Balene sull’Appennino bolognese e mammut nel ferrarese: fossili di casa nostra

Che nella nostra Regione , tra Reno e Po , dall’Appennino al mare Adriatico attuali , vi abbiano abitato
Etruschi, Celti e Romani è fatto assodato, documentato da migliaia di reperti, e noto a tutti, dagli studenti delle elementari  agli adulti pur modestamente informati di storia.
Ma forse ancora pochi sanno che in quest’area , molto tempo prima della comparsa dell’uomo, e anche dopo, nell’acqua del mare preesistente ci sguazzavano le balene e tante creature marine dall’aspetto e dai nomi esotici; e poi, sulla terraferma via via consolidatasi nel tempo, correvano mammuth e
rinoceronti lanosi, leoni delle caverne e bisonti delle steppe.
Non è¨ fantascienza , o pura teoria deduttiva, ma quanto risulta da recenti ritrovamenti di fossili e da studi supportati da analisi scientifiche, che hanno permesso di dare certezza a quelle che prima potevano essere solo supposizioni. Citiamo solo qualche esempio. Nel 1965 , sul versante sinistro della val di Zena, a Gorgognano , a pochi chilometri da Pianoro e ad est dell’antica via della Futa, sono stati ritrovati i resti di una balena fossile. Le operazioni di recupero e consolidamento dell’esemplare sono state effettuate dall’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bologna. Nei sedimenti che inglobavano le ossa della balena sono stati raccolti al momento dello scavo anche diversi macrofossili, in particolare lamellibranchi, gasteropodi e scafopodi.

 

Nei pressi dello scheletro, 20 cm sotto il piano di giacitura, venne ritrovato inoltre, a testimoniare la presenza di altri vertebrati marini trasportati dalle correnti, una spina caudale di Batoideo (pesce di specie affine alle torpedini e alle razze). Oltre ai resti di origine marina, sono stati trovati detriti di ambiente continentale derivati dall’apporto fluviale successivo: numerosi frammenti di legno e due strobili di pino ben conservati. Tutti i ritrovamenti succitati testimoniano la presenza di un ambiente marino costiero o poco profondo. La balena ritrovata potrebbe essere arrivata in quel punto per spiaggiamento. Il suo corpo sarebbe poi stato ricoperto molto lentamente da sedimenti, permettendo così la formazione di incrostazioni di bivalvi. La balena fossile della Val di Zena è ora esposta al Museo di Geologia e Paleontologia dell’ Università di Bologna, intitolato a Giovanni Capellini (vedi sito relativo su internet).

Per legare la sua immagine al luogo d’origine e di ritrovamento, recentemente a Gorgognano (Pianoro) è stata esposta una scultura. realizzata dagli studenti dell’Accademia delle Belle Arti coordinati da Davide Rivalta, che riproduce, a grandezza naturale (vedi foto accanto), la conformazione della balena come doveva essere da vivente … si presume circa due milioni di anni fa, nell’era geologica detta del Pliocene.

Scultura che ricorderà per sempre ai turisti della Val di Zena che circa 15 km a monte dell’attuale Via Emilia , due milioni di anni fa o giù di lì,
arrivava il mare: una spiaggia tropicale era il panorama che si offriva agli occhi di chi oggi invece si perde davanti alla vista di colline e piccole valli fiorite. C’era un paesaggio popolato di balene e mastodonti là dove oggi si viene a funghi o per arrampicarsi sulle pendici collinari in sella a una bici.
La Val di Zena, a circa una ventina di chilometri da Bologna, si conferma così una delle zone archeologiche e paleontologiche più importanti di Italia. Tra l’altro, ricordiamo di aver visto in località Lagune di Sasso Marconi, presso un agriturismo denominato, guardacaso, “Le conchiglie”, numerosi frammenti di roccia costellati da conchiglie fossili.

Ed è anche da ricordare che a S. Lazzaro di Savena c’è da alcuni anni il Museo della Preistoria “Luigi Donini” che, per rievocare e illustrare quel lontanissimo passato, ha ricostruito alcuni esempi di paesaggio e animali molto suggestiv
Se dalla collina ex marina scendiamo nella pianura tra Po, Panaro e Reno, possiamo riferire che nel 1997 a Settepolesini, frazione del Comune di Bondeno (Alto ferrarese confinante col Centese), nel corso dei lavori di estrazione di sabbia nella locale cava (attiva dal 1984), emerse dapprima un grande osso che rimase incastrato tra le pale dell’escavatrice. Fortunatamente non sgretolato dalla macchina, fu subito portato presso la Facoltà di Geologia dell’Università di Ferrara per scoprirne l’origine e l’appartenenza. Gli studi fatti sul reperto dimostrarono che si trattava indiscutibilmente di un frammento del bacino di un Mammut.

La scoperta evidenziò che ci si trovava in presenza di un importante sito archeologico che riportava la storia del luogo indietro di decine di migliaia di anni. Ma i lavori di escavazione della sabbia continuarono , per le abituali esigenze di materiale edilizio, non essendo possibile, per varie ragioni economiche e logistiche, attivare una campagna di scavi scientificamente mirata , a 20 metri di profondità , in un bacino di acqua torbida e limacciosa. La pompa aspirante dell’escavatrice si bloccò poi molte altre volte riportando alla luce ossa di animali risalenti a varie epoche storiche e a specie diverse, che furono quindi recuperate e studiate. Si tratta di ben 550 reperti per la cui datazione ci si è rivolti alle
Università di Oxford e di Miami dotati di strumenti per l’esame di radiometria al carbonio e di spettrometria di massa; apparecchiature, non disponibili in Italia , che offrono le maggiori garanzie di precisione .

 

Si è saputo così che le ossa appartenevano a specie antichissime che popolavano le aree
della nostra pianura in periodi storico-geologici differenti: leone delle caverne, mammuth, orso bruno, alce, megacero (cervo gigantesco primordiale), rinoceronte lanoso ( animale
rarissimo in Italia, di cui si ha un solo reperto)
, bisonte delle steppe e cinghiali.
I resti studiati sono stati datati
fino a 51.000 anni fa. I più antichi sono quelli del megacero e del rinoceronte lanoso, che
risalgono al periodo detto
“Wurmiano medio” (da 50.00 a 25.000 anni fa circa ), già caratterizzato dalle presenze in nord Europa e Irlanda di queste specie, oltre a quelle dei mammuth. Il bisonte è dato presente nel “Tardoglaciale “, periodo terminato circa 13.500 anni fa.
Sono venuti alla luce anche resti di uomini e animali domestici, che risalgono però all’Età Romana.

I ritrovamenti di Settepolesini hanno quindi permesso di ricostruire le condizioni dell’ambiente e del clima nelle diverse epoche in base agli animali che la popolavano, giungendo alla conclusione che nel “Wurmiano medio” l’area dell’alto ferrarese presentava condizioni climatiche e ambientali proprie della “steppa-taiga” (pensare a quella russo-siberiana), caratterizzata da temperature rigide e piuttosto umide che favorivano la presenza di  vaste foreste di larici e betulle.

Federica Barotti ( la studiosa dal cui articolo pubblicato su “Realtà Centese” di qualche tempo fa abbiamo tratto le informazioni sui ritrovamenti di Settepolesini) indica anche uno scenario inedito, e immagina una pianura padana più estesa di quella odierna, che arrivava fino
ad Ancona e si congiungeva alla ex-Jugoslavia. Rileva infatti la somiglianza dell’area adriatica con il bacino pannonico come segno della passata contiguità delle due aree, evidenziata anche dai ritrovamenti delle comuni specie animali e vegetali, diverse da quelle dell’area tirrenica.

La concentrazione di fossili a Settepolesini , rispetto ad altri ritrovamenti sparsi di specie simili in tutta la pianura padana,viene spiegata con i ripetuti sollevamenti tettonici della “dorsale ferrarese”, con conseguenti deviazione dell’alveo del fiume Po, creazione di nuovi rami e di
punti di stanca su cui si accumulavano carogne di animali trasportati dalla corrente fluviale . Settepolesini fu probabilmente a lungo uno
di questi punti di stanca.

Ora la cava di Settepolesini è diventata un’Oasi naturalistica, con laghetto, flora e fauna tipiche
delle zone umide. L’Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia Romagna ha in programma di valorizzare i ritrovamenti fossili facendo ricostruire gli animali più importanti rinvenuti,creando nell’ambito dell’Oasi un vero e proprio museo che potrebbe essere di grande interesse e fascino.
Ma, al momento, si è ancora in attesa e speranza di necessari finanziamenti Europei.

Nel dicembre 2007 e fino al marzo 2008 , presso Palazzo Turchi di Bagno, a Ferrara, è stata allestita una mostra intitolata “C’era una volta il Glaciale. Settepolesini racconta. Storie di 50.000 anni fa” a cura dell’Università di Ferrara.

Come termine di raffronto in proposito, è da leggere anche un articolo di Stefano Porcellotti e Roberto Fondi, intitolato “La Palentologia nel territorio Aretino: Importanza dei giacimenti fossiliferi di Arezzo”, pubblicato sul sito
 www.arezzocitta.com/arezzo/Turismo/pagine/storia/preistoria/Preistoria.htm ; articolo che segnala la presenza di resti fossili delle stesse
specie animali ritrovate a Settepolesini, e colà attribuiteal
“Tardo-medio Pleistocene”; i ritrovamenti più significativi sono ospitati nei Musei di Firenze e di Montevarchi (Siena).

 

Anche i “cugini” francesi hanno voluto valorizzare il patrimonio paleontologico proprio e altrui con una mostra realizzata a Parigi nel 2004 . Sotto il titolo “Au temps de mammouths”
(
Al tempo dei mammuth) hanno esposto, tra l’altro, un esemplare di Mammut trovato congelato
in Siberia.
Apparsi circa 500.000 anni fa, i pachidermi si estinsero misteriosamente 10.000 anni orsono, al termine dell’ultima grande glaciazione. Nell’isola di Wrangel (nell’oceano artico, 850 Km a nordovest dello stretto di Bering nel mare di Chukchi) una specie particolare di mammut sopravvisse addirittura fino a 4.000 anni fa.

 

I mammut lanosi (Mammuthus primigenius) convissero dunque a lungo con gli uomini di Neandertal (apparsi 100.000 anni fa, scomparsi 30.000 anni orsono) e con gli uomini di Cro-Magnon (Homo sapiens sapiens, apparsi 35.000 anni fa).

Per gli uomini del Paleolitico i mammut rappresentavano esseri mitici, straordinari: li dipingevano sulle pareti di grotte-santuario, come la grotta di Rouffignac in Dordogna (158 raffigurazioni di pachidermi); con le loro ossa gigantesche costruivano abitazioni, si nutrivano della loro carne (un mammut adulto pesava 5 tonnellate) e con l’avorio delle zanne scolpivano meravigliose statuette femminili, collane, armi, oggetti funerari e
strumenti destinati alla vita quotidiana (*).

 

Sintesi da testi vari  a cura di Magda Barbieri

 

(*) vedi il sito  www.mnhn.fr/exposition e l’articolo del Corriere della sera del 22 marzo 2004 che ne
riferiva , a firma di Lucia Simion, con relative foto della mostra parigina qui riprodotte