1796-1814 Napoleone, Bologna e l’Italia

1796 – 1814: Napoleone in Italia – 18 anni che hanno rivoluzionato il Paese (nel bene e nel male. Lo ricordiamo a 200 anni dalla morte)
1796 – DA PARIGI A BOLOGNA*
Quello che stiamo per raccontare fu un periodo davvero speciale per la storia locale, come per quella bolognese e nazionale, e fu vissuto sotto l’impronta della volontà di un uomo, Napoleone Bonaparte, venuto dalla Francia alla testa di un esercito mandato dal nuovo governo post-Rivoluzione, detto del “Direttorio”.
Va premesso, che dopo 6 anni dallo scoppio della Rivoluzione, nel 1795 a Parigi la borghesia moderata aveva preso il sopravvento nella “Convenzione” francese, sconfiggendo i più estremisti “giacobini”. I nuovi ricchi avevano rialzato la testa, si erano riaperti i salotti, erano riprese le feste e la voglia di divertirsi e di vivere, dopo tanti bagni di sangue e il periodo del “Terrore” instaurato da Robespierre. Ma la ghigliottina aveva continuato a lavorare, solo che, invece di tagliare le teste di nobili e clero, tagliava quelle di “giacobini” e “sanculotti”…

Approvata una nuova Costituzione nel 1795, anno IV della Repubblica, gli eserciti delle monarchie europee premevano sui confini della Francia, le casse del Tesoro erano vuote, le entrate pubbliche erano nulle perché nessuno pagava le tasse , e gli “assignat” (precursori degli assegni… a vuoto) inventati in precedenza come nuova forma di prestito pubblico, erano stati svalutati e distrutti. In questa drammatica situazione il Direttorio affidò, il 26 ottobre 1795, l’Armata che operava in Francia, a Napoleone Bonaparte, un militare di 26 anni nato in Corsica, che rivelava evidenti attitudini al comando e grandi ambizioni. Poco dopo lo nominò comandante dell’Armata d’Italia e lo mandò nel nostro Paese con il compito di cacciare gli Austriaci che governavano il Lombardo Veneto, e occupare quanta più terra italiana potesse.
Quella di Napoleone fu un’operazione molto rapida, quasi una “guerra lampo”, avviata e conclusa, nella prima fase, tra gennaio e giugno, vincendo diverse battaglie contro gli austriaci e trovando poi offerte di armistizio dal Duca di Parma e porte aperte a Milano, dove entrò il 15 maggio trionfalmente accolto dal Vescovo e dai Decurioni della città. Prese Pavia e Mantova, ritirate le truppe del Re di Napoli, già alleato dell’Austria e ora passato alla neutralità, la via per entrare nello Stato Pontificio era spianata….
Il Papa Pio VI dapprima dichiarò la propria neutralità, sperando che Napoleone non varcasse i confini del suo Stato; ma poi, visto l’avanzare delle truppe francesi, tentò una trattativa, per rassegnarsi infine alla resa ritenendo l’occupazione di Bologna ormai inevitabile.

Occupazione che avvenne domenica 19 giugno 1796 (festa religiosa degli “addobbi”), dapprima con una pattuglia del generale Verdier, poi con le truppe e i cannoni del generale Angerau e infine con l’arrivo di Napoleone in persona che si installò nell’antico Palazzo Pepoli con tutto il suo Stato Maggiore, mentre gli ufficiali si sistemavano nelle case dei ricchi e nobili della città.
Il giorno seguente Napoleone si presentò al Senato bolognese e dichiarò di essere informato delle antiche prerogative e privilegi goduti in passato dalla città di Bologna e assicurò che intendeva “restituire alla città la sostanza del suo antico autogoverno”. Pertanto licenziava il Legato Pontificio e affidava al Senato il potere legislativo e di governo. Però il Senato doveva prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica francese e dipendere da lui, Bonaparte, fin che fosse rimasto in città, e poi dal suo vice, quando ne uscisse.

Ai bolognesi, nobili e popolani, il proclama del generale apparve come una gran conquista, perché si liberavano dai pesi inflitti loro per 3 secoli dai Papi, e sembrava che la città potesse tornare indipendente da Roma, come ai tempi dei “liberi Comuni”. La voglia di libertà e di novità era grande, tanto da far sorvolare sui nuovi legami che si andavano ad assumere, e che erano considerati, comunque, inevitabili.
Il 23 giugno la trattativa tra Napoleone Bonaparte e la Santa Sede si concluse, provvisoriamente , con la cessione delle Legazioni di Bologna e Ferrara alla Francia, più 100 opere d’arte, 500 preziosi manoscritti e 21 milioni da consegnare al generale in capo.
Fin qui tutto poteva apparire come il prezzo da pagare per uno dei tanti passaggi di truppe straniere subiti in passato, dopo i quali tutto ritornava poi come prima. E invece era l’inizio di grandi e radicali mutamenti.

I FRANCESI A CENTO, PIEVE E ARGILE

L’occupazione del territorio emiliano proseguì a ritmo serrato. Dopo Bologna era stata occupata Ferrara, e il 30 giugno 6.000 francesi erano giunti a Cento, passando presumibilmente per Argile e Pieve di Cento. Una parte di essi proseguì, e una parte si acquartierò nei dintorni. Già dal 6 luglio cominciarono ad arrivare a Pieve lettere e Circolari a stampa inviate dai nuovi amministratori insediatisi a Ferrara col titolo di “Municipalità”, composta dai “Savii” (o “Anziani”) e con giurisdizione sul territorio della disciolta Legazione di Ferrara. Il comune di Argile per quel periodo non ha documentazione (e giurisdizione) propria ma si presume abbia ricevuto da Bologna ordini simili; ma nel giro di pochi mesi venne comunque legato a Pieve e a Cento (e Ferrara) nella nuova organizzazione amministrativa del territorio, insieme alle comunità di Venezzano, Volta Reno e Argelato….

Il primo problema che dovettero affrontare i nuovi amministratori fu una preoccupante epidemia di afta epizootica scoppiata nel bolognese, e si cominciò a temere anche per la presenza di alcuni casi di vajolo scoperti anche nel territorio di Argile. Ma in ottobre-novembre la mano francese cominciò a farsi pesante, con pressanti e minacciose richieste alle popolazioni locali di contribuzioni in denaro e bestiami per mantenere e sfamare le truppe francesi ancora impegnate nella guerra contro gli austriaci. Impresa disperata soddisfare queste richieste, con una epidemia di afta in corso ….

1796-1797- DALLA BREVISSIMA “REPUBBLICA DI BOLOGNA” ALLA “REPUBBLICA CISPADANA” E POI “CISALPINA”. Nuova bandiera tricolore, prestito forzoso e Guardia Civica

Il 4 dicembre 1796 con 454 voti a favore (su 484) fu approvata dai rappresentanti di Bologna, città e contado, nella Chiesa di S. Petronio, la nuova Costituzione della “Repubblica di Bologna”. Dopo un Te Deum di ringraziamento, le campane suonarono a distesa e si fece gran festa intorno all’”albero della libertà” innalzato nei mesi precedenti (come in altre città e località occupate dai francesi). Ma il documento, il primo nella storia dell’Italia moderna, elaborato da illustri giuristi bolognesi, ebbe vita brevissima e nessuna applicazione pratica, perché Napoleone aveva già pronta una Repubblica più ampia, la “Cispadana”, Stato confederale con capitale Bologna, che fu proclamata a Reggio il 30 dicembre 1796.

Fu quindi approvata a Reggio, il 7 gennaio 1797, una nuova bandiera formata da tre colori, bianco, rosso e verde, e fu redatta una nuova Costituzione, approvata l’11 gennaio seguente. La nuova Repubblica comprendeva le città di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, i cui territori furono ripartiti in Dipartimenti e Cantoni, sul modello amministrativo francese.

Dopo vivaci discussioni per conciliare posizioni divergenti, determinate da rivalità campanilistiche e timore per una supremazia di Bologna sulle altre città, fu decisa dal congresso la costituzione di 5 Dipartimenti con ambiti territoriali non coincidenti con i confini delle preesistenti Legazioni e Ducati.

Bologna e buona parte del suo contado furono inserite nel “Dipartimento di S. Giacomo”, mentre alcune altre comunità del bolognese furono unite a parti del ferrarese e del modenese nel “Dipartimento dell’Alta Padusa”, con sede centrale a Cento, e suddiviso in 7 Cantoni i cui capoluoghi furono assegnati a Cento, Pieve, S. Pietro in Casale, S. Giovanni in Persiceto, S. Agata bolognese, Crevalcore e Finale.

Nel Cantone di Pieve furono inserite le comunità di: Argile, Argelato, Bagnetto, Mascarino, Masummatico, Poggetto e Volta Reno.
Furono indette le prime elezioni per istituire nuovi organi di governo locale, che furono insediati il 2 giugno. A Pieve l’organo amministrativo ebbe il titolo di “Municipalità” (una sorta di Consiglio comunale), composta da “cittadini” del luogo, che dovevano riunirsi 2 volte al giorno per affrontare discutere e risolvere i problemi, soprattutto di bilancio, che si presentavano. Abolito ogni eventuale titolo o stemma di casata personale, uso del “voi” tra i membri, verbali di seduta sempre intestati con i titoli “Libertà” e “Uguaglianza”, in omaggio ai principi della Rivoluzione francese.

Poco si può sapere degli uomini che ressero queste prime Municipalità, se non che tutti erano piccoli possidenti ( alcuni con terre in Argile e Venezzano), bottegai o medici, espressione di una piccola borghesia mercantile (e/o professionale), in parte di nuova formazione, e in parte discendente dalle più antiche famiglie pievesi dalle quali erano usciti gli “Anziani”, i “consiglieri” e i “Consoli” che avevano governato Pieve nei secoli precedenti nell’ambito delle Legazioni papaline.

Tra i primi “affari pendenti” affrontati, la distribuzione di incarichi locali per Sanità, Annona e Acque, la fissazione del prezzo della farina, e l’istituzione della Guardia Civica, obbligatoria per tutti gli uomini dai 18 ai 50 anni, “tenuti a servire”, secondo la nuova legge napoleonica.

Altra nota dolente da affrontare nell’estate 1797 fu l’istituzione del “Prestito forzoso”, da elargire alla Amministrazione Centrale, con tassa progressiva calcolata sui redditi, per effetto di un altro decreto napoleonico pubblicato il 24 giugno. Impresa ardua e sgradita, aggravata il 21 settembre con l’istituzione, per Decreto di Napoleone, di una contribuzione obbligatoria di un milione al mese da pagare alle casse della Repubblica.

E ancor più sgradito al modo ecclesiastico cattolico fu il decreto che intimava l’abolizione dei Benefici ecclesiastici e la soppressione delle Comunità religiose in Conventi e Monasteri, con conseguente passaggio ad una apposita Amministrazione Demaniale dei loro cospicui beni.

Mano severa anche per garantire l’ordine pubblico, premio ai cittadini che segnalassero “disertori” al servizio militare e multe ai bottegai che baravano sul peso del pane a prezzo fisso calmierato o praticavano scarsa igiene nella conservazione degli alimenti.

Importante fu l’istituzione di un Registro per l’annotazione di tutte le nascite, matrimoni e morti di tutti i cittadini, che inaugurava la prima registrazione pubblica, laica e di Stato civile e Anagrafe, fino ad allora riservata ai soli parroci.

Importante e positivo per l’igiene pubblica fu il divieto di praticare sepolture privilegiate presso altari all’interno delle chiese, e nei cimiteri fino ad allora collocati sui sagrati o addossati alle chiese, con obbligo di aprirne di nuovi a debita distanza dai centri abitati.

Intanto Napoleone procedeva nelle conquiste di altre regioni del Nord- Italia e nella realizzazione dei suoi obiettivi. Ai primi di luglio costituì la “Repubblica Cisalpina” incorporando la Repubblica Cispadana (creata 7 mesi prima), con capitale Milano; imponendo quindi una nuova ripartizione degli ambiti territoriali e la ridefinizione dei Dipartimenti, diventati 20, tra i quali il Dipartimento del Reno, con capoluogo Bologna, e il Dipartimento dell’Alta Padusa con capoluogo Cento e comprensivo di 10 Cantoni (tra cui uno con sede a Pieve, comprensivo sempre di Argile e Venezzano, Bagnetto e Volta Reno). Ma anche questa ripartizione durò poco, fu modificata in febbraio, poi in maggio, nell’anno 1798 e ancora in anni successivi, determinando non poca confusione e conflitti di competenza.

1798 – REPUBBLICA ROMANA E PAPA IN ESILIO. Vendita dei beni ecclesiastici confiscati e giuramento di fedeltà alla Repubblica.

Sul piano nazionale e internazionale il 1798 fu caratterizzato da due fatti rilevanti: la proclamazione della Repubblica Romana, in febbraio, e la fuga del Papa PioVI, sotto la minaccia delle truppe francesi, che poi lo arrestarono in Toscana dove si era rifugiato, e lo portarono prigioniero in Francia , dove morì pochi mesi dopo. L’ostilità del mondo cattolico per i “liberatori” francesi, divenne quindi sempre più profonda e insanabile.

Chiunque prestasse un servizio pubblico doveva sottoscrivere giuramento di fedeltà alla Repubblica e questo valeva anche per i religiosi che insegnavano nelle scuole istituite nei loro monasteri. A Pieve molto controverso e dibattuto fu il comportamento dei parroci e dei maestri, religiosi e laici, che insegnavano nelle Scuole Pie ( o degli Scolopi). Alcuni si adeguarono e prestarono giuramento (tra cui molti parroci); altri si rifiutarono e furono dispensati dall’insegnamento e da qualsiasi funzione prevedesse compenso pubblico.

Intanto procedeva la vendita all’asta dei beni ex ecclesiastici, requisiti dall’Agenzia dei Beni Nazionali per riempire le Casse dissanguate dalle spese militari.

Ad Argile passarono di mano i tanti terreni, con relative case, edifici rurali e ben fornite cantine, della Commenda di S. Ippolito in Bisana (dell’Ordine di Malta), dei Padri di S. Francesco di Bologna, dei Padri di S. Francesco dei Ronchi, del Monastero di S. Bernardino e Marta di Bologna, del Monastero di S. Chiara di Pieve e di S. Caterina di Cento e di altri minori. Ad acquistare furono in particolare alcune famiglie di ebrei di Cento, i Levi e i Padoa (ai quali era stata vietata la proprietà in precedenza nello Stato Pontificio) e altri piccoli possidenti di Cento e Pieve, e pure qualche oste e mercante di bestiami argilese di recente arricchimento.

Altro evento che determinò conseguenze successive fu la partenza dall’Italia di Napoleone che volle impegnarsi nella “campagna d’Egitto” per scacciarvi gli inglesi; ma nell’agosto ad Abukir subì una pesante sconfitta che inflisse un duro colpo, allora, alle sue ambizioni espansive. L’unico successo furono le scoperte archeologiche , con la stele di Rosetta che permise la interpretazione dei geroglifici.

Il clima politico sociale in quell’anno nelle nostre zone fu molto agitato, tra sempre nuove tasse, requisizioni, proclami, nuove ripartizioni territoriali e problemi di ordine pubblico che travagliarono la convivenza in Argile e in Pieve, e richiesero talvolta l’intervento di polizia e militari della Guardia Nazionale (a volte loro stessi causa di tumulti…). A Natale furono vietate cerimonie religiose e processioni.

1799-1800 – TRA DUE ESERCITI E 2 REGIMI. Arruolamento forzoso di 9.000 uomini in soccorso dei francesi, contrastati da “ribelli-insorgenti”. “REGIA CESAREA REGGENZA” di austriaci che rioccupano il territorio; requisizioni massicce degli uni e degli altri.

Il 1799, anno VII Repubblicano (come il successivo 1800), fu un anno terribile per le nostre popolazioni, di guerre e rivolgimenti istituzionali, con un brusco e brutale passaggio dal nuovo regime repubblicano “protetto” dalla truppe francesi, ad un regime di occupazione militare delle truppe austriache.

Nei primi mesi dell’anno, mentre Napoleone era ancora in Egitto, le monarchie europee coalizzate contro la Francia (Inghilterra, Austria, Regno di Napoli e Regno di Piemonte) scatenarono una potente offensiva per riconquistare il territorio italiano. E in parte (anche se temporaneamente) ci riuscirono. Il 5 maggio 1799 le truppe austriache entrarono a Cento, già teatro di un episodio di strenua resistenza dei francesi, con morti e tanti feriti che resero necessaria la trasformazione dell’ex monastero di S. Caterina in ospedale; episodio che vide anche Ugo Foscolo, combattente e ferito, tra i soldati della Guardia Nazionale bolognese alleati dei francesi.

Il 30 giugno anche Bologna, dopo Ferrara e territorio di pianura bolognese, fu occupata dagli austriaci. Il 9 luglio 1799 si insediò la “Regia Cesarea Reggenza”, che cercò di cancellare ogni traccia o simbolo delle precedenti istituzioni repubblicane, dagli “alberi delle libertà” ai governanti delle “Municipalità”, chiamati “signori” e non più “cittadini”; non mancarono pesanti reazioni e vendette. Tornarono le vecchie leggi pontificie, la censura, e la forca in Piazza Maggiore a Bologna. Alle precedenti tasse e tributi si sostituirono nuove contribuzioni e collette per mantenere le truppe austriache (acquartierate anche in Argile).

Dopo le batoste subite in Egitto, Napoleone tornò a Parigi alla fine del 1799 e si preparò la rivincita, riuscendo a recuperare prestigio e potere, tanto da trasformare un colpo di Stato parlamentare in occasione per farsi eleggere “1° Console” di un Triumvirato, di cui di fatto era “dittatore” con pieni poteri e nuova Costituzione che lo favoriva.

Nel 1800 decise quindi tornare di riconquistare l’Italia, varcò di nuovo le Alpi, sconfisse gli austriaci a Marengo su altri fronti, avanzando ovunque.

Ai primi giorni del luglio 1800 i francesi furono di nuovo a Bologna, Ferrara e Modena. Fu quindi ricostituita la “Repubblica Cisalpina”, spazzate via le “Cesaree reggenze” e ricostituite le “Municipalità”. Gli austriaci furono cacciati, ma non andarono molto lontano, anzi continuarono a tentare nuovi assalti nei mesi seguenti, con brevi temporanei successi.

Intanto però la situazione delle popolazioni era sempre più drammatica; guerra e requisizioni massicce degli uni e degli altri eserciti, avevano ridotto in estrema povertà e alla fame tante famiglie e svuotato i bilanci municipali, cui si rispondeva dall’alto con sempre nuove richieste minacciose di ulteriori requisizioni di grano, bestiame, denaro, a possidenti e nullatenenti…e il pane a prezzo calmierato diventava sempre più leggero e di pessima qualità.

1801- TORNA LA PACE NELLA RINATA REPUBBLICA CISALPINA, MA SI MUORE DI FAME. Promulgato il primo Codice civile, libertà di culto, piano scolastico e vaccinazione contro il vaiolo.

Dopo le cruente schermaglie tra francesi e austriaci degli ultimi mesi del 1800, il 1801 si aprì con una speranza di pace, firmata da Napoleone con l’Imperatore d’Austria Francesco II. Un accordo con spartizione territoriale che prevedeva la ricostituzione dello Stato Pontificio, esclusi i territori della Repubblica Cisalpina che restavano sottoposti ad un Napoleone 1° Console che agiva sempre più da Sovrano, intenzionato a pacificare gli animi, accordarsi col nuovo Papa Pio VII, e governare il territorio con nuovi provvedimenti lungimiranti e costruttivi. Promulgò un importante primo Codice Civile, consentì una certa libertà di culto con riguardo particolare per la religione cattolica come “maggior religione dello Stato”, attivò un “piano provvisorio” per l’istruzione pubblica che prevedeva nuove scuole pubbliche con maestri stipendiati dalle Municipalità; rese possibile e consigliabile la prima vaccinazione contro il vaiolo, che nel Cantone di Pieve fu praticata da due medici del luogo, gratuitamente.

Ma tutti questi provvedimenti non portarono benefici immediati perché la situazione ereditata dai 2 anni precedenti era tragica: carestia perdurante, afta epizootica ancora diffusa, mortalità altissima. Ad Argile, con una popolazione allora di 1500 abitanti nell’ambito parrocchiale, si contarono 103 morti nell’anno 1800 e 102 nel 1801, quasi il doppio delle annate precedenti e successive. Situazione analoga a Pieve, a Cento e a Renazzo. Per tentare di evitare che tanta gente morisse di fame si organizzò la distribuzione di minestre per i poveri al prezzo di 4 o 2 centesimi l’una. L’ordine pubblico restava sempre un problema, che richiese una riorganizzazione della Guardia Civica in numerose Compagnie dislocate in tutte le località, con l’aggiunta di volontari per la sorveglianza dei campi seminati e preservarli da devastazioni e ruberie.

1802-1804 NASCE LA “REPUBBLICA D’ITALIA”, CON NAPOLEONE PRESIDENTE

I patrioti e i poeti italiani (Foscolo, Monti, Melzi d’Eril…) da tempo bramavano la creazione di una “Repubblica italiana”, che facesse rinascere il sentimento nazionale, superando le barriere create dall’esistenza dei tanti staterelli ducali preesistenti.

Napoleone li accontentò… ma a modo suo. Convocò a Lione 452 notabili italiani, scelti fra una media borghesi moderata, per consultarli. Poi finì per imporre una sua Costituzione già bella e pronta che prevedeva la istituzione di una Repubblica italiana con Napoleone Presidente e Milano capitale. Fu proclamata il 26 gennaio 1802. A Melzi d’Eril fu assegnata la carica di vice presidente, con il compito arduo di riorganizzare i territori italiani occupati da Napoleone, che intanto accresceva il suo potere in Francia, imponeva una nuova Costituzione che sostanzialmente distruggeva l’ordinamento repubblicano per impostare una quasi monarchia ereditaria. Si annettè direttamente alla Francia pure il Piemonte, Parma e l’isola d’Elba.

L’unica novità di rilievo fu l’abolizione del calendario “rivoluzionario”, con i mesi reinventati e rinominati (germile, pratile, termidoro, fruttidoro ecc.) per ripristinare il vecchio calendario gregoriano con le denominazioni tradizionali dei 12 mesi e le date relative, in uso dai tempi di Papa Gregorio XIII (secolo 1500).

Per il resto le Municipalità dovettero barcamenarsi tra i consueti gravissimi problemi economici, con nuove tasse sempre difficili da esigere per finanziare i Corpi militari e per realizzare i lavori pubblici di cui si manifestava la necessità (rifacimento di ponti, strade, cimiteri…) Non mancarono disordini e anche scontri, ad Argile, tra “Cavalleria di Cento” e “Guardia Nazionale”, per rivalità di Corpo, e tumulti a Bologna contro il nuovo regime imposto da Napoleone, sedati con la forza delle truppe francesi chiamate sul posto.

Argomento dominante fu poi sempre la “Coscrizione”, per la difficoltà di arruolare uomini di cui si esigeva il servizio militare obbligatorio, ma che tutti cercavano di evitare, con certificazioni mediche di esonero più o meno legali, o con la diserzione.

1805- 1813. NEL REGNO D’ITALIA CON NAPOLEONE RE E IMPERATORE. Riprendono vita le “Municipalità”, ogni comunità parrocchiale ha il suo Sindaco, Consiglio comunale, scuola pubblica e medico condotto. Attenzione per la cura del territorio padano: si avvia il “Cavo napoleonico”. Ma mancano le risorse e il brigantaggio dilaga.

Verso la fine del 1804, Napoleone riuscì a farsi nominatore “Imperatore della Repubblica francese” (!! notare la contraddizione dei termini…) con un plebiscito trionfale. Convincendo pure il Papa Pio VII a recarsi a Parigi per assistere e avvallare la sua autoincoronazione nella cattedrale di Notre Dame. Il 2 dicembre 1804 completò la sua inarrestabile scalata al massimo potere istituendo l’ Impero francese, con supremazia sui Regni conquistati in Europa. Cancellata ogni Repubblica preesistente, il 31 marzo 1805 Napoleone fu proclamato Re d’Italia, oltre che già Imperatore dei francesi. La carica di Vicerè d’Italia fu affidata ad Eugenio Beauharnais, suo figliastro in quanto figlio di primo letto della moglie Giuseppina neo imperatrice.

Nel corso del 1805 e nei 2 anni successivi il neo imperatore riprese le ostilità contro il Papa, riconquistò i territori dello Stato pontificio nel centro e sud Italia e nel 1809 ne decretò l’annessione al nuovo Regno e all’Impero, dopo aver sbaragliato gli eserciti delle coalizioni di Stati Europei ( Austria, Inghilterra, Russia) che avevano tentato di fermarne l’avanzata; mettendo poi i suoi parenti, cognati e generali di fiducia, sul trono dei nuovi Regni costituiti. Papa Pio VII arrestato e portato prigioniero in Francia, come il predecessore.

L’opposizione dei cattolici trovò quindi nuove e forti motivazioni e si espresse anche con l’appoggio agli “insorgenti”, disertori e oppositori ribelli al regime, che costituirono gruppi armati che sotto la bandiera dell’opposizione politica si dedicavano soprattutto ad atti di brigantaggio, ruberie e crudeltà nelle campagne anche a danno di poveri contadini, oltre che all’incendio di municipi per distruggere i documenti anagrafici. Fenomeno sociale rilevante, sia al Nord che al Sud dell’Italia, che toccò il suo culmine, e la sua fine, nel bolognese, negli anni 1809 e 1810 (vedi particolari più avanti).

Cambiando il tipo di regime, da Repubblica a Regno, fu modificata anche l’organizzazione territoriale, per l’ennesima volta. L’8 giugno 1805, con Decreto dell’Imperatore e Re, fu fissato il nuovo Dipartimento del Reno, suddiviso amministrativamente in 4 Distretti, con sedi centrali a Bologna, Imola, Vergato e Cento. Il Distretto di Cento, comprensivo di numerosi comuni bolognesi e ferraresi fu diviso in 2 Cantoni. Il primo Cantone aveva sede a Cento e comprendeva, tra i tanti altri in destra Reno, Argile, Venezzano, Bagnetto, Argelato e Volta Reno. Il secondo Cantone aveva sede a S. Giovanni in Persiceto e comprendeva i comuni in sinistra Reno.

Il 21 giugno 1805 Napoleone, con la moglie Giuseppina, venne in visita a Bologna accolto da grandi festeggiamenti e arco di trionfo. Per conquistare il favore della società bolognese il sovrano emanò alcuni provvedimenti di rilancio e potenziamento dell’Università , avviò lo studio di un progetto per la sistemazione del basso Reno tra bolognese e ferrarese, con uno scavo di collegamento col Po, iniziato di fatto nel 1808 (e rimasto allora incompiuto), che verrà poi chiamato “cavo napoleonico”.

Gli uomini di punta più attivi nelle cariche della amministrazione pubblica di quegli anni a Bologna e territorio furono Carlo Caprara e l’avvocato Antonio Aldini; nel centese Francesco Rusconi (di antica famiglia senatoria con ramo anche bolognese) e i Tavecchi (Luigi padre e Stefano figlio) e Giovanni Maria Filipetti, con molti terreni e influenza anche in Argile, che fu, tra l’altro, Agente dei Beni Nazionali e poi Consigliere della Prefettura del Reno.

La Municipalità di Argile e Bagnetto ebbe un primo presidente in Romualdo Nanni dal 1805 al 1807 (fattore di campagna, figlio di fattore e oste locale arricchito) e poi come primo Sindaco, dal 1808 al 1810, Giacomo Bergamaschi, centese con casa e fondo di proprietà in Argile (Bisana).

Della Municipalità di Venezzano resta scarsissima documentazione da cui emergono i nomi come facenti funzioni di presidenti o sindaci, tre 1805 e 1809, di sconosciuti Paolo e Stefano Fabbri, Giovanni Rossi e Pietro Tirini.

Il problema principale di tutte queste piccole Municipalità era quello di trovare risorse per la impostazione di un bilancio quasi impossibile, per far fronte alla sia pur ordinaria amministrazione e manutenzione, bersagliati dai rimproveri per inadempienze dal Vice prefetto di Cento, tra tasse e imposte alle quali i destinatari, possidenti e nullatenenti, si opponevano e bisogni di spese impellenti.

Pur tra queste enormi difficoltà nel 1810 si riuscì infine a costruire i nuovi cimiteri ad Argile e a Venezzano (programmati fin dal 1802), a fare alcuni lavori di primo restauro ad una delle Porte diroccate di Argile; e soprattutto ad attivare, fin dal 1805, le prime scuole pubbliche, ad Argile e a Venezzano.

Ma la cronica esiguità delle entrate, la quasi impossibilità di pagare i debiti contratti, portò ad una nuova ripartizione territoriale con “concentrazione dei municipi”, più piccoli e in difficoltà. Cosicchè Argile e Venezzano, dal settembre 1810, persero la loro breve e sofferta autonomia istituzionale per ritrovarsi come “sezioni” (o frazioni) sottoposte alla Municipalità e al Podestà di Pieve. Nel frattempo si intrecciavano anche le tragiche vicende del brigantaggio nel bolognese.

1809-1810 IL BRIGANTAGGIO NEL BOLOGNESE E LA BANDA DI PROSPERO BASCHIERI. Sconfitti dall’esercito e finiti con la ghigliottina, a Bologna, Argile, S. Giovanni in Persiceto, Samoggia e Castenaso.

Dal mese di giugno 1809 imperversava nella pianura bolognese una banda di “disertori” (o “insorgenti” o “ribelli”, secondo i punti di vista…), guidata da Prospero Baschieri, un contadino di Longara datosi alla macchia fin dal 1803. Arrestato il 2 giugno 1809 era riuscito a fuggire e per tutto il periodo luglio-agosto guidò saccheggi e atti di rivolta sfociati poi, nei mesi successivi, anche in fatti di sangue. La cronaca dettagliata delle sue imprese riferisce di un tentativo di conquista persino di Bologna alla testa di 300 uomini, che però fallì, e di un altro tentativo di invadere Cento per farne saccheggio, fermato dapprima con una offerta di denaro da parte di 2 parroci del luogo, e poi, il giorno dopo, dall’intervento in forze della Guardia Nazionale.

Lungo l’elenco dei municipi saccheggiati e/o dati alle fiamme per bruciare i documenti, con pretesa di ottenere, con le buone o con le cattive, anche dalla popolazione denaro e cibarie, da S. Giovanni in Persiceto a Sala bolognese, a Minerbio, Altedo, Argelato, Maccaretolo, Bagno e tante altre località.

Polizia e Guardia Nazionale, pur sempre mobilitati per dar la caccia al Baschieri, non riuscivano a prenderlo, tanto che il Prefetto di Cento sospettava che trovasse complici e fautori tra gli stessi contadini delle campagne bolognesi e qualche parroco. Verso l’autunno 1809 la guerriglia si fece sempre più intensa e incattivita, con violenze e ruberie fine a se stesse. Il 1 settembre fu incendiato il palazzo del generale Gabrinski a Minerbio; nel frattempo si erano ingrossate le fila dei capibriganti con altra bande di composizione variabile che si spostavano da un comune all’altro, a piedi e a cavallo, intruppati con i già noti Lambertini, Landuzzi, Zarri, Gozza e Pitella.

In questo confuso e travagliato contesto, uno degli episodi più cruenti avvenne il 5 ottobre lungo la strada tra Argile e Volta Reno, dove uno squadrone di briganti (chi disse 90, chi 150) incrociò per caso un piccolo drappello di volontari della Guardia Nazionale composto da un decina di uomini che da Pieve stavano rientrando a Bologna. Ne nacque un conflitto a fuoco durissimo che vide soccombere questi ultimi, data la loro inferiorità numerica, di uomini e munizioni. 4 uomini della Guardia Nazionale furono presi e “barbaramente trucidati” (si legge nelle carte d’archivio) e le loro salme furono portate il giorno dopo su un carro a Cento, sede del Distretto, per mostrare e dare testimonianza alla popolazione dei misfatti dei briganti.

Lo stesso giorno 5 ottobre ci fu battaglia anche a S. Giorgio di Piano per mano del Baschieri e del Lambertini con un centinaio di uomini, e il 6 le scorribande continuarono a Bagno e in altre località.

Questa situazione durò per altri mesi fino al marzo-aprile 1810, soprattutto nei Cantoni di Cento e di Budrio.

Sotto la minaccia continua di queste bande la vita amministrativa dei comuni languiva. I consiglieri disertavano le sedute, i sindaci e i pochi dipendenti comunali si assentavano o tenevano nascosti per paura di essere aggrediti. Il segretario comunale di Argelato fu aggredito 7 volte, il cursore di S. Giorgio di Piano si dimise, dopo essere scampato miracolosamente alla ennesima aggressione.

Per affrontare più efficacemente il brigantaggio, visti gli insuccessi della Guardia Nazionale, fu incaricato il comandante in capo della 4a Divisione militare, generale Bonfanti, che cominciò con il sensibilizzare con severi appelli, Prefetti, Podestà e Sindaci, e soprattutto i parroci, perché collaborassero con le autorità di Governo nazionale e la Polizia locale per segnalare e ostacolare i briganti, posto che si temeva che questi fossero invece spesso protetti proprio dai “pastori d’anime”. Infatti, dopo l’arresto di Papa Pio VII nel maggio 1809, le tensioni tra autorità e esponenti ecclesiastici e cattolici si erano acuite, nonostante la apparente collaborazione del Cardinale di Bologna, Opizzoni; ci furono accuse e denunce di complicità o favoreggiamento diretto o indiretto coi briganti contro alcuni parroci, di Argile, Venezzano, Asia e Renazzo.

Ma l’azione militare serrata diede i suoi frutti a metà marzo 1810, e segnò la fine di Baschieri e della sua banda. Subito dopo un nuovo scontro a Volta Reno, dove fu uccisa un’ altra Guardia (padre di 4 figli) i briganti vagarono tra Minerbio e Castenaso per rifugiarsi infine in parte a Budrio; Baschieri e altri 11 si ripararono presso il casolare dei Rubini nel podere Malcampo, e qui arrivò velocemente (forse avvertito da una soffiata) un distaccamento di soldati francesi e Guardia Nazionale. Sorpresi, i briganti aprirono il fuoco e colpirono un capitano francese. I soldati appiccarono il fuoco al fienile annesso alla casa e i briganti furono costretti a uscire allo scoperto; alcuni riuscirono a scappare tra i campi ma furono inseguiti e catturati. Tra questi, Prospero Baschieri che fu raggiunto da un tenente della Guardia che riuscì ad ucciderlo dopo una furiosa lotta corpo a corpo. Era il 13 marzo 1810. Nella dura e lunga battaglia 5 furono i morti, 3 capo-briganti e 2 Guardie Nazionali.

Con la uccisione del Baschieri e di altri temuti capi, il fenomeno del brigantaggio nel bolognese subì un colpo decisivo . Altri 24 furono arrestati. Molti si costituirono sperando in maggior clemenza della giustizia.

Il processo a loro carico si svolse a Bologna presso la Corte Speciale di giustizia Civile e Criminale, tra fine agosto e primi di settembre 1810, e si concluse con 11 condanne a morte, più altre condanne a pene di durata varia da scontare nelle “case di forza” o “ai ferri a vita”.

Per i fatti di Argile furono formulati 4 capi di accusa a carico di 15 uomini individuati tra i circa 90 che parteciparono alla battaglia. Gli stessi erano poi imputati per altri assalti e uccisioni.

La Corte di giustizia ordinò infine che “pel pubblico esempio” le esecuzioni delle pene di morte avvenissero nei luoghi ove furono compiuti i delitti più gravi, per gruppi di 2 o 3 condannati per località.

Ad Argile furono destinati: Giorgio Ghedini, detto il “Grimosino” e il “montanarello”, nato a Marzabotto, abitante a S. Giorgio di Piano, contadino, di 22 anni, disertore, con 9 capi di accusa, reo confesso di partecipazione allo scontro armato di Argile, “qualificato uno dei più facinorosi”; e Domenico Oppi, nato a Minerbio, abitante a Viadagola, contadino, disertore, reo confesso per i fatti di Argile, indicato anche da alcuni testimoni che “lo avevano visto con la sciabola e il gilet insanguinato e sentito vantarsi di essersi battuto con i 12 della Guardia Nazionale e averne uccisi e tagliato a pezzi alcuni”.

L’esecuzione della sentenza per Ghedini e Oppi avvenne appena 2 giorni dopo la conclusione del processo, il 6 settembre. Secondo gli ordini del Regio Procuratore generale, a vigilare vennero mandate truppe da Cento; da Bologna venne portata la ghigliottina, montata nella piccola piazza esistente allora; vennero poi i due condannati, accompagnati da un usciere-scrivano e da una scorta della Reale gendarmeria. Giunti sul sagrato della chiesa “alla presenza di molto popolo”, alle ore 9 del mattino, fu letta pubblicamente la sentenza di condanna, i condannati “passati in Conforteria” per l’assistenza religiosa, a cura di 2 ” Ministri del culto cattolico” venuti appositamente da fuori paese. Alle ore 12 avvenne l’esecuzione, prima di Ghedini poi di Oppi , per mano dell’”esecutore di giustizia” (il boia, ndr). Le teste mozzate furono “mostrate al popolo, e tutto fu eseguito in buon ordine e tranquillità”, come scrisse l’usciere nel verbale d’obbligo conservato tra gli atti del Regio Procuratore in Archivio di Stato di Bologna. Altri particolari relativi a spese sostenute per trasporto, pranzo in osteria per ospiti e sepolture delle salme, si trovano nell’archivio comunale di Pieve.

Ulteriore testimonianza di quella tragica ed eccezionale decapitazione con ghigliottina in Argile ( finora sconosciuta), si trova nel Libro dei Morti n. IX dell’Archivio parrocchiale di Argile. In data 6 settembre 1810 il parroco Don Pietroni scrisse, eccezionalmente in latino, le note di sepoltura dei 2 ghigliottinati nel cimitero locale. Dalla formulazione solenne di quelle note traspare un atteggiamento di sofferente riguardo e rispetto per i due giustiziati, condannati alla pena capitale “per cospirazione” ( e non per i delitti compiuti come da sentenza…), e si sottolinea che morirono “in comunione con Santa Madre Chiesa, avendo ricevuto il Sacramento del Viatico….”

Dopo 3 settimane da quella esecuzione Don Pietroni morì improvvisamente, a 51 anni, forse anche per le emozioni vissute in quei giorni.

1813- 1815. L’IMPERO DI NAPOLEONE SI SGRETOLA. A BOLOGNA E IN ITALIA TORNA L’ANTICO REGIME.

Gli anni 1812 e 1813 per i nostri paesi furono anni quasi senza storia (a parte uno straripamento del Reno); scarsi gli atti e i documenti della Municipalità di Pieve a cui Argile e Venezzano erano stati di nuovo sottoposti. Ma era fuori d’Italia che si stava compiendo il destino di Napoleone e del suo Impero. Fallita tragicamente (e con migliaia di morti) la conquista della Russia che Napoleone aveva iniziato trionfalmente nel 1812, la guerra dilagò poi di nuovo in Europa e in Italia, con imponenti e cruente battaglie, attraversando anche il bolognese nel 1814.

Parigi occupata, Napoleone prigioniero confinato prima all’isola d’Elba, poi in quella di S. Elena, dopo l’ultima decisiva sconfitta a Waterloo, il Papa Pio VII potè tornare a Roma e ricostituire lo Stato pontificio, suddiviso in 4 Legazioni, presidiate dalle truppe austriache, avviando un lungo periodo che verrà definito di “Restaurazione” dell’antico regime, assolutista e repressivo delle libertà individuali, come nel resto d’Italia e d’Europa, governata dagli antichi sovrani secondo gli accordi sanciti dalle grandi potenze vincitrici al Congresso di Vienna del 1815.

Napoleone morì all’età di 51 anni in esilio e prigioniero, sotto sorveglianza inglese, nella lontana isola di S. Elena il 5 maggio 1821.

CONCLUSIONE

Ci pare opportuno chiudere la cronistoria di questo eccezionale periodo con la riflessione di uno storico bolognese, Giulio Cavazza, che mette in rilievo le ombre e le luci, e i semi culturali e ideali che furono sparsi in quei 18 anni; semi sepolti ma non seccati, che daranno vita a piante e frutti mezzo secolo dopo, col Risorgimento. A parziale risarcimento simbolico e consolazione postuma dei milioni di uomini, italiani e francesi, che morirono al seguito (o per causa) di Napoleone, credendo negli ideali di cui si diceva portatore.

“Se si considera il continuo susseguirsi di drammatiche vicende, il continuo alternarsi di occupazioni e di repressioni di truppe straniere, il continuo dissolversi di illusioni e speranze; se a ciò si aggiunge il pesante contributo di uomini e risorse pagato al militarismo imperialistico francese, si potrebbe affermare che per Bologna e il suo territorio questa fase storica si risolse in una esperienza complessivamente negativa, poiché, eccettuata una minoranza piuttosto esigua che venne a beneficiare di concreti vantaggi, i bolognesi di ogni classe sociale non trascorsero un periodo più soddisfacente sul piano economico, né migliore sul piano , per così dire, esistenziale.
Ma l’età napoleonica va giudicata… in rapporto all’influenza che ebbe nell’avviare un processo di modifica della società bolognese…. Ruppe la staticità dei rapporti socio-economici all’interno della città e fra la città e il territorio; suscitò fermenti che non si sarebbero mai più assopiti; spazzò via istituzioni anacronistiche e vincoli giuridici che non si sarebbero più ricostituiti. Le innovazioni più rilevanti si ebbero in campo economico con la mobilizzazione dei beni ecclesiastici; in campo giuridico con l’introduzione del Codice napoleonico e con l’affermazione dei diritti civili in campo socio-politico, con il graduale formarsi di una nuova classe dirigente”….
(da Giulio Cavazza in AA.VV. Storia di Bologna – a cura di Antonio Ferri e Giancarlo Roversi  1978)

Magda Barbieri*

* Sintesi e stralci da : Magda Barbieri. La terra e la gente di Castello d’Argile e Venezzano ossia Mascarino. Vol. II – 1997

** Il resoconto completo di quanto accaduto nel periodo napoleonico nell’area bolognese e intorno alle piccole comunità di Argile e Venezzano alias Mascarino, è leggibile al link:

https://magdabarbieri.files.wordpress.com/2015/03/la-terra-e-la-gente-di-castello-dargile-vol-ii.pdf     da pag. 57 a pag.101, con relative note archivistiche e bibliografiche

** Per maggiori particolari sulla vita e le opere di Napoleone, vedi:
https://it.wikipedia.org/wiki/Napoleone_Bonaparte
e tanti altri siti

FOTO- ritratti di Napoleone

1- Jacques-Louis David, Napoleone attraversa il passo del Gran San Bernardo, olio su tela, 1800, Musée national de châteaux de Malmaison (copia da wikipedia)
2-
Napoleone Imperatore dei francesi e Re d’Italia. Ritratto da François Pascal Simon Baron Gérard, il ritrattista ufficiale della famiglia imperiale. Molte le repliche di questo quadro realizzate dall’atelier di Gerard: ad Ajaccio ne troviamo un esemplare al Museo Fesch e uno nel Salone Napoleonico dell’ Hôtel de Ville.