Pattuglie cittadine, ronde, “City Angels“ … se ne fa un gran parlare di questi tempi. Ma l’idea non è nuova, anzi, ci hanno già provato a metterla in pratica , e più di una volta, anche nell’Ottocento; e i risultati allora non furono brillanti. Almeno a giudicare da quanto è emerso da una ricerca storica condotta su Castello d’Argile e il suo contesto bolognese (*). Se ne trova una prima citazione intorno al 1830. Si era nello Stato Pontificio della Restaurazione post- napoleonica e pre-risorgimentale. La situazione economica e sociale era difficilissima, la povertà diffusa. I furti nelle case di paese e di campagna erano frequenti e frequenti erano anche le aggressioni a mano armata (di coltello o di archibugio) di notte nelle case e per le strade. Si rubava di tutto, denaro – quando se ne trovava – ma anche tanti polli, maiali, biancheria, salumi,
foglie di gelso, pannocchie di frumentone, grano, uva , vino, canapa già lavorata , pecore e bovini, attrezzi da lavoro e persino utensileria domestica . Di fronte a questo stillicidio , la “Magistratura” di Argile (così si chiamava la Giunta che amministrava il Comune allora), decise di istituire una “Guardia forense”, composta da cittadini volontari riuniti in pattuglia, che si alternavano in turni di guardia notturna. A dirigere il
“Corpo” era un possidente bolognese che risiedeva abbastanza spesso anche in Argile nel suo palazzetto padronale, ed era anche componente della “Magistratura” come “Aggiunto”. Sulle “guardie campestri” dipendenti comunali , di più antica istituzione, c’era poco da contare; si assentavano spesso e spesso erano loro stessi cause di risse all’osteria, in stato di ubriachezza.
Era stata istituita dalla Legazione di Bologna una “Colonna Mobile” di Carabinieri (a cavallo) che doveva perlustrare sistematicamente tutto il territorio bolognese, soprattutto nelle zone di confine più esposte; ma non furono di grande aiuto, né per la prevenzione, né per la repressione. Il territorio era troppo vasto e, al bisogno, i Carabinieri arrivavano sempre troppo tardi, quando il furto o l’aggressione erano già avvenuti e i ladri scappati. E non si trovavano quasi mai i colpevoli. Ma anche la nuova “Guardia Forense” fece fatica a funzionare. I volontari si stancavano presto; nei periodi dei raccolti nei campi ognuno doveva badare a casa propria a lavorare dall’alba al tramonto; e dover pure fare la
guardia di notte per le strade del paese e della campagna diventava un peso insostenibile.
Nel 1834 fu deciso, a livello di Legazione (perché il problema non era solo di Argile ma diffuso ovunque), di “militarizzare” il volontariato
locale, istituendo il Corpo dei “Volontari Pontifici“, composto, ad Argile, da 13 uomini , dotati di uniforme e di ordinamento gerarchico, con 1 sergente, 1 caporale, 1 tamburo e 10 “comuni”. Per solennizzare l’istituzione fu fatta una cerimonia di inaugurazione, con tanto di Messa e benedizione in occasione della festa del Santo Patrono, il 29 giugno. “Fu veramente di ammirazione il bel portamento e contegno dei militi in
questa loro prima comparsa ...” scrisse poi entusiasta il Segretario comunale nel Bollettino settimanale da inviare in Prefettura.
Ma le belle divise dei Volontari Pontifici non fecero gran paura ai ladri, che continuarono a rubare. Nel 1836 il Corpo dei volontari c’era ancora e ne era sergente un consigliere comunale nipote del Priore (carica simile a quella di Sindaco); ma non doveva essere molto attivo se il Priore dovette mandargli una sollecitazione scritta per segnalare le “quotidiane molestie” subite dalla gente della frazione Venezzano , da parte di “quelli di Pieve“, invitandolo a “perlustrare per impedire il danno”.
Negli anni seguenti questi volontari di Argile, come quelli degli altri paesi, non dovettero brillare per impegno e risultati se, nel 1843, il Governatore di Castel Maggiore, per porre un freno “al ladroneggio continuo” propose ed ottenne dalla Legazione di Bologna l’installazione stabile a S. Giorgio di Piano , in quanto “in posizione centrica”, di 1 carabiniere con funzione di capo e di un Corpo di volontari pontifici che dovevano perlustrare tutti i Comuni del Governatorato, a spese dei Comuni stessi (per pagar loro vitto , alloggio e “soldo giornaliero” ).
Guardia notturna” , a scapito delle precedenti voci di spesa previste per la beneficenza e assistenza ai poveri disoccupati. Inoltre, dal bilancio comunale bisognava anche sborsare altri 100 scudi come “regalo” al Governo centrale per l’acquisto delle armi per la “Guardia civica”.
Ma stavano maturando altri eventi politici straordinari , come la 1^ Guerra di Indipendenza (1848-49), e Argile, nel 1850, si ritrovò ad ospitare 8 militari del Distaccamento dei “Veliti Pontifici” acquartierati stabilmente. La Guardia Civica locale, istituita nel 1849 e posta sotto il controllo del Governatore, acquartierata nel nuovo fabbricato comunale adiacente Porta Pieve (allora sede municipale), aveva subito un grave smacco, ad opera di ignoti: la notte del 25 marzo 1850, festa dell’Annunziata, fu forzata la porta dell’edificio e furono trafugati 10 fucili, 1 carabina, i 10 “gibernini di latta” (gilet portacartucce) e le “patenti” in dotazione alla Guardia civica.
Quel “vergognoso scherno” indusse la Commissione comunale di Argile a chiedere al Commissario Pro-Legato di Bologna lo stanziamento permanente di almeno 6 militari perché, scrisse, “la Guardia civica locale aveva dato prova di stanchezza e svogliatezza”;”furti e Assassinamenti” erano sempre frequenti , e non solo a causa di malintenzionati dei “cattivi paesi di confine” (allusione a Pieve di Cento, ndr), “ma ora maggiormente si può sospettare esservi dei Malevoli anche in questo paese…” La richiesta fu subito accolta e il 21 aprile arrivarono gli 8 Veliti Pontifici che si insediarono in Argile . Ma l’ordine pubblico non migliorò, anzi si aggiunse qualche problema in più, perché questi gendarmi non certo selezionati con criteri di qualità , usavano metodi talmente vessatori e scorretti che finivano per arrestare bravi giovani solo per una frase pronunciata all’osteria, mentre lasciavano imperversare ladri e assassini. Inoltre, qualcuno teneva pure “tresche disoneste e vergognose con donne di perduti costumi”, prendeva soldi a prestito senza restituirli e dava altri simili cattivi esempi.
Ma anche dopo l’Unità d’Italia la situazione dell’ordine pubblico restava sempre difficile ad Argile, come altrove, nonostante fosse diventata stabile la presenza di una stazione di carabinieri, insediata nei locali sopra Porta Pieve, restaurati appositamente nel 1878 . Nel 1879 fu quindi deciso di riattivare le “pattuglie cittadine“, su sollecitazione della Prefettura, che raccomandava però al Comune di servirsi di benemeriti cittadini, badando nella scelta di “preferire la qualità alla quantità ” degli uomini . Nel 1879 i raccolti erano in parte “falliti”, si prevedeva un inverno duro per mancanza di generi alimentari e un aumento dei reati. L’anno successivo “eccezionali e stravaganti circostanze meteoriche” provocarono il disseccamento delle viti, con perdita di tutto il raccolto dell’uva per quell’anno e per alcuni anni successivi. Occorreva quindi proteggere i talli, o germogli nuovi, spuntati alla base delle viti; e per vigilare contro eventuali danneggiamenti il sindaco di Argile, Sansone Padoa (centese possidente di terreni e case in Argile), mobilitò i carabinieri e le pattuglie cittadine con servizi speciali e ordine di arresto di eventuali trasgressori.
I 26 argilesi nominati per le pattuglie cittadine furono scelti tra maestri, artigiani, bottegai, possidenti e agenti di campagna, di età variabile tra i 22 e i 58 anni. Il più anziano era il farmacista Ladislao Pradelli (58 anni), con esperienza passata di comandante della Guardia Nazionale e impegnato anche come vicedirettore del Corpo dei Pompieri locali . Il comandante dei carabinieri chiese che ai pattuglianti cittadini in servizio fosse dato un berretto con “distintivo“, per evitare confusioni in caso di incontri, o scontri, notturni con altri cittadini non in servizio. Ma la Prefettura si dichiarò contraria e precisò che i pattuglianti erano una istituzione volontaria e locale, sia pur benemerita, in quella situazione di emergenza per la pubblica sicurezza, allora “in condizioni deplorevoli e del tutto anormali”, in tutta la provincia e soprattutto a Bologna. Ma non potevano per legge compiere arresti , se non sotto la guida e l’autorità legittima di un carabiniere. Le pattuglie cittadine ad Argile furono poi sciolte nel 1884 per ordine della Prefettura di Bologna, e, pare, senza rimpianti da parte di nessuno.
Magda Barbieri
(*) Testo tratto dal volume di Magda Barbieri “La terra e la gente di Castello d’Argile e di Venezzano ossia Mascarino” vol. II 1997. pagg. 130-132, 146, 197-198
(**) Il disegno in alto, che rappresenta un assalto di briganti in una casa o osteria, è tratto da “Il mondo rurale nei disegni di Nino Zagni”, pubblicato a cura del Centro di documentazione del Mondo Agricolo Ferrarese e del Centro Etnografico Ferrarese
PS. A Bologna esiste una Associazione di volontariato , registrata nel 1991, che si richiama alle origini delle Pattuglie cittadine, “secondo la tradizione” risalenti al 1820, per istituzione del Cardinale Legato del tempo.
Nel sito www.pattugliecittadine.it l’associazione fa una sua ricostruzione delle alterne vicende della sua storia e dichiara le sue finalità solidaristiche e la sua collaborazione con il Comune e con le forze dell’ordine istituzionali.
Ma sulla stampa cittadina si trovano anche citazioni di problemi di definizione delle funzioni e di coesistenza, di non facile soluzione.
M. Bar.