Mondo Agricolo Ferrarese, e non solo, in un Museo

Il MAF di San Bartolomeo in bosco, Museo del Mondo Agricolo Ferrarese, da martedì 19 maggio riaprirà nuovamente le porte ai suoi visitatori. Sono state adottate tutte le misure necessarie per la prevenzione del contagio da coronavirus; all’entrata verranno spiegate le nuove regole d’accesso, anche con  apposito materiale informativo. Per accedere al Museo è necessario essere muniti di mascherina. Il Museo osserverà i soliti orari: mar.- ven. ore 9-12 // domenica 15.30-18.30.
Come preparazione informativa virtuale e invito alla visita reale, riassumiamo qui i testi di presentazione delle varie sezioni del Museo diffusi nelle scorse settimane su apposita pagina facebook con relative foto.
** Iniziamo la nostra visita virtuale al MAF soffermandoci sugli strumenti di pesatura, conservati nel capannone ospitante i mestieri ambulanti e la donazione del collezionista Orio Sarti
Gli strumenti di pesatura avevano una considerevole importanza nel mondo rurale: qui sono esposte diverse bilance di vario uso, dalle stadere alle bascule. Le stadere servivano per pesature di modesta portata. Ne facevano uso, ad esempio, anche i venditori ambulanti di frutta e verdura.
La stadera è composta da un gancio che sostiene un’asta orizzontale (con delle tacche misuratrici), un peso mobile equilibrante e un piatto sul quale si colloca la merce o l’oggetto da pesare.
L’esatta pesatura la si ottiene quando l’asta, sorretta dal gancio, raggiunge il perfetto equilibrio grazie al peso che, spostato manualmente sulle tacche, ne determina la graduazione. Il tutto funziona con l’antico principio della leva. 👉 In agricoltura, la bascula era invece destinata a pesature rilevanti, come, ad esempio, quella dei sacchi di grano dopo la trebbiatura.
La bascula è una bilancia a bracci, di antiche origini, con una pedana oscillante sulla quale si posiziona la merce o il prodotto da pesare, una barra graduata e dei pesi mobili.
La pesatura si ottiene mediante un sistema di leve posto sotto la pedana, che mette in azione la barra graduata. Attraverso i pesi mobili, viene determinato il peso esatto, indicato nella barra graduata.
🖌️ Un amico del MAF, il compianto pittore “Nino” Zagni, ha ricostruito con un disegno la pesatura dei sacchi di grano con la bascula come avveniva un tempo sulle aie: un vero e proprio “rito”.
Anche questo disegno è conservato nelle raccolte del MAF.

** Prosegue il nostro viaggio virtuale tra le raccolte del MAF ospitate nel fabbricato dei lavori agricoli.🚜🌾. Il mais (un tempo chiamato anche frumentone o granoturco) è utilizzato nell’alimentazione umana (polenta, in particolare) e degli animali da cortile. È noto il suo commercio per la produzione dell’omonimo olio di semi.
👉 Un tempo, la sgranatura del mais veniva effettuata a mano. La fase finale del suo ciclo produttivo coincideva con questa operazione, che richiedeva l’aiuto (che poi era reciproco) dei vicini. La “spannocchiatura”, così veniva chiamata, si trasformava in occasione d’incontro e di festa contadina.👩‍🌾👨‍🌾
Nel secolo scorso si idearono, anche artigianalmente, dei macchinari per una sgranatura più veloce, prima azionati manualmente e in seguito a motore. A trazione animale, poi meccanica, venivano condotti di podere in podere.
🔸 Il MAF conserva uno di questi sgranatori a motore, montato su un camioncino di risulta e fabbricato dall’azienda mantovana Carra. Un progresso ulteriore fu conseguito grazie alle macchine sgranatrici a motore, molto simili a quelle usate per la trebbiatura del grano. Di aia in aia, all’inizio furono semoventi e a trazione animale, in seguito a trazione meccanica.🔸 La macchina nella foto fa parte delle collezioni del MAF. La sgranatrice separava il seme dal “tutolo” (la parte legnosa della pannocchia), attraverso ventilatori e setacci eliminava le impurità e aveva uno o più condotti per la raccolta del seme.
Le operazioni iniziavano con l’inserimento delle pannocchie nella tramoggia e si concludevano con il riempimento dei sacchi da portare al mulino o da vendere ai grossisti. La produzione più scadente era riservata ai propri animali da cortile.
Nel mondo rurale, infatti, nulla andava sprecato: le foglie più delicate della pannocchia servivano alla preparazione dei pagliericci (i poveri materassi di una volta), quelle più “consistenti” divenivano lettiere per gli animali e i “tutoli” erano destinati al focolare.🔥

** Continuiamo il tour virtuale del Maf addentrandoci nella sezione dedicata ai trasporti ⚙️ In questo settore (che affronta simbolicamente il passaggio dalla trazione animale a quella a motore) sono presenti calessi scoperti o con capote, una domatrice per cavalli, carri agricoli, un camioncino FIAT-Balilla e un’automobile Ford. Ma l’oggetto forse più affascinante di questa sezione è la carrozza della foto, fabbricata dalla ditta Marco Fiorini di Bologna (con una sede anche a Ferrara) alla fine dell’800.👉 Se agli albori del loro utilizzo erano appannaggio solo di nobili, cardinali e pontefici, a partire dal XVIII secolo il numero delle carrozze in circolazione crebbe sensibilmente; iniziarono ad essere usate dalla ricca borghesia e si diffuse l’usanza delle carrozze pubbliche. L’Italia poteva vantare eccellenti ditte specializzate nella fabbricazione di carrozze che col tempo divennero oggetti di tale bellezza e lusso da innescare delle vere e proprie gare tra le famiglie più ricche, al punto che in diverse città vennero promulgate delle ordinanze che vietavano l’utilizzo di materiali come oro e argento e ricami per l’ornamento di questi mezzi. Le carrozze venivano trainate da uno o due cavalli, a seconda della loro tipologia e funzione.🐎 C’era la berlina (una carrozza chiusa con una funzione di rappresentanza), il calesse aperto usato nei mesi più caldi, il Phaeton (una versione sportiva e molto veloce) e molte altre. L’abitacolo (più o meno elegante e confortevole, a seconda del prestigio della carrozza e del suo proprietario) era destinato ai passeggeri, mentre il conducente (detto cocchiere) si sedeva su una seduta rialzata al di fuori.

** Il nostro tour virtuale del Maf continua con la (o il?) Carioca ... ovvero l’arte di arrangiarsi 😅👉 Quando l’Italia si trovò in forti difficoltà di approvvigionamenti, negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, con l’ingegno si affidò alla costruzione di mezzi improvvisati che, nei limiti del possibile, fossero in grado di sostituire i trattori per l’aratura e il traino. Questi veicoli erano realizzati (sarebbe meglio dire assemblati) soprattutto da artigiani-meccanici locali che facevano uso di materiali di risulta: parti di vecchie automobili, di autocarri dismessi, piccoli e grandi, di mezzi militari…Vennero chiamati “Carioche” e furono fabbricati e impiegati anche nel secondo dopoguerra all’insegna di una delle massime tradizionali applicate nel mondo contadino: non si butta via niente! 😁 Anche la Carioca diede il suo contributo alla ricostruzione del Paese-Italia e la sua produzione fece anche da trampolino di lancio per futuri imprenditori come il centese Ferruccio Lamborghini. La Carioca è esposta al MAF nel padiglione dei lavori agricoli: affianca la sezione dei trasporti.

** Continuiamo questo tour virtuale del nostro museo, soffermandoci oggi su uno strumento utilizzato in passato nel tentativo di contrastare una delle più grandi minacce per l’agricoltura: la grandine❄️Alcuni trai primi studi relativamente ad una tecnologia che evitasse la formazione della grandine vennero portati avanti dal prof. Luigi Bombicci dell’Università di Bologna, a partire dalla fine dell’800. Secondo questa teoria, poco prima che si scatenasse un temporale, era necessario sparare in cielo per evitare la formazione e la solidificazione dei ghiaccioli 🚀 I razzi antigrandine furono affiancati anche dai cannoni antigrandine per frantumare la grandine attraverso le onde d’urto. L’utilizzo di questi dispositivi negli anni ha acceso il dibattito tra i sostenitori del funzionamento e gli scettici

** Il nostro tour virtuale al MAF è questa volta dedicato al gelataio, il cui inconfondibile carretto è ospitato nella sezione dei mestieri ambulanti 🍦 Il suo arrivo nelle campagne era un vero e proprio evento per i bambini, che lo attendevano con ansia e… golosità. Erano brevi momenti di felicità non solo per i bimbi ma anche per qualche “grande” che poteva godersi di un po’ di ristoro nelle micidiali calure estive. La sua bottega ambulante non offriva tanti gusti, date le ovvie difficoltà di conservazione del gelato. Il “nostro” gelataio era dotato di carretto su triciclo, una specie di barchetta con a prua una sirena, con il quale si portava, pedalando, di casolare in casolare (in tempi successivi alcuni si “motorizzarono”). In una specie di camera di metallo stagnato inseriva il ghiaccio e i gelati nel loro contenitore. Alzava il coperchio a cono ed estraeva il gelato mettendolo nelle cialde a coppette, conservate nel contenitore trasparente. I gelatai ambulanti non agivano soltanto in campagna: alcuni avevano una loro clientela cittadina. 👉 E a proposito di questi ultimi, ricordiamo “Gigetto” (Luigi Calderoni), vero mito nella Ferrara degli anni ’20-’40 del secolo scorso.

** Oggi il nostro tour virtuale del Maf ci fa entrare nella casa colonica e dare una sbirciata alla camera da letto 🛌🏡 Quando le scolaresche vengono a visitare il Museo (quanto ci mancano le nostre visite guidate e il chiacchiericcio degli alunni che riempie le stanze del Museo💛) ci sono due cose, in questa stanza, che colpiscono i ragazzi. La prima è la consistenza del materasso. Quando li invitiamo a toccarlo rimangono stupiti di palpare, invece che il morbido e soffice giaciglio a cui loro sono abituati, un materasso ispido e ruvido; consistenza data dall’essere imbottito di fieno, crine e altre erbe selvatiche essiccate. La seconda cosa che attira sguardi curiosi e perplessi è lo strano attrezzo posto all’interno del letto, sotto le coperte. Solo in pochi riconoscono in quel contenitore in metallo e in quel telaio di legno dalla strana forma allungata, il famoso scaldaletto dei racconti dei loro nonni (o bisnonni): il “prete”con la sua “suora”. La suora, un braciere che veniva riempito con braci e cenere prese dal camino, veniva infilata all’interno del prete, che aveva la funzione di tenere sollevate le lenzuola in modo che non venissero a contatto con le braci 🔥 Posto nel letto un’oretta prima di coricarsi, questo scaldaletto aveva la funzione di rimuovere l’umidità delle lenzuola e rendere caldo e confortevole il letto.

** l nostro cammino virtuale tra le raccolte del MAF si sofferma questa volta su una scatola di latta conservata nella bottega del droghiere, l’antenata degli ipermercati. Quando tanti generi alimentari venivano venduti sfusi (si comprava per lo stretto fabbisogno, per ragioni economiche e anche perché non c’erano frigoriferi nelle case rurali di allora), sui banconi e nelle scansie di questi bottegai spiccavano grandi scatole di latta multicolori contenenti le diverse cibarie da vendere.
Tra queste, una in particolare destò la curiosità di Nerino Rossi: un tempo conteneva Olive elleniche scelte.Non ci pensò due volte e la citò nel suo romanzo La Pavona (Marsilio, Venezia 1992), ambientato nella Romagna durante la Settimana Rossa, tra il 7 e il 14 giugno 1914. Ines detta la Pavona, offre le olive elleniche scelte a Celso detto il Rosso, l’altro protagonista del romanzo. Nerino Rossi, di famiglia originaria dell’argentano, visitò numerose volte il MAF, affascinato soprattutto dalle sezioni della Vita nel Borgo.Nel 1984 scelse oggetti e macchinari del MAF per le riprese del film televisivo “La neve nel bicchiere”, tratto dal suo romanzo omonimo e diretto da Florestano Vancini.

** L’appuntamento di oggi è all’interno della camera della tessitura, una stanza del nostro Museo dedicata ad un’antica e fondamentale occupazione (esclusivamente femminile) che nel nostro territorio si è perpetuata fino agli anni ‘50 del secolo scorso. Il lavoro al telaio, con il quale si producevano biancheria, tovaglie e diversi capi di vestiario, era preceduto da una serie di operazioni. Si partiva con la filatura, cioè la riduzione della fibra in filo; nel periodo invernale le donne filavano nella stalla (l’ambiente più caldo della casa contadina) con la rocca e il fuso ( in tempi successivi si avvalsero del “filarello” o “filarino) a pedale. Dopo aver raccolto il filo in matasse, queste venivano sbiancate con cenere e acqua bollente, quindi trasformate con l’arcolaio in “rocchette” (con l’uso di “cannelle” palustri) per la successiva orditura. Il ciclo si completava con la tessitura, cioè con l’intreccio di una serie di fili paralleli (ordito) con un filo continuo (trama), eseguita con il telaio.

** “La mattina del sabato santo, si attendeva con impazienza il suono delle campane annunzianti la risurrezione del Signore. In segno d’allegria, ai primi rintocchi del doppio, correvamo a bagnarci gli occhi. Coloro che erano nei pressi di casa, usavano l’acqua del pozzo, mentre coloro che si trovavano in campagna, si bagnavano nei fossi e nel macero. In conclusione, dato che non avevamo tanta devozione da piangere veramente, fabbricavamo lacrime finte con acqua piovana.
La domenica di Pasqua, come del resto il giorno di Natale, si trascorreva tutti insieme, a famiglia unita e in buona armonia, proprio come annuncia il detto ” Per Pasqua e per Natale, ogni Gallo al proprio pollaio”. Approfittiamo di questo stralcio preso daAl bioich, l’arzdoura e la famejia cuntadeina” di D. Antonio Malaguti per farvi i nostri migliori auguri di Buona Pasqua!🌸

** Oggi, durante la visita virtuale del MAF, vi portiamo nella bottega del barbiere, ospitata nella sezione della vita e delle attività nelle borgate di un tempo. Questa bottega è molto apprezzata dai visitatori perché riproduce un modello di “Barberia” (come si diceva un tempo) di grande suggestione. 🧔✂️ L’arredo proviene da un’unica, vetusta bottega di paese e mostra tutto il suo fascino, a partire dal grande specchio che richiama alla memoria lo stile Liberty e proseguendo con i quadretti con le iconografie ispirate al melodramma, i ferri del mestiere (rasoi, forbici, pettini, pennelli, flaconi per il profumo, talco), i recipienti con l’acqua calda per il lavaggio dei capelli, le salviette linde e l’immancabile… sputacchiera! Nell’attesa del proprio turno, i clienti potevano accomodarsi sulle panche di legno e parlare o discutere soprattutto di sport, di politica (quando si poteva!) e di donne. La bottega del barbiere, non dimentichiamolo, era un centro aggregativo riservato ai soli maschi, quasi come l’osteria. Consapevole di ciò, il barbiere si riforniva ogni anno di calendarietti profumati per la clientela con le foto delle provocanti donnine di allora: un’occasione in più per incentivare una mancia, magari per il giovane garzone di bottega 🤭

** La visita virtuale del MAF è oggi dedicata alloratorio, un piccolo luogo di culto deputato alla pietà popolare e ad occasioni devozionali per le piccole comunità rurali distanti dalla chiesa parrocchiale ⛪ L’oratorio del MAF è stato realizzato avvalendosi fedelmente di disegni d’epoca. Gli oratori sparsi nelle campagne sono spesso intitolati alla Madonna oppure a santi particolarmente venerati nel mondo contadino come Sant’Antonio Abate e Sant’Antonio di Padova. Un tempo, accoglievano i fedeli alla recita del rosario durante il mese di maggio. 🌸 Il “nostro” edificio sacro è in pietra a vista, con un piccolo rosone con vetrata multicolore. Richiama alla memoria il vicino Santuario della Beata Vergine del Poggetto. 🔔Sulla facciata porta una ceramica devozionale di Sant’Antonio di Padova, opera di un anonimo artista naïf che un tempo frequentava il MAF. Al suo interno sono custoditi un piccolo altare sovrastato da un’immagine raffigurante il Sacro Cuore di Gesù, di “Nino” Zagni, una Via Crucis, statuette sacre, stampi per ostie, abiti talari, alcuni banchi in legno e un essenziale armadio, pure in legno.

** La visita virtuale al MAF questa volta vi propone un esempio di come si possa fare storia (e leggenda) anche attraverso il Teatro dei Burattini. Ospitato nella sezione omonima, l’atelier del burattinaio ferrarese Ettore Forni (1877-1959) ci riserva tante sorprese, tra queste la ricostruzione di una mitica azione di brigantaggio compiuta dal noto brigante romagnolo Stefano Pelloni, detto il Passatore (1824-1851). Il Passatore (nella sua iconografia burattinesca), con l’inseparabile fucile, Lucia, donna del brigante, il luogotenente Donnola e un fondale raffigurante l’interno di un teatro stipato di spettatori riproducono l’efficace scena dell’invasione che Stefano Pelloni e la sua banda attuarono al Teatro di Forlimpopoli il 25 gennaio 1851. Nell’intervallo tra il primo e il secondo atto della rappresentazione, il Passatore e i suoi compari salirono di nascosto sul palcoscenico e, all’aprirsi del sipario, con le armi impugnate rapinarono tutti gli spettatori. Si trattò della sua più celebre impresa.
Le sue azioni si conclusero il 23 marzo 1851 quando cadde in un conflitto a fuoco con le truppe papaline che da tempo gli davano una caccia senza tregua.
Il mondo popolare e una certa letteratura dipinsero Stefano Pelloni come una sorta di Robin Hood nostrano, che rubava ai ricchi per donare ai poveri. Le sue gesta tra leggenda e storia entrarono ben presto nella memoria popolare e ispirarono le ballate dei cantastorie, le storie narrate nelle stalle e – appunto – i teatrini dei burattini. Ettore Forni non fu da meno e rappresentò con successo la storia del brigante in più puntate, come documentano i suoi copioni. Le odierne telenovelas, quindi, non hanno inventato nulla!
Il pubblico del nostro burattinaio era quello di Piazza Travaglio, a Ferrara, e soprattutto delle osterie e dei cascinali nelle campagne.
* A proposito di burattini, vi ricordiamo che si organizza ogni anno il Premio “Ribalte di Fantasia”, riservato ai copioni inediti del Teatro dei Burattini! Maggiori info qui: https://www.mondoagricoloferrarese.it/eventi/

** Riprendiamo le nostre scorribande virtuali, questa volta attraverso le opere di “Nino” Zagni, pittore naïf di San Nicolò d’Argenta, amico di Guido Scaramagli, fondatore del nostro museo.
Sue opere (piccoli disegni incorniciati con scene ispirate al mondo rurale) accompagnano il visitatore lungo la sezione della vita nel borgo, mentre alcuni suoi quadri illustrano scene comunitarie e di lavoro in maniera più efficace di qualsiasi didascalia.
Nato nel 1928 e scomparso da alcuni anni, “Nino” ha vissuto in una casa sul vecchio ma glorioso ramo del Po di Primaro, che trascina le sue acque senza sbocchi dal ferrarese fino alle vicinanze
della bolognese Molinella. Ha esercitato la sua arte in un modestissimo studio-garage avendo come principale fonte d’ispirazione le campagne e le acque che circondano il suo paese.
Le sue opere, quindi, sono figlie della sua terra e possono essere lette anche come efficaci rapporti etnografici sulla vita nelle campagne di 70-80 anni fa. Apparentemente connotate di ingenuità, ritraggono incisivamente i più disparati aspetti della ruralità, dai paesaggi nelle varie cadenze stagionali agli scorci di paese, dal lavoro nei campi alle tradizioni popolari, dalla vita grama dei poveri questuanti a quella di relazione nelle stalle, dagli animali razzolanti nel cortile ai tanti gatti dei contadini.
👉 Al Maf è presente un quadro dell’artista (quello che vedete in foto) che raffigura la trebbiatura del grano. Un’altra sua realizzazione ospitata al MAF illustra una scena di vita quotidiana ambientata nella cucina contadina. Due anziani sono presso il focolare acceso: l’uomo è seduto e fuma la pipa, mentre la donna è intenta e mescolare la polenta nel paiolo appoggiando il ginocchio al “coppo” che tiene fermo il recipiente e che, al tempo stesso, le impedisce di procurarsi pericolose scottature. Scenari modesti, ma ridondanti di voglia di continuare a vivere e con una dignità neppure lontanamente sfiorata dall’indigenza dei tempi.

** Il nostro tour virtuale ci porta oggi a considerare che tra le riproposizioni delle antiche tradizioni rurali, al MAF è stata simbolicamente ripresa l’antica pratica delle “croci di maggio”, che un tempo veniva attuata a protezione dei prodotti della terra e, in particolare, del raccolto del grano.  Le croci venivano (e, in parte, vengono ancora oggi) apposte sulla sommità dei campi di grano il 3 maggio di ogni anno, conosciuto nel mondo popolare come “Giorno di Santa Croce”.
📍 Al MAF è stato ripristinato il cerimoniale che si effettuava con l’impiego dei fusti legnosi della canapa, già liberati dalla fibra. Si utilizzava un fusto lungo per il braccio verticale e uno più corto per quello orizzontale. Con la roncola si praticava un’incisione nella parte alta del braccio verticale per potervi inserire il braccio orizzontale con un ramoscello di ulivo, benedetto dal parroco la Domenica delle Palme. Alcuni collocavano anche un frammento della candela che veniva distribuita in chiesa il 2 febbraio, Giorno della Purificazione di Maria, popolarmente noto come “Giorno della Candelora”.
La tradizione delle croci richiama alla memoria antichissimi riti di fertilità, cristianizzati e collegati alla celebrazione del ritrovamento della Croce di Cristo, avvenuto in data imprecisata, oscillante dai primi anni della sua morte al 335 dopo Cristo. La pratica prevedeva una croce per ogni campo di grano; dopo il raccolto, le croci non dovevano essere assolutamente distrutte: soltanto la forza della natura avrebbe potuto distruggerle. I pochi contadini che ancora la praticano, essendo scomparsa la coltivazione della canapa, hanno ripiegato sulle canne palustri o su rami d’albero.
Il MAF segue pienamente la tradizione utilizzando la parte legnosa della canapa ancora conservata nella sua struttura museale.

** Durante la visita virtuale del Maf di oggi, ci concentriamo su uno dei simboli dell’agricoltura, un attrezzo dalla storia plurimillenaria, le cui origini risalgono alle antiche civiltà egizie, etrusche e babilonesi: l’aratro. 🌿 Nato come un grosso uncino in legno, trainato prima dall’uomo e solo in seguito dagli animali, nel corso dei millenni si evolve nella forma e nei materiali che lo compongono. Nell’Ottocento il suo studio viene approfondito e ne vengono ideate diverse tipologie.
👉 Ad esempio, l’aratro tipo Ridolfi, costruito in ferro e in legno e con il versoio elicoidale, che si rivelò particolarmente adatto alle campagne della Pianura Padana e che venne premiato all’Esposizione di Parigi del 1855. 👉 O anche l’aratro ravagliatore Certani, inventato dall’ingegnere bolognese Certani per lavorare i terreni destinati alla lavorazione della canapa.
In Italia, a cavallo tra Ottocento e Novecento, la produzione di aratri avviene perlopiù a livello artigianale; non sono molte le ditte produttrici (tra le principali: la Orsi di Tortona, i fratelli Martinelli di Modena, Paride Ravaglia di Alfonsine, Giuseppe Guerra di Jesi) e l’80 per cento degli aratri è di importazione. Negli anni 30-40, in seguito alla spinta del regime fascista verso i prodotti autarchici, l’importazione si riduce al 10% e si affermano gli aratri italiani, anche grazie alla loro buona qualità e ai prezzi inferiori a cui sono venduti.
(Per la documentazione abbiamo utilizzato “Trattori Storici” a cura di William Dozza)

** Oggi ambientiamo la nostra visita virtuale nel padiglione della meccanizzazione agricola e vi forniamo alcune notizie sui mitici Trattori Landini, alcuni esemplari dei quali sono qui ospitati.
👉 L’azienda che li produce è stata fondata nel lontano 1884 a Fabbrico, nel reggiano, dove ha tuttora la sua sede centrale. La storia del suo fondatore, Giovanni Landini, è emblematica della vita e delle vicende di tanti artigiani che si sono fatti da sé e hanno raggiunto – con intuito, costanza e competenza – i traguardi sognati. Dopo avere aperto un’officina per la riparazione di macchine agricole, Giovanni Landini si specializza anche come contoterzista agricolo.

Dal sito Internet del Gruppo Amatori Macchine d’Epoca (GAMAE) apprendiamo che dal 1910 al 1924 Giovanni Landini produce un rilevante numero di motori fissi, a testa calda. Dopo una sperimentazione di qualche anno, realizza il suo primo trattore. 🚜 I suoi eredi esordiscono nel 1928 con il Landini Modello 25/30 e, all’inizio degli anni ’30 fanno entrare in produzione il Modello 40, che aprirà la strada, nel 1934, al Super Landini (SL 50, 48 cavalli), il più potente trattore italiano dell’epoca. Il Trattore Landini si caratterizza per il motore a due tempi monocilindrico a testa calda, dal rumore unico e inconfondibile.
Viene definito a testa calda, in quanto la combustione del carburante si realizza per autoaccensione con l’alta temperatura che si sviluppa nella calotta posizionata nella testa del cilindro. Il raffreddamento del motore avviene per evaporazione.
La storia dei Trattori Landini sarà in continua evoluzione fino ai nostri giorni.

**⭕ Al Maf c’è una sezione dedicata ai giocattoli; non sono giocattoli costosi o elaborati dato che nel mondo rurale del secolo scorso, caratterizzato da stenti e privazioni, raramente i giocattoli si comperavano.Più spesso erano i bambini, aiutati da un adulto o da un fratello più grande, a fabbricarli con materiali poveri (una manciata di chiodi, un pezzo di legno, un po’ di fil di ferro) e tanta manualità e pazienza. Quello in foto è un esempio di un giocattolo che può essere considerato l’antenato del flipper, realizzato semplicemente con una tavola di legno, qualche chiodo e un paio di biglie.

**La nostra visita virtuale al MAF di oggi spiega il significato di un grosso libro sistemato sul bancone del negozio di merceria, nella sezione della vita nel borgo tra l’800 e la metà del ‘900.
Si tratta del “Libro dei conti”, tenuto da molti esercenti almeno fino agli anni ’60 del secolo scorso. 📖 👉 Il “nostro” libro risale all’800 (ma la prassi non è cambiata anche in tempi successivi): vi si annotavano i prodotti che i clienti compravano a credito, il loro costo e la data di acquisto. Le somme venivano annotate anche su un libretto che restava nelle mani del debitore. Questa procedura si affidava sulla reciproca fiducia tra venditore e acquirente. Il saldo dei conti avveniva generalmente ai primi introiti che il debitore conseguiva (al primo raccolto stagionale, alla fine del mese per chi godeva di un reddito fisso ecc.).
Il saldo avveniva a volte anche (totalmente o parzialmente) in natura: polli, uova, conigli, verdure e così via. Al pagamento il negoziante cancellava il debito “tirando una riga” sul suo libro e sul libretto del cliente. Libri” e “Libretti” dei conti, chiari segnali di dure ristrettezze economiche, prevalevano nelle botteghe dei generi alimentari (forno, drogheria, latteria ecc.)

** Tra i tanti oggetti e macchinari esposti, uno a noi molto caro -che può essere considerato una sorta di biglietto da visita del MAF- è il gigantesco compressore stradale della Società milanese Ernesto Breda, situato nel parcheggio all’ingresso del museo.
È una macchina schiacciasassi a vapore, ormai centenaria, un tempo utilizzata nei lavori stradali per spianare la pavimentazione. Veniva alimentata a legna o a carbone.  Un “pezzo” di un peso spropositato!
Nata nel 1886, la Breda è stata un’eccellenza non solo nazionale nelle costruzioni meccaniche, dalle locomotive ai vagoni ferroviari, dagli schiacciasassi ai trattori.

** Con il post di oggi segnaliamo ai visitatori del MAF uno dei tanti “tesori” del suo imponente apparato espositivo. Entriamo nella casa rurale: al suo ingresso, che ricostruisce gli ampi loggiati delle dimore di campagna, possiamo ammirare un ritratto femminile dipinto da Galileo Cattabriga, noto pittore ferrarese (Bondeno, 1901-1969), al quale il comune nativo ha dedicato la Pinacoteca civica. Cattabriga è unanimemente considerato tra i più grandi pittori ferraresi del Novecento. 🎨
La sua produzione artistica è ampiamente illustrata e analizzata in diverse opere di storia e di critica dell’arte, promosse in modo particolare dal noto studioso, suo concittadino, Daniele Biancardi, con la collaborazione di eminenti figure di intellettuali, tra cui Franco Farina, Silvia Lopresti, Giovanni Negri, Franco Patruno, Lucio Scardino e Antonio P. Torresi.
Ci troviamo in un museo del mondo rurale e vogliamo ricordare il pittore con una breve nota tratta da un contributo di Daniele Biancardi, pubblicato nel catalogo, a sua cura, Omaggio a Galileo Cattabriga (Liberty house, Ferrara 2009). In questo interessante scritto sottolineiamo un riferimento all’attenzione che Cattabriga dedicò alla sua terra:
Dopo aver studiato a Ferrara sotto la guida di Angelo Longanesi Cattani, e poi a Venezia con il maestro Ettore Tito, inizia negli anni Trenta la frequentazione degli illustri intellettuali ferraresi (Bassani, De Pisis, Funi, ecc.). A Parigi nel 1937 viene premiato con la medaglia d’oro alla Mostra Universale, e lì vede gli impressionisti e i post-impressionisti e li assimila come se li avesse ritrovati sulla sua strada. Comincia ad esporre in tutte le città artistiche italiane ma decide di non spostarsi da Bondeno, dove in continuazione racconta il suo mondo contadino fatto di campi, di case, di fiumi, di maceri, di fiori, oppure di montagne quando andava in vacanza o di scorci della Senna e di Notre Dame quando ritornava a Parigi per cercare il suo poeta preferito, Baudelaire, scambiando i suoi quadri con ciò che gli serviva per vivere”.
Galileo Cattabriga è ricordato con stima anche dal regista e scrittore Mario Soldati (I colori di Bondeno) nel volume “Viaggio in Emilia Romagna”, ristampato qualche anno fa (Minerva, Bologna 2012).

** Oggi vogliamo mostrarvi un utensile contenuto nella sezione dedicata alla casa colonica e ai suoi ambienti. In cucina, tra le pentole, le stoviglie e altri oggetti usati dall’azdora per cucinare, era presente anche questo attrezzo particolare: un disco forato dotato di manici. Alzi la mano chi sa come si utilizzava e per quale preparazione era destinato! Ebbene si, questo era il ferro che serviva per fare un piatto tradizionale molto amato, forse più diffuso in Romagna, ma presente anche nel ferrarese: i passatelli!
I passatelli, nelle famiglie più agiate, erano la minestra delle festività e delle grandi occasioni, perchè erano considerati una pietanza piuttosto pregiata in quanto conteneva uova, pane bianco e abbondante parmigiano; nelle famiglie contadine più umili venivano preparati utilizzando avanzi di cucina come il pane raffermo e il formaggio indurito. Per realizzarli si preparava un impasto sodo che veniva schiacciato dall’attrezzo in foto: era necessario, per far uscire i passatelli dai buchi, molta forza, che di sicuro non mancava alle mani esperte e vigorose dell’azdora!

** Oggi vi proponiamo un piccolo estratto da Ricordi di una levatrice” di Assuntina Santandrea: Nel dicembre del 1932 mi arrivò la nomina all’Ospedale di Faenza, ma i miei familiari, ancora una volta, non mi dettero il permesso; dovetti rimanere a Casola. A Casola non solo assistevo i parti in campagna, ma facevo anche l’assistenza nella sala operatoria senza alcun compenso, escluse piccole mance. Molti non pagavano per il semplice motivo che non avevano un soldo, altri per avarizia. I benestanti arrivavano a darmi dalle cinquanta alle cento lire.Ricordo, a proposito, alcuni episodi curiosi: un tale, non faccio il nome, come ricompensa mi offrì il bambino; tanto ne aveva già nove. Un altro, visto che insistevo nel diritto di essere ricompensata, mi propose di rimettere il bambino in pancia se ne ero capace. Altri mi pagavano in natura: uova, formaggio, un pollo, un coniglio, della legna, ecc..
La mia vita era ben dura.

** Tra le piccole e grandi storie che si celano o sono conservate al MAF, oggi vi raccontiamo le vicende di Sganapino e di Pompeo Gandolfi. 🎭👺 Portiamoci allora nella sezione dei burattini e ammiriamo, nelle vetrine centrali, la muta di burattini (con canovacci, copioni, attrezzeria ecc.) che apparteneva a questo artista, di origini bolognesi, attivo nelle campagne tra Bologna e Ferrara.
👉 Pompeo Gandolfi (1898-1974) era un noto esponente della “scuola” bolognese dei burattini (ma anche i burattinai ferraresi la praticavano) che, tra i personaggi principali, con Fagiolino (il ripara-torti con il suo bastone) e il Dottor Balanzone (satira della cultura accademica petroniana), aveva e ha tuttora anche Sganapino, “spalla” di Fagiolino, un po’ ingenuo e ignorantello, ma buono di animo e perennemente affamato.  Ideato da Augusto Galli (orafo e burattinaio per diletto) nel 1877, ben presto fa breccia nel pubblico di grandi e piccoli. A differenza di Fagiolino che ha un timbro di voce stentoreo, Sganapino si caratterizza invece per il parlare cantilenante, a volte un po’ stridulo, che fa divertire l’uditorio. Alcuni burattinai, come il nostro Pompeo, lo adottano come protagonista delle loro commedie e farse. Il suo rapporto con Sganapino diventa via via sempre più stretto, affettivo, quasi filiale. Nelle bacheche del Maf sono esposti Fagiolino, Sandrone, una “vecchia”, il gendarme (“Ghìttara Spadàcc”), Balanzone, “Màch Màch” (ideato da Pompeo) e così via…
Avete notato che manca Sganapino?
Lo trovate soltanto dipinto con il suo “papà” adottivo… Perché?
Perché Pompeo, alla sua scomparsa, ha voluto che riposasse con lui! 💛
Anche le piccole avventure degli artisti e delle loro teste di legno possono, quindi, rivelare momenti di autentica arte, passione e poesia…

 

****NOTA REDAZIONALE
Per gentile concessione del MAF, i  testi  sono tratti dalla sua pagina Facebook in occasione della chiusura forzata per il Covid19

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