Lucia Casalini Torelli, una pittrice di Bologna, con quadro a Malalbergo

La pittrice bolognese Lucia Casalini Torelli
Testo di Dino Chiarini
Lucia Casalini Torelli nacque a Bologna nel 1677 da Antonio Casalini e da Antonia Bandiera (però nessun biografo -e neppure le enciclopedie specializzate- indicano giorno e mese di nascita della pittrice)(**). Lucia iniziò a dipingere in tenera età sotto la guida del cugino Carlo, poeta e allievo del pittore bolognese Emilio Taruffi (1633-1696), poi a tredici anni cominciò a lavorare nella bottega del celebre artista bolognese Giovan Gioseffo Dal Sole (1654-1719) dove conobbe il futuro marito, anch’egli pittore, Felice Torelli (Verona, 9 settembre 1667– Bologna,11 giugno 1748). Dal loro matrimonio nacque Stefano (Bologna, 1712– San Pietroburgo,1784), che fin da giovinetto seguì le orme dei genitori e diventò anch’egli un rinomato pittore. Lucia Casalini lavorò in diverse città italiane, tra cui Torino, Milano e Roma, ma furono soprattutto Bologna e i paesi della provincia i luoghi dove si perfezionò come ritrattista e come pittrice di opere legate alla vita dei Santi. La sua fama valicò i confini italiani e la portò ad accettare commesse pure dai reali d’Inghilterra e di Spagna.

I suoi biografi, Giampiero Zanotti (1674-1765) e Luigi Crespi (1708-1799), elencano i numerosi dipinti da lei eseguiti, parecchi dei quali, però, sono andati perduti: tra questi essi citano anche un’opera eseguita per la Leggi Tutto

Con gli Egizi al Museo Civico Archeologico di Bologna

Mentre il freddo impera e la città si prepara ad accogliere la settimana più contemporanea dell’anno con ART CITY il Museo civico Archeologico di Bologna offre un diversivo (o una piacevole aggiunta) con un tuffo nell’antico: sono aperte infatti le sale della collezione egizia, della preistoria e dell’abitato di Bologna etrusca, accessibili con biglietto ridotto a 3 euro.
Bisogna ancora pazientare invece per accedere alle collezioni etrusca, greca, gallica e romana: solo la tarda primavera permetterà di ritornare a visitare l’intero primo piano del museo, dove fervono i lavori di rifacimento del coperto.
La prima domenica del mese (domenica 3 febbraio) si entra alle collezioni permanenti gratuitamente, trovando anche le pin del Museo: basterà un piccolo contributo per appuntare al bavero del cappotto il volto enigmatico e sereno della nostra Tashakheper.
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Porta Capuana, edilizia “popolare”. Angela Abbati

Il Castello di S. Giorgio fu riedificato alla fine del XIV secolo su di un preesistente impianto di antica origine, ma le parti in muratura furono completate dopo il 1403 (?) con l’arrivo a Bologna del nuovo Legato Pontificio Baldassarre Cossa.
Le sole parti ricostruite del Castello, il quale non era circondato da mura, ma da palizzate, da terrapieni e da larghe fosse, erano le due porte munite, l’una verso Bologna e l’altra verso Ferrara. Rimane ancora quella che volge a settentrione e Ferrara[1]              
In queste immagini della fine dell’800, inizi 900, la Porta Ferrara (o Capuana) appare come era prima del restauro eseguito nel 1913 ed è abitata. La merlatura (che nel suo aspetto originario doveva essere scoperta) risulta tamponata con mattoni a vista, mentre erano state create delle piccole aperture per le finestre. Anche l’arco centrale, prospiciente l’interno del paese, era chiuso da una grande meridiana incastonata, di origine forse settecentesca .La presenza dei camini lascia inoltre supporre che al piano superiore vi fossero delle stufe o caminetti che consentivano di poter riscaldare l’ambiente. Tutto ciò garantiva un certo grado di abitabilità  all’edificio.

Ma chi erano gli abitanti di Porta Capuana?

Una leggenda popolare narra che nell’Ottocento un carrettiere di San Pietro in Casale si era innamorato della figlia del carceriere di San Giorgio, ma il padre della ragazza (a causa dell’antica rivaltà  tra i due paesi contigui) non vedeva di buon occhio l’unione. Allora il giovane escogitò uno stratagemma per poter vedere l’amata: aggredì un carabiniere per poter essere arrestato e finire in carcere, che si trovava allora proprio. all’interno della Porta Capuana.

Al di là  della veridicità  di quanto racconta la leggenda ottocentesca riguardo la presenza di un carcere  (o per lo meno di una guardina)  dentro la porta Ferrara, è comunque assai probabile che circa un secolo fa la porta assolvesse una funzione di tipo abitativo. Lo attestano le foto dell’inizio del ˜900.                 

 
Dal confronto tra le fotografie precedenti e quelle immediatamente dopo il restauro del monumento,condotto nel 1913[2], si possono rilevare i principali obiettivi di quell’intervento.Oltre al consolidamento del fabbricato e all’eliminazione degli evidenti guasti, il restauratore di allora si proponeva come finalità  prioritaria di rimuovere i tamponamenti presenti in facciata, resi necessari dall’uso residenziale a cui era stato adibito l’edificio in favore delle persone indigenti.

La rimozione del tamponamento che accecava l’arco posto verso la piazza principale, aveva comportato la distruzione dei resti di quella bella meridiana dipinta rappresentata nelle antiche fotografie.

Recentemente l’amministrazione comunale di San Giorgio di Piano ha approvato un progetto di sistemazione della Porta Ferrara, redatto dall’Ufficio Tecnico Comunale.

Il progetto di restauro, elaborato dall’architetto Pier Franco Fagioli, si propone di valorizzare le caratteristiche storico-artistiche del monumento.

L’intervento di riqualificazione  della porta e delle strade adiacenti prevede, oltre al consolidamento strutturale, la valorizzazione estetica dell’edificio attraverso alcune opere, tra cui il ripristino della meridiana storica sul lato meridionale.

Rimossa in seguito al restauro del 1913, la sottile parete in foglio che delimitava l’arco, viene riproposta per andare in contro al desiderio di tanti cittadini di vederla ripristinata nella conformazione e nelle dimensioni di un tempo.

La nuova meridiana si propone con caratteristiche assolutamente moderne, per leggerezza e facilità  di sostituzione: utilizzerà  nuovi materiali e sarà  disegnata su vetro color bianco.

Questa soluzione risponderà  contemporaneamente a due esigenze: l’illuminazione  diurna e notturna. La luce solare filtrerà  di giorno, per rendere agibile il primo piano della Porta.

L’illuminazione interna di sera renderà  visibile  Porta Ferrara anche da notevole distanza, permettendo al monumento stesso di essere meglio valorizzato e di fare da sfondo scenografico a via della Libertà .

Angela Abbati
 
Note
1] Da Lino Sighinolfi: Il Castello di San Giorgio di Piano, Tip. Neri, Bologna, 1914
[2] L. Sighinolfi, ibidem 

 

Ritorna la torre civica in tutto il suo splendore

Un sapiente restauro ha ridato ai persicetani un loro simbolo
*(Da archivio notizie ottobre 2003)
 
Nella nostra pianura nel passato ogni paese aveva la sua torre con funzioni di avvistamento a scopo di difesa e come emblema del luogo e di chi aveva il potere sul territorio.A poco a poco le torri hanno perso nel tempo la loro funzione e sono state trasformate in campanili di chiese costruite vicino o adibite ad abitazioni e poi ultimamente lasciate prive di ogni cura.. Purtroppo la mancanza di una funzione istituzionale le ha danneggiate: deterioramento della struttura architettonica, asportazione, non sempre permessa, di parti decorative o addirittura di materiale murario da adibirsi ad altre strutture.

Per molti paesi della pianura la torre, testimone della storia del paese, è rimasta solo nello stemma comunale.

Ciò non è avvenuto per fortuna a San Giovanni in Persiceto. La torre civica per un po’ di tempo è stata contornata da impalcature e coperta da velari .

Il Comune, che ne è proprietario, con il contributo di Enti pubblici e privati e in base ad un progetto della Sovraintendenza ai beni culturali, ha proceduto al recupero della torre: consolidamento della struttura muraria, rifacimento e recupero della cupola, delle meridiane e tanti altri piccoli, ma importanti, lavori.

Ora il velario è calato e la torre, del XIII secolo, saluta i visitatori in tutta la sua bellezza: merita senz’altro una visita

La strada Porrettana.In viaggio dalla collina alla pianura. Franco Ardizzoni

LA STRADA PORRETTANA . Appunti di viaggio da Sasso Marconi a Ferrara
La strada Statale n.64 Porrettana , che nasce a Pistoia e termina a Ferrara, è uno dei tanti legami, oltre il fiume Reno e la ferrovia, che uniscono la dolce collina bolognese, con le sue cime, con i suoi borghi, i suoi boschi, le sue antiche chiese, alla verde pianura, piatta come un biliardo, con i suoi campi intensamente coltivati, i suoi frutteti, i suoi canali, i castelli o quanto di loro è rimasto. Iniziata nel 1816 in territorio
bolognese, la Porrettana è stata terminata nel 1848, unitamente alla toscana Via Leopolda (così detta in onore del granduca di Toscana Leopoldo II), seguendo un antichissimo tracciato già utilizzato anche dagli Etruschi. La domenica pomeriggio abbiamo l’abitudine, io e mia moglie, di fare un giretto di 2-3 ore verso la collina Bolognese percorrendo la Porrettana fino ai territori di Grizzana, Montovolo o Suviana. Oppure, giunti a Sasso Marconi, imboccando la strada della val di Setta per arrivare a Rioveggio e prendere per S. Benedetto val di Sambro, Monte Fredente, Pian di Balestra, oppure il Passo della Futa. E questo per scoprire caratteristici borghi scarsamente popolati antiche chiesine od oratori, spesso chiuse ed in condizioni precarie, vecchie torri od edifici di antica costruzione dove è stato utilizzata soprattutto la materia prima trovata sul posto: il sasso.

Ma una domenica abbiamo deciso di invertire la direzione e di percorrere la parte di Porrettana che va in direzione di Ferrara con la curiosità di vedere i luoghi che attraversa, scoprire le cose che essi luoghi nascondono come antichi palazzi, vecchie chiese, antiche ville con i loro maestosi parchi quindi, arrivati all’altezza della strada che porta a Mongardino, abbiamo girato la macchina ed abbiamo preso come punto di
partenza la Casa Cantoniera posta al km. 79 della Porrettana.

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Gli scavi in Sala Borsa. Visite e cenni di storia

Dal 15 gennaio 2011, gli scavi archeologici sotto la Piazza coperta di Sala Borsa saranno aperti al pubblico dalle 15.30 alle 18.30, nei giorni d’apertura della biblioteca. Sarà  così possibile vedere da vicino i resti della basilica civile di Bononia (II sec. a.C.), le fondamenta delle case medievali dell’area di palazzo d’Accursio e le vestigia cinquecentesche dell‘Orto Botanico del naturalista Ulisse Aldrovandi.  E’ˆ richiesta un’offerta libera per il sostegno delle spese. In occasione della prima giornata d’apertura, un bibliotecario ha accompagnato i visitatori per una breve introduzione e descrizione in Piazza Coperta.
Le visite guidate saranno in seguito ripetute secondo un calendario da definire.
Vedere  foto in  galleria di immagini dal sito sotto indicato, fonte delle informazioni
Cenni storici sugli scavi archeologici di Salaborsa da
www.bibliotecasalaborsa.it/documenti/8016

La Biblioteca Sala borsa, inaugurata nel dicembre 2001, apre uno spazio culturale e multimediale ricco e
affascinante all’interno di Palazzo d’Accursio, il “quasi castello”, antica sede storica del Comune che si affaccia su
Piazza Maggiore, da sempre centro e cuore della bolognesità.

Sotto il cristallo della Piazza coperta si possono ammirare gli antichi scavi e la sedimentazione
delle varie civiltà in uno scenario di armonia e di luce. Rivivono così secoli di storia, dai primi insediamenti di capanne dellaciviltà villanoviana del VII secolo a.C., alla Felsina etrusca, alla Bononia romana fondata nel 189 a.C.

Che cosa sia stata nel tempo la parte nord del palazzo di città che si affaccia su Piazza Nettuno ce
lo raccontano gli scavi archeologici intrapresi nel corso dei lavori dell’attuale sistemazione di Salaborsa.

Le tracce di edifici pubblici e religiosi e l’assetto urbanistico testimoniano che il luogo è stato
fin
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Note storiche per visite guidate domenicali a Castelli e Chiese di pianura est

LE FORTIFICAZIONI DI PIANURA
La pianura tra i secoli XIV e XV vide la forte esigenza di fortificarsi,
in risposta alle durature lotte tra le nobili famiglie protagoniste
di quell’epoca per la supremazia sul territorio, racchiudendo i
nuclei abitati all’interno di circuiti murari spesso dominati da
rocche e castelli.
A Budrio ad esempio è ancora possibile leggere la forma
dell’antica città  medievale che vide la costruzione di una
prima cinta muraria alla fine del XIV secolo per volere del cardinale
Albornoz
ampliate poi nel secolo successivo ad inglobare il borgo
nuovo sorto in città . Bentivoglio è un esempio di
castello trecentesco, il castello di Ponte Poledrano, riadattato e
ampliato nel XV secolo in residenza di villeggiatura e di svago per
la famiglia Bentivoglio, che ne fecero la propria domus
jocunditatis
.

Infine
Minerbio col suo antico borgo che conserva ancora nella porta
d’ngresso e nella struttura viaria gli antichi caratteri
trecenteschi e che con la famiglia Isolani vide lo sviluppo del
complesso architettonico che comprende la cinquecentesca Rocca, la
villa seicentesca del Triachini e l’elegantissima colombaia
attribuita al Vignola.

Un itinerario che attraverso le tracce ancora
presenti sul territorio vi farà ripercorrere la storia più
antica delle famiglie e delle città di questa pianura.

L’ORATORIO
DELLA NATIVITA’ E LA CHIESA DEL CORNIOLO

Un itinerario alla scoperta di due dei numerosi edifici di culto minori della nostra pianura.

La Chiesa del Corniolo, risalente alla metà
del ‘500, fu fortemente rimaneggiato nel XIX secolo anche se
frammenti della pittura cinquecentesca a motivi vegetali e
antropomorfi attribuita ad Amico Aspertini si possono osservare nelle
pareti dell’interno. I caratteri cinquecenteschi si possono
riconoscere anche nella tipica facciata a capanna che rende
l’edificio subito riconoscibile nel panorama dell’architettura
religiosa bolognese.

L’Oratorio della Natività  a Minerbio,
risalente al XVIII secolo, fu sede prima della Compagnia del
Suffragio
e poi di quella del Santissimo Sacramento di cui conserva
l’rredamento tipico degli edifici adibiti a questo scopo.

All’nterno sono ancora conservati i paramenti
da cerimonia religiosa che attraverso l’approfondimento della guida
permetteranno di ripercorrere la storia della tradizione religiosa
della pianura e di Minerbio in particolare.

SULLE TRACCE DI ALFONSO RUBBIANI E ACHILLE CASANOVA

Alcuni degli edifici più belli del territorio della pianura bolognese sono il risultato dei forti
interventi
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La colonna spoglia di S. Giorgio di Piano. Anna Fini

Tra i monumenti presenti a S. Giorgio di Piano ve n’è uno alle cui sembianze ormai siamo abituati ma che in realtà  è solo una parte dell’ originale, stiamo parlando del monumento ai Caduti della prima guerra mondiale che era costituito da un basamento e una colonna in marmo ed in cima la Statua Alata della Vittoria. L’opera ora si trova all’interno del cimitero locale ma nel 1922 quella stessa posizione era al centro dell’aiola prospiciente l’ingresso del cimitero. In quell’anno l’Amministrazione propose al Comitato Comunale costituitosi per l’erezione di un monumento ai caduti in guerra, la costruzione di un’ Arca Monumentale nell’area d’ingresso al cimitero ove raccogliere le salme dei defunti militari e che di per sè avrebbe costituito il miglior monumento; tale progetto incontrò difficoltà  sia dal lato tecnico sia per la spesa elevata che non si ritenne possibile per le finanze comunali.  Accantonata l’idea dell’Arca il comitato avanzò un altro progetto comunicando al Sindaco Raffaele Ramponi  l’inizio dei lavori di scavo per le fondazioni del monumento per l’indomani ; era il 20 aprile1922.
Il nuovo progetto era costituito da un basamento ed una colonna in marmo sormonta
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Villa Giovannina. Alberto Tampellini

– Testo tratto dal libro Le dimore dei signori  Marefosca editore, 2004, per gentile concessione dell’autore Alberto Tampellini e dell’editore. Foto di Floriano Govoni
Percorrendo la strada che da Persiceto conduce a Ferrara, in prossimità  di Cento ci si trova
improvvisamente a fiancheggiare un lungo duplice filare di alti pioppi cipressini alla fine del quale, fiabesca e suggestiva, appare la visione di quell’austera mole architettonica chiamata Giovannina, la cui aristocratica presenza da alcuni secoli nobilita le plaghe al confine tra il Persicetano e il Centese. Eppure, per moltissimo tempo, l’origine di questo castello turrito è stata oggetto di equivoci e fraintendimenti che perdurano tuttora. E’ infatti opinione popolare assai diffusa che il palazzo fortificato prenda il nome da Giovanni II Bentivoglio, che fu signore di Bologna dal 1462 al 1506 e le cui opere di bonifica idraulica e di sviluppo edilizio in queste zone della Bassa Bolognese diedero in effetti nuovo impulso economico e
demografico a territori un tempo semipaludosi. Azzardata si dimostra però tale attribuzione, come del resto quella del progetto, per il
quale si è fatto il nome del famoso architetto Sebastiano Serlio (1475-1554/5). Si tratta di tesi sostenute probabilmente sulla scorta delle notizie riportate (senza citarne la fonte) dall’erudito centese Gaetano Atti nel sec. XIX (1). Solamente una decina di anni or sono le attente ricerche effettuate da Fausto Gozzi a seguito di precise analisi documentarie hanno potuto ricondurre alla realtà storica le remote origini di un edificio tanto famoso quanto ancora sconosciuto, attribuendone la costruzione alla famiglia senatoria bolognese degli Aldrovandi. 
  La stirpe d’Ildebrando   
Anche se gli Aldrovandi costituirono una delle famiglie più nobili e ragguardevoli di Bologna, le origini di questa casata, al pari di altre,  sembranoperdersi nella leggenda. Provenienti da Castel de’ Britti (sul crinale appenninico sopra l’Idice), ove conservarono a lungo una
serie di beni passati poi ai Fava, furono considerati discendenti di un tal Ildebrando, longobardo, da cui avrebbero preso il nome.
Le prime notizie certe risalgono invece al secolo XII, quando la famiglia, già insediatasi a Bologna, fu detta “dal Vivaro” perché residente in quella contrada. Sappiamo infatti che, a partire da quest’epoca, i suoi membri iniziarono a ricoprire importanti cariche pubbliche e ad avere
un peso nelle vicende politiche del Comune. Tra i primi ad essere menzionati dalle fonti è un Pietro Aldrovandi che figura tra i testimoni del solenne giuramento con cui gli abitanti di Oliveto (centro fortificato arroccato su di un picco nell’alta valle del Samoggia) si sottomisero a Bologna nell’anno 1175. Altri, in seguito, furono ammessi nel Collegio dei Savi e, a partire dalla metà del XIV secolo (con Giovanni e Pietro), ricoprirono più volte l’Anzianato. Agli inizi del XV secolo Nicolò  Aldrovandi, dottore in legge e membro del Consiglio dei Quattrocento, divenne gonfaloniere di giustizia, espletando importanti incarichi diplomatici per conto del governo cittadino.

Nello stesso periodo, dalla famiglia
uscirono anche lettori di diritto presso lo studio bolognese,
ambasciatori e magistrati; come quel Giovanni Francesco Aldrovandi
che, nel 1494, ospitò in casa propria per oltre un anno il
giovane Michelangelo Buonarroti, commissionandogli alcuni
lavori in città (2).

Un Leonardo Aldrovandi, giÃ
membro degli Anziani, fu inviato nel 1512 dal governo
bolognese nel castello di San Giovanni in Persiceto, in qualità di
commissario (3), mentre un Annibale Aldrovandi fu nominato
Cavaliere. 
Grandissimo rilievo in campo culturale ebbe poi  Ulisse
Aldrovandi
(1522-1605), medico, scienziato e naturalista di
grande fama, autore di numerose opere erudite in campo botanico e
zoologico e creatore del cosiddetto “Museo Aldrovandiano”,
cioè di quella raccolta ragionata di minerali, fossili, campioni
botanici, oggetti esotici e stravaganti, reperti archeologici e
naturalistici di cui fece poi dono al Comune con atto testamentario.
Agli Aldrovandi furono concessi la dignità senatoria nel 1467,
per volontà di papa Paolo II, e, in due diverse riprese, dall’imperatore Carlo V nel 1535, ottenendo
inoltre di poter inserire l’aquila imperiale nell’arme del
casato
il titolo
comitale: dapprima la contea di Guia (nel Modenese) per un
breve periodo (dal 1586 al 1593), poi quella di Viano (nel
Reggiano) a partire dal 1598.

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La Torre Conserva di Galliera ricostruita

La ricostruzione della Torre
Conserva di Galliera.
Franco Ardizzoni

Eravamo rimasti alla fine del 2003,
quando della torre Conserva, la cinquecentesca torre dei
Malvezzi, era rimasta soltanto la facciata
(vedi  La
Torre Conserva: agonia di un edifico: www.pianurareno.org, sezione Beni artistici).
Il 24 aprile 2004, un
sabato, si sviluppò un furioso temporale, con moltissimo ed
impetuoso vento (una specie di tifone di casa nostra). Il muro di
facciata della torre fece da vela al vento, ma ormai non aveva più
difese e, sotto quell’uragano, crollò definitivamente.
Era la fine di quel relitto di edificio dopo un’agonia durata
alcuni anni.
La proprietà della torre e del terreno
circostante sembra fosse di due signore di Ferrara che, in
conseguenza del crollo decisero di vendere e trovarono un acquirente
nella persona di Adler Capelli (campione mondiale ed
olimpionico di ciclismo su pista, a cui va tutta la mia sincera
ammirazione per la decisione presa) abitante a Galliera il quale
manifestò subito l’intenzione di ricostruire la torre e si affidò
all’architetto Roberta Monti di Galliera, ma con
studio a Cento, che chiese a me le foto che avevo fatto alla torre in
diverse occasioni, cioè in diverse fasi della sua rovina, per avere
dei punti di riferimento precisi per poter approntare un progetto di
riedificazione.

Sembrava più semplice. Leggi Tutto