messa nella cucina e mettevano nel letto il “prete” (apposito telaio per contenere il braciere detto suora perchè nelle camere c’erano delle fessure dove poteva passare un dito, che lasciavano entrare degli spifferi  di aria gelida, la manutenzione dello stabile veniva fatta regolarmente. Il proprietario riscuoteva la pigione per cui poteva investirne una parte per i lavori più grossi, come la sistemazione del tetto. Lo stesso inquilino aveva interesse a che tutto fosse in ordine e stava attento che non entrasse l’acqua perchè poteva far marcire le travature in legno. Ma quando le condizioni economiche delle famiglie sono migliorate i loro componenti hanno preferito trasferirsi in abitazioni moderne, con l’acqua in casa ed il riscaldamento in tutti gli ambienti. Cosicchè le vecchie case sono rimaste disabitate ed i proprietari, non potendole più affittare perchè non più a norma con le leggi attuali e non potendo o non volendo fare ristrutturazioni, sicuramente molto onerose, le hanno abbandonate al loro destino, per cui nel giro di qualche decennio sono andate in malora.
Franco Ardizzoni  

Foto: La torre Conserva nel 1995 (foto di F. Ardizzoni)

Appunti dall’incontro tra Gruppi di studio di storia locale

E’ stato un incontro interessante e proficuo quello svoltosi il 10 maggio 2008 presso Villa Smeraldi  Museo della civiltà  contadina di S. Marino di Bentivoglio,  sotto il titolo “La cultura locale in una società  sempre più multietnica e globale. Esperienze a confronto”, con la partecipazione dei rappresentanti di una decina di Associazioni che si occupano di storia locale e tradizioni in vari comuni del bolognese e del ferrarese dell’area intorno al Reno. A organizzarlo è stato il nostro Gruppo di Studi della pianura del Reno, che, per bocca del suo presidente, Magda Barbieri, ha spiegato i motivi dell’iniziativa: innanzitutto la conoscenza reciproca e un primo scambio di informazioni sulle rispettive attività e situazioni in cui si trovano le singole associazioni o persone, che spesso operano e sono conosciute solo entro il ristretto ambito dei confini comunali, quando meriterebbero di essere conosciute anche oltre questi confini.
In secondo luogo, capire se ci possono essere
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Il mulino di Malalbergo. Dino Chiarini e Giulio Reggiani

Sulla via Nazionale, proprio in centro a Malalbergo, a pochi passi sia dal
Municipio (alla sua sinistra) che da Palazzo Marescalchi (alla sua
destra), sorge un palazzone adibito a Centro Commerciale.
Però tutti sanno che lì, tempo fa, c’era il mulino.
Parecchi
abitanti ne serbano ancora memoria e per questo ricordo non importa
scomodare i soliti “anziani”. Tuttavia questa reminiscenza
riguarda l’
edificio
(alto, imponente, con il suo lato ovest a forma semicircolare) ma non
l’
opificio
vero e proprio nella sua attività originaria della molitura: e ciò
in quanto le macine cessarono il loro nobile lavoro circa
sessant’anni fa (1).
Ma
ci vengono spontanee due domande: che cos’è il mulino e perché ha
questo nome? In verità il mulino è uno strumento che produce un
lavoro meccanico, derivante dallo sfruttamento di una forza, sia essa
l’energia elettrica,
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I Caduti di Baricella nella “Grande Guerra” 1915-1918. Paolo Antolini

Seconda Parte della  ricerca storica  dello studioso locale Paolo Antolini, condotta su documenti d’archivio, in Baricella e a Bologna, integrata da numerose fotografie di persone e luoghi di guerra.

Trattandosi di opera complessa con parti fotografiche non trasferibili sul sito, abbiamo inserito qui  i capitoli, con tutte le  informazioni  e dati sui prigionieri di guerra e su tutti  gli uomuni   di Baricella richiamati , distinti per classi di leva e con indicazioni sulla loro destinazione e sorte.

 

Per leggere i testi, clic su Allegati-

*NB. Allegati ora non più leggibili per impedimenti tecnici. Contattare l’autore

Pattuglie cittadine dell’Ottocento

Pattuglie cittadine, ronde, “City Angels se ne fa un gran parlare di questi tempi. Ma l’idea non è nuova, anzi, ci hanno già provato a metterla in pratica , e più di una volta, anche nell’Ottocento; e i risultati allora non furono brillanti. Almeno a giudicare da quanto è emerso da una ricerca storica condotta su Castello d’Argile e il suo contesto bolognese (*). Se ne trova una prima citazione intorno al 1830. Si era nello Stato Pontificio della Restaurazione post- napoleonica e pre-risorgimentale. La situazione economica e sociale era difficilissima, la povertà diffusa. I furti nelle case di paese e di campagna erano frequenti e frequenti erano anche le aggressioni a mano armata (di coltello o di archibugio) di notte nelle case e per le strade. Si rubava di tutto, denaro – quando se ne trovava – ma anche tanti polli, maiali, biancheria, salumi,
foglie di gelso, pannocchie di frumentone, grano, uva , vino, canapa già lavorata , pecore e  bovini, attrezzi da lavoro e persino utensileria domestica . Di fronte a questo stillicidio , la “Magistratura” di Argile (così si chiamava la Giunta che amministrava il Comune allora),
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