L’antica Pieve di S. Vincenzo. Ricerca storica di Franco Ardizzoni

L™ANTICA PIEVE DEI SANTI
VINCENZO ED ANASTASIO IN SALTOPIANO

La pieve di San Vincenzo è una
delle più antiche della pianura bolognese,
forse la più
antica in assoluto. Infatti, secondo i documenti ancora esistenti, E’
citata per la prima volta in un placito tenuto a Cinquanta (
San Giorgio di Piano) nel IX secolo:

 l’anno 898 (IX secolo) in un
giorno non meglio precisato del mese di luglio, Guido, conte di
Modena, accompagnato da Agino (o Aginone), vasso dell’imperatore
Lamberto , e Bertolfo, visconte di Cittanova , nonchè castaldi e
vassi del conte, notai e scabini di più¹ luoghi del modenese, del
reggiano e del bolognese, si incontrano a “Villa que dicitur
Quingentas” (poi identificata come Cinquanta, località  nei
pressi dell’attuale S. Giorgio di Piano) per emettere un placito
(pubblico giudizio) nella vertenza tra il monastero di Nonantola e la
chiesa di Modena per il possesso della corte di Cannedolo nei
dintorni di Solara (presso l’attuale Bomporto). Il placito fu
emesso in favore del monastero di Nonantola, il cui abate, di nome
Leopardo, potè dimostrare, con diversi documenti, il possesso della
suddetta corte fin dai tempi dei re longobardi Liutprando ed Astolfo
(VIII secolo). A scrivere quell’atto (noto come “Il Placito
di Cinquanta”
vi era Lupo, notaio dativo, della pieve di
San Vincenzo, in Salto Piano ( Lupius notarius dativo huius plebem
sancti Vincencii Saltus <Spani> ). (1)
Gli argomenti principali del placito
sono naturalmente la corte di Cannedolo e la località di Cinquanta,
ma esso contiene pure diverse e preziose informazioni, quali
indicazioni di luoghi, di toponimi scomparsi, citazione di vari
personaggi ed autorità, molto utili anche per la storia della pieve
di San Vincenzo e per il territorio nel quale detta pieve era
inserita, inoltre rappresenta il documento più antico in cui essa
viene citata .
Fra le diverse informazioni,
particolarmente due sono quelle che più ci interessano per la storia
di San Vincenzo.
La prima indica che sia la pieve
di San Vincenzo che la località di Cinquanta, si trovavano nel
Saltopiano (Saltus Planus)
, antica struttura fondiaria e
agraria, di probabile origine tardo imperiale, che Amedeo Benati
identifica con i territori che oggi formano i comuni di
Galliera, Poggiorenatico, Malalbergo, San Pietro
in Casale, più le zone periferiche dei comuni di Argelato, San
Giorgio di Piano, Castelmaggiore, Budrio e Ferrara (S. Martino in
Gurgo o della Pontonara).
Cioè in questa circoscrizione
erano comprese tutte le comunità che, ad eccezione di quella di S.
Martino in Gurgo, nella divisione del contado, operata per scopi
militari e fiscali nel 1223 dal comune di Bologna, vennero poste nel
quartiere di S. Procolo, al quale vennero assegnate le terre fra Reno
e Savena antico, a nord della via Emilia.

 

Il Saltopiano, nelle forme
Saltus Planus, Saltus Panus e talvolta Saltus Pleno, Pano e
Spoano, ricorre ancora nei documenti dei secoli XI e XII.
Possediamo sufficienti informazioni, aggiunge Amedeo Benati, che ci
consentono di considerare il Saltus come uno dei vasti possedimenti
pubblici che, nell’ultima età di Roma, figuravano tra i
possedimenti imperiali ed erano amministrati da particolari
funzionari statali, i saltuari. Ma al tempo del placito di Cinquanta
non vi erano più i saltuari e il riferimento al Saltus Planus è da
intendersi solamente come indicazione di una circoscrizione remota,
non più esistente come entità amministrativa e/o politica.
Infatti il sistema di riferimento e di
individuazione dei beni fondiari fu, aggiunge sempre Benati, per i
secoli del primo medioevo e fin oltre il Mille, la pieve. (2)

 

 

Purtroppo la scarsità dei documenti di
quel periodo non ci consente di stabilire quale fosse la
circoscrizione territoriale della pieve di San Vincenzo nel IX
secolo. Soltanto un elenco dell’anno 1300, redatto per la
riscossione delle decime e dei tributi dovuti alla Santa Sede,
pubblicato da Pietro Sella nel 1928 (3), ci indica che la pieve di
San Vincenzo aveva una notevole prevalenza giurisdizionale sulle
altre circonvicine e che all’autorità di quel pievano erano
soggette ben venti parrocchie ed un ospedale, (la pieve di S.Pietro
in Casale ne contava soltanto sei). Ma torneremo in seguito
sull’argomento.

 

 

La seconda informazione importante,
contenuta nel documento, è l’indicazione che il comitato di Modena
aveva competenza giuridica in buona parte del Saltopiano. Nelle carte
del secolo X si trova ripetutamente che località del Saltopiano (fra
queste anche la pieve di San Vincenzo) vengono dette in territorio
(cioè diocesi) bolognese, ma di iudiciaria (comitato) di Modena).
Questa situazione probabilmente risale al periodo in cui il re
longobardo Liutprando occupò Bologna (727-728), dopo aver sfondato
la linea difensiva eretta dai Bizantini ed incentrata sul castrum di
Persiceta, oltre che su altri castelli quali Ferronianum,
Montebellium, Verabulum e Buxo. (4)

 

Il secondo documento (in ordine
cronologico) che riporta notizie sulla pieve di San Vincenzo, dopo il
placito di Cinquanta, è un diploma che l’imperatore Ottone I
emise nell’anno 962 (5) con il quale concedeva la corte di
Antoniano al prete Erolfo di Arezzo.

 

Faceva parte, questa corte, del
comitato di Modena e ricadeva per la maggior parte nella pieve di San
Vincenzo (diocesi di Bologna) con qualche appendice nella pieve di S.
Martino in Gurgo (diocesi di Ferrara). Specifica il Diploma di Ottone
I dell’anno 962 …curtem iuris nostri regni Antongnano nuncupatam,
situm in loco Saltospano, coniacentem comitatu Modenense in plebe
sancti Vincentii territorio Bononiensis et Ferrariensis….

 

La corte di Antoniano era inserita nel
territorio della pieve di San Vincenzo, quindi rappresentava una
parte, più o meno grande, di questo territorio, e le sue proprietÃ
e pertinenze probabilmente non erano tutte unite fra loro. Questa
corte era stata tenuta, a titolo beneficiario, da onifacio duca e
marchese (che probabilmente l’aveva ottenuta da Berengario II, re
d’Italia ed imperatore), il quale (Bonifacio) resse il comitato di
Bologna da circa l’anno 924 fino al 953, anno della sua morte. Nel
962, Ottone I di Sassonia (il grande), la concedette ad Erolfo
presbitero della Chiesa di Arezzo (di cui era vescovo Everardo,
figlio del marchese Bonifacio). Nel 970 una parte di questa corte era
in possesso di Ugo, marchese di Toscana, che la donò al monastero di
Marturi (Poggibonsi).

 

E’ bene precisare e sottolineare,
anche se potrebbe sembrare superfluo, che soltanto la corte di
Antoniano fu concessa ad Erolfo, e non la pieve di San Vincenzo e le
sue pertinenze. Purtroppo in qualche pubblicazione la vicenda è
riportata in maniera non molto chiara, tanto da poter indurre a
conclusioni sbagliate.

 

 

Ma quale era l’ubicazione della corte
di Antoniano e con quale località attuale può essere identificata?
Edmondo Cavicchi
(6) la colloca senza esitazione nell’attuale
territorio di S. Alberto (una delle parrocchie del comune di San
Pietro in Casale), ma non specifica i motivi di questa sua
convinzione. Amedeo Benati invece, pur arrivando alla stessa
conclusione, affronta l’argomento in maniera più articolata (La
pieve di S.Pietro in Casale) e fa riferimento al diploma ottoniano:

“Ottone I, per intervento
dell’imperatrice Adelaide e del duca Rodolfo, concede ad Erolfo prete, la corte di
Antoniano in Saltopiano, nel comitato modenese, pieve S. Vincenzo,
territorio Bolognese e Ferrarese, con tutte le sue pertinenze, fra
cui una cappella in onore del Santo Salvatore, e il ripatico di
Galliera e di Cocenno, così come l’ebbe in feudo Bonifacio duca e
marchese”.
Benati ritiene che la cappella di S.
Salvatore, citata nel diploma, sia da identificarsi con il monastero
di San Salvatore in Sant’Alberto (de terra sancti Alberti), ora
territorio del comune di San Pietro in Casale, che appartenne al
monastero vallombrosiano di S. Pietro di Moscheta (in Toscana) e poi
a quello di Opleta (Castiglione dei Pepoli, provincia di Bologna). La
chiesa di S. Alberto è rimasta in giurisdizione della pieve di San
Vincenzo fino ad epoca recente.
Un terzo documento (sempre del X
secolo) in cui è di nuovo citata la pieve di San Vincenzo è
dell’anno 972, 10 settembre (G. Cencetti:le carte bolognesi del X
secolo; originale nell’Archivio Arcivescovile di Ravenna), e si
riferisce ad una concessione enfiteutica fatta da Onesto, arcivescovo
di Ravenna, a Warino (o Guarino) conte di Ferrara e a sua moglie
Officia di un notevole complesso fondiario situato in diocesi
bolognese nelle pievi di San Vincenzo, S. Pietro in Casale e San
Martino in Gurgo. Si tratta delle selve Alitito e Renovata (ubicate
probabilmente nei pressi dell’odierno Altedo, dice Benati) e il
fondo Malito (ora Malalbergo), una parte della selva Maderaria
(Marrara) confinante a oriente con il fiume Gaibana (ora Po di
Primaro), il fondo Noaliclo nella sua interezza. In questo documento
viene citata per la prima volta la pieve di San Pietro in Casale.(7)

 

 

Certamente il luogo dove venne
edificata la pieve di S.Vincenzo (forse nel VII-VIII secolo) non fu
scelto a caso. Come infatti si può vedere da antiche mappe la
località si trovava ai margini di una antica ed importante via di
comunicazione che, provenendo da Bologna, conduceva verso il Veneto,
mentre altre strade minori la collegavano alla zona a sud est di
Ferrara (S. Martino in Gurgo), a Malalbergo (verso est) ed a Galliera
Antica (verso ovest). ( Le chiese battesimali sono state create nei
pressi e poi all’interno delle città e, dal IV-V secolo, anche
all’esterno, lungo le principali vie di collegamento fra un centro
urbano e l’altro e fra le civitates padane e le Alpi – Cfr. Medio
Evo n. 8 – agosto 2011).

 

 

 

Duno. In direzione di
Ferrara vi erano invece le chiese di San Pietro di Siviratico, S.
Michele di Poggio Renatico e di San Martino in Gurgo (o della
Pontonara). La presenza di tutte queste chiese, lungo (o nelle
vicinanze) di un unico asse viario, lascia pensare si trattasse di
una strada di notevole frequentazione. Sembra infatti ricalcasse il
percorso di un’ antica strada romana che, a destra del Reno antico,
collegava Bononia con il Veneto e con Aquileia
(colonia di diritto
latino fondata dai Romani nel 181 a.C.). Tracce di questa antica
arteria sono state rinvenute nella zona di Cinquanta intorno al 1990
in occasione della posa in opera di tubature per il metanodotto (S.
Cremonini) e, recentemente, nel sito archeologico di Maccaretolo, via
Setti, podere Bonora. Si tratta di brevi tratti di massicciata, più
volte rialzata, che ricordano, dice Gianluca Bottazzi (8), le ormai
ben note e documentate sezioni della via Aemilia a Cittanova (Mo) e
Borgo Panigale (Bo). I continui rialzamenti della massicciata, (4 o 5
riporti per uno spessore di mt. 1,60) danno la conferma che il
percorso è stato utilizzato anche in epoche successive a quella
romana di primo impianto. Per questa strada romana Gianluca Bottazzi
avanza cautamente la proposta d’identificazione con la via Annia,
una importante via consolare che secondo alcuni autori venne
tracciata nel 153 a.C. dal console Tito Annio Lusco tra l’Aemilia,
le terre venete ed Aquileia, dove la via è ben attestata
archeologicamente ed epigraficamente. In assenza di evidenze
epigrafiche nella nostra zona , aggiunge Bottazzi, pietre miliari o
toponimi stradali, si tratta soltanto di una ipotesi di lavoro
lontana da una facile attribuzione. Altri autori, riprendendo una
notizia piuttosto confusa del geografo greco Strabone, sulla
costruzione di una via repubblicana che agggirando le paludi per
raggiungere le terre degli alleati veneti, ne ipotizzano la
costruzione da parte del console M. Emilio Lepido (che nel 187 a. C.
aveva tracciato la via Aemilia) definendola convenzionalmente Emilia
Altinate. Sembra però non vi siano prove concrete per dar valore a
questa ipotesi. Altri studiosi (Cfr. Archeo n. 10 – ottobre 2011 –
Via Annia – Storie di una strada scomparsa) sostengono invece che
la via Annia sarebbe stata il prolungamento della via Popilia,
realizzata nel 132 a.C. dal console Popilio Lenate per collegare la
colonia di Rimini con il porto di Adria. Il compito di prolungare
questa arteria sino ad Aquileia, attraverso Padova, sarebbe stato
assunto, l’anno successivo, dal pretore Annio Rufo.
Altri tronconi della suddetta strada
sono venuti alla luce recentemente (2006). A Castelmaggiore, nei
pressi della località Castello, durante i lavori per la costruzione
di un invaso in vicinanza del canale Navile, alla profondità di
circa mt. 3,20 dal piano di campagna, è stata scoperta una strada di
evidente origine romana (simile a quelle scoperte nel Polesine,
riferisce Stefano Cremonini) (9) larga circa 8 metri e dello spessore
di circa 30-40 cm. (testimonianza personale) costituito
prevalentemente da ghiaia, mentre lo strato calpestabile era
costituito da ciotoli di fiume sui quali erano evidenti i solchi
scavati dalle ruote dei carri.
Comunque poco importa, a questo punto,
se la strada che passava da S. Vincenzo si chiamasse via Annia od
avesse altro nome. Ciò che conta è il fatto che i residui di strada
romana rintracciati in varie zone indicano che una strada importante
partiva da Bologna ed arrivava a Padova passando anche per il luogo
dove in seguito fu costruita la pieve di S. Vincenzo.
Questi luoghi erano già intensamente
abitati in epoca romana (II e I sec. a. C. – I, II e III sec. d.
C.), particolarmente nei primi due secoli del periodo imperiale, ma
anche in epoche successive (periodo bizantino). Particolarmente,
nella zona di Maccaretolo (distante circa 2 km. da S. Vincenzo
vecchio), esisteva un ampio insediamento, un vicus, confermato da
sondaggi e scavi eseguiti ad hoc con inizio nell’autunno dell’anno
2000 e protrattisi fino alla primavera del 2001. Gli scavi, eseguiti
entro la pertinenza del grande affioramento di materiale archeologico
romano già noto dal 1984 (Maria Minozzi Marzocchi 1991) (10),
avevano uno sviluppo lineare complessivo di 800 metri con una
profondità media di 1,5-2 m. (testimonianza personale).
Questi insediamenti si trovavano sulla
destra del fiume Reno antico, che in quel periodo scorreva
all’incirca dove ora passa la ferrovia Bologna-Venezia, con un
percorso non proprio rettilineo, ma che descriveva meandri sia verso
levante che verso ponente.(in seguito il fiume si spostò
gradualmente verso occidente fino a trovarsi ad ovest di Cento)
Di fronte al luogo dove si trovava la
vecchia chiesa ( nell’attuale via Valle, dove ha sede la Tenuta
Vittorina), vi era un terreno, denominato Il Castellazzo (Fig. 6)
che, nel 1641, era di proprietà dell’Ospedale S. Anna di Ferrara.
Come si può vedere dalla mappa sotto riportata, nel 1641 c’era
ancora la torre del vecchio castello che, molto probabilmente, fu
costruito dai Caccianemici. Infatti scrive Elisabetta Mora: Gli
estimi del 1296-97 e del 1304-05 rivelano che molte famiglie
bolognesi possedevano torri non solo in città, ma anche nel contado.
Dirò brevemente di ognuna.

 

I Caccianemici dell’Orso possedevano
una torre nella curia di Alberto ed una in quella di S. Vincenzo.
(1304-05) Alberto del fu Jacopo dei
Caccianemici della cappella di S. Ippolito dichiarava: “In
primis habet medietatem unius chastri positum in curia S. Vicenzii
cum medietatem unius turis poxita in dicto castro iuxta d. Guillelmum
q.d. Chaçanimicis et iuxta viam a duobus lateribus quam extimat
centum lib.bon.” (11)

Anche se scritto in latino è
abbastanza comprensibile che si riferisce ad un castello con torre,
posto nella curia di S. Vincenzo, e che il terreno confinava per due
lati con la via pubblica.
E’ in locho detto Santo Vincenzo,
et al presente affittati al mag. Giovanni Mazzacurati da S.to
Vincenzo e prima un pezzo di terreno casamentivo dell’infrascritte
fabriche, con casale, horticello, et seraglio attorno di spinate con
piope da cima dietro alle confine, et alcuni fruttari per dentro
nominato il Castelazzo, et tra questi confina da un capo le ragioni
del detto Hospitale lavorati da Barba Girolamo Fregnani, dall’altro
lato le terre dette il Bellino pur di detto Hospitale……..

DAGLI ESTENSI AL CARDINALE
LAMBERTINI

Nell’archivio parrocchiale di San
Vincenzo esiste una memoria stilata nel 1840 dal parroco don Agostino
Ortolani nella quale è riportato che anticamente la pieve di San
Vincenzo era collegiata ed i canonici della medesima ne eleggevano il
parroco, come riscontrasi da rogiti del notaro bolognese Paolo Cospi,
17 novembre 1376, e 19 febbraro 1377.
In seguito il Gius Padronato fu
posseduto da certo sig. Giacomo Ferretti di Bologna(Vacchettino 513
dell’Alidosio Archivio Pubblico di Bologna) dal quale passò a
certo (nel 1428 alla famiglia di) sig. Aldrovandino Turchi di Ferrara
(per donazione fatta dal suddetto Giacomo Ferretti) come consta dagli
atti di nomina nell’Arcivescovado di Bologna.
In seguito fu dato il Gius Padronato di
questa Pieve alla Serenissima casa d’Este
residente in Ferrara,
come da rogito di Silvestro Zucchini notaro delli 29 decembre 1570.
Però nell’Archivio Arcivescovile di
Bologna è conservato un documento nel quale appare chiaramente la
competenza, già prima dell’anno 1522, ad eleggere il parroco di
San Vincenzo ed Anastasio al Duca Alfonso I d’Este (Fig. 7). Ne
riportiamo una parte tradotta dal latino dal prof. Giulio Fabbri:
Nel nome di Cristo, amen. Nell’anno
della Natività dello Stesso 1522, indizione X.ma , giorno 14 di
luglio a Ferrara, nel palazzo dell’Illustre Sig. costituente e
nella camera residenziale di Celone, presenti i testimoni convocati,
e pregati i magistrati e l’Ill.mo giurisperito Sig. Matteo Casella,
il consigliere di giustizia Sig. Girolamo Ziliolo detto Celonio,
maestro di camera ed altri.
L’Ill.mo Principe ed esimio Signore
Alfonso d’Este, Duca di Ferrara, Modena e Reggio, marchese estense
di Rovigo, figlio, che è doveroso per me onorare, del principe
invitissimo Signor Duca Ercole, e a cui spetta e appartiene per
diritto e antica consuetudine il giuspatronato nella chiesa, e al
quale spetta l’elezione, la nomina e la presentazione del Rettore
alla chiesa quando capiti che è vacante. Ma piuttosto confermando in
ogni miglior modo, con la via, il diritto, la causa e la forma, con
cui più e meglio potè e può, fece, stabilì, creò e solennemente
ordinò il suo vero, certo e indubitato avviso, Galeazzo, figlio di
Antonio de Schivazappi, notaio pubblico ferrarese presente e
accettante, specialmente ed espressamente in nome dello stesso Ill.mo
Sig. Duca Alfonso e patrono doversi nominare, eleggere (scegliere) e
presentare il Reverendo Sig. Ippolito, figlio del predetto Signor
Girolamo Zilioli, chierico ferrarese, e qualunque suo legittimo
procuratore e da lui legittimamente costituito, a Rettore e pro
Rettore della chiesa parrocchiale o plebe della villa di San
Vincenzo, Diocesi di Bologna, da poco vacante dopo la morte del fu
Venerando uomo don Pietro di Quinto, ultimo ed immediato Rettore di
quella chiesa, defunto fuori della Curia Romana….

 

 

La pieve di San Vincenzo dista circa 16
chilometri da Ferrara, mentre è lontana circa 24 chilometri da
Bologna.

 

Quando il fiume Reno aveva ancora un
altro corso (più ad ovest) e non costituiva il confine fra il
territorio bolognese e quello ferrarese molte terre in territorio di
San Vincenzo erano di proprietà di famiglie ferraresi, come i
Bevilacqua, che possedevano pure il castello di S.
Prospero ed il terreno dove, nel 1737, fu edificata la nuova chiesa
di San Vincenzo.
I Gualenghi, che nel triangolo compreso
fra Gavaseto, Maccaretolo e Le Tombe possedevano una notevole
quantità di terre che il 22 marzo 1445 cedettero ad Annibale
Bentivoglio, pochi mesi prima che questi venisse ucciso da
Baldassarre Canetoli, e sul qual terreno nel 1490 Giovanni II
Bentivoglio
edificò il palazzo, ancora esistente, detto appunto
delle Tombe (13).
I Turchi possedevano terre che poi
cedettero all’Ospedale S. Anna di Ferrara. Infatti documenti
custoditi nell’Archivio di Stato di Ferrara testimoniano che
Aldovrandino de Turchi vendè a questo Ospitale diverse pezze di
terre poste nella villa di San Vincenzo riservato però ad esso
venditore il Juspatronato nella villa o pieve di San Vincenzo come da
instrumento stipulato per Rogito di Bartolomeo Gogo notaro li 3
giugno 1499 registrato in catastro …quale serve come sopravendute
da detto Turchi al predetto Ospitale. Esso ne aveva fatto l’acquisto
da diversi possessori nominati nel catastro. Il medesimo Ospitale
acquistò da Virgilio Macinatori e da Pasqualino Rizzi diversi corpi
di terreno parte vallivi, prativi e pascolivi posti nella villa di
San Vincenzo, come da rogito Pietro Antonio Franco notaro del 15
gennaio 1540. Parimenti il medesimo Ospitale comprò da Pellegrino e
Pavolo ed altri de Manfredini da San Vincenzo altri terreni come da
instrumento stipulato per rogito di Giovan Marchetti notaro di
Bologna li 24 e 27 novembre 1548.

 

 

 

Aldovrandino Turchi vendette le terre
all’Ospedale S. Anna, ma si riservò il Juspatronato sulla pieve di
San Vincenzo; Juspatronato che la sua famiglia aveva ricevuto in
donazione nel 1428 da Giacomo Ferretti di Bologna, come è riportato
nella memoria di don Ortolani.
I Turchi rappresentano una antica e
nobile famiglia ferrarese che discende da Truculo Console di Ferrara
(1164) figlio di Federico Duca (1147) della potente stirpe dei
Gioccoli. Infeudati di Ariano fino dal XIII secolo, furono vassalli
degli Estensi e si imparentarono con essi nel 1290 quando un altro
Aldovrandino sposò Maddalena d’Este, figlia del Marchese Obizzo.
Il nostro Aldovrandino fu invece ambasciatore in Francia per il duca
Alfonso I, come vi andò più tardi Alberto Turchi.
Prima di possedere il palazzo che fece
costruire Aldobrandino de Turchi detto Tigrino nel 1479 sulla via dei
Piopponi, questa famiglia abitava sulla via grande dove è l’arco
detto tuttora volto del Turco (14). 1567 DIE 16 JUNII

 

ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO
GABRIELE CARDINALE PALEOTTI BOLOGNESE

 

La riproduzione di cui alla fig. 8 (fig. accanto) si
riferisce alla prima visita pastorale effettuata alla chiesa nel 1567
e di cui abbiamo cercato di decifrare alcune disposizioni contenute.
(15)
La prima descrizione della chiesa in
maniera abbastanza precisa e dettagliata è stata fatta dal parroco
don Pietro Ronchi nel 1718,
quando ormai la chiesa era stata
abbandonata a causa dell’inondazione del Reno.
Al nome di Dio, questo dì 30
aprile 1718 in San Vincenzo.
Inventario di mobili, immobili,
obblighi, scritture pertinenti alla chiesa arcipretale dei Ss.
Vincenzo e Anastasio di Piano, Jus padronato del serenissimo sig.
Duca di Modona, come nell’ultima presentazione fatta di me
infrascritto dal medesimo sig. Duca sotto li 4 settembre 1678 per
rogito del sig. Melga notaro pubblico di Bologna.

Primo la suddetta chiesa ha per
titolare Ss. Vincenzo ed Anastasio, et il comune pure si chiama S.
Vincenzo. Stando la chiesa a levante con l’Altar Maggiore e le due
porte a occidente, distante da Bologna miglia n. 18 e la strada più
comoda è quella di Galliera per S. Pietro in Casale.
Vi sono chiese n. 6 parrocchiali, cioè
Malabergo, Pegola, Macaredolo, S. Venanzio, Galliera e Dosso
soggette.
La suddetta chiesa è di fabbrica
vecchia, col coro in volto ed il resto a capanna lunga piedi 40 e
larga piedi n. 25, con sette cappelle et otto altari computandovi
l’altar maggiore.
L’altar maggiore, l’altare del
Rosario, l’altare di S. Francesco, l’altare di Santa Caterina,
l’altare di S. Antonio da Padova, l’altare di S. Giuseppe,
l’altare di Santa Monaca, l’altare della Immacolata concezione.
In detta chiesa vi sono tre sepolture,
una detta di S. Giuseppe che s’aspetta alli heredi del fu Camillo
Fabri, la seconda al sig. Paolo Manferdini e la terza al sig. Ercole
Tamboli.
La detta chiesa ha finestre n. 6. Vi è
poi il coro che vi è competente. Il cimiterio è contiguo alla
chiesa, quale è di lunghezza piedi 40, e largo piedi n. 30. Il
piazzale della chiesa è lungo due pertiche e largo pertiche tre. Il
campanile è fabbricato sulle muraglie del coro, con due pilastri in
volto con due campane, la maggiore è pesi n. 35 in circa, la minore
piedi n. 25 in circa. La canonica sta unita alla detta chiesa da
mezzogiorno con stanze in tutto n. 7. Vi è una loggia, un granaro,
una cantina.
Il battistero è di marmo con la sua
coperta di noce.

Io, per obbedire alli comandi del mio
superiore, ho fatto la presente descrizione; ma bisogna avvertire che
la suddetta chiesa, canonica, sagrato, non si praticano più a causa
dell’inondazione del Reno, et ora si officia da molti anni in quÃ
nell’oratorio detto di S. Maria di Scardova, dove si è trasportato
il battesimo ed il Santissimo Sacramento.
Aggiungo che lo stato delle anime da
Comunione di questa mia pieve, tra uomini e donne, ascende al numero
di trecento in circa. E questo è stato per l’inondazione del Reno.

Ego Petrus Ronchius
Archipresbiter (
16)

 

L’oratorio della famiglia
Scardova, detto di Santa Maria in Embriano,
si trovava, come
scrive don Ortolani, in vicinanza alla strada detta della Valle, e
precisamente nel predio del sig. Pietro Cenacchi di Maccaretolo, il
quale oratorio fu demolito nel 1795.
Alcuni autori hanno confuso questo
oratorio con quello di Santa Maria in Soresano ed io stesso sono
caduto nell’errore nel libro “Galliera Antica”. Ma
nell’archivio parrocchiale di San Venanzio, trovato in seguito,
esiste un libro delle “Controvisite” effettuate nel 1765 dal
parroco di S. Vincenzo e vicario foraneo, don Domenico Arrighi, su
disposizione del cardinale arcivescovo Vincenzo Malvezzi, affinchè
si accertasse che fossero stati eseguiti i decreti impartiti in
occasione della sua prima visita pastorale effettuata nel gennaio
1755. Ed in questo libro è scritto chiaramente che esisteva, in
parrocchia di S. Vincenzo, un oratorio detto di Scardua, nel quale
vi è un benefizio semplice e di Giuspadronato della Nobil famiglia
Bovi, sotto il titolo di Santa Maria in Embriano, e che in parrocchia
di S.Andrea di Maccaretolo vi era un oratorio di Santa Maria in
Surisano di Juspadronato di S. Ecc.za il sig, Quaranta Caprara.
Questo ultimo oratorio, ricostruito, esiste ancora ed è dedicato a
Santa Lucia e Sant’Agata. (17)
Nel 1736, su istanza del cardinale
arcivescovo di Bologna Prospero Lambertini
(fig. 9), il duca di
Modena, Rinaldo
I (fig. 10), acquistò dal marchese Francesco
Bevilacqua una pezza di terra arativa ed in qualche parte arborata, e
con alcune viti, di tornature una, tavole centoventiquattro e piedi
quarantuno, posta nel suddetto comune di S. Vincenzo e confinante, a
mezzogiorno, con la pubblica via denominata del Manzatico (attuale
via Vittorio Veneto) al prezzo, stimato dal perito agrimensore
Domenico Maria Viaggi, in lire 291, soldi 13 e denari 4, allo scopo
di costruirvi la nuova chiesa parrocchiale.
La chiesa fu ultimata nel 1737 mentre
la canonica fu costruita nel 1780 dal parroco don Francesco Antonio
Ronchini. (18)
Veramente singolare e degna di nota la
vita del duca Rinaldo I. Infatti, nato nel 1655ed essendo di
costituzione debole e cagionevole, venne destinato alla carriera
ecclesiastica e nel 1688 ricevette la porpora cardinalizia da papa
Innocenzo XI. Partecipò all’elezione di due papi: Alessandro VIII
ed Innocenzo XII. Poiché la casata d’Este rischiava di rimanere
senza eredi papa Innocenzo XII accettò le sue dimissioni da
cardinale e gli consentì di sposare Carlotta Felicita di Brunswick e
Luneburg, da cui ebbe sette figli. Morì nel 1737.
Questa chiesa è di ordine toscano in
volta con quattro cappelle laterali, e suoi intercalary, ed il coro
in forma rotonda, il tutto di buona struttura, ed è posta colla
facciata dal sudest all’ovest. La sua lunghezza, dalla porta
maggiore fino al muro del coro, è di piedi 63 – e la sua
larghezza, di una sola navata, è di piedi 22 – essendo inoltre
internate le cappelle. (Memoria di don Ortolani)
II duca di Ferrara e di Modena,
conservò il diritto di nomina dei parroci fin all’anno 1770 anche
quando passò a risiedere in Modena. Nel detto anno, e precisamente
nel giorno 20 ottobre 1770, il duca Francesco III (fig.13) ne fece
regolare cessione al cardinale Vincenzo Malvezzi, arcivescovo di
Bologna (fig.14), a rogito di Giuspare Sacchetti, notaro
arcivescovile.
In chiesa esiste una lapide che ricorda
tale evento.
LA FESTA PATRONALE SI TIENE IL 22 GENNAIO.

 fig.11-12

 

 fig. 13-14

fig. 15-16

Ricerca di  Franco Ardizzoni

 

NOTE

 

(1) Cesare Manaresi. “I placiti
del Regnum Italiae”. Volume primo. Roma 1955. Tip. del Senato,
Fonti per la storia d’Italia pubblicate dall’Istituto stocico
italiano per il Medioevo
(2) Amedeo Benati. “Il
Saltopiano”. In “La Pieve di San Pietro in Casale”.
Parrocchia di San Pietro in Casale (Bologna) 1991.
(3) La *diocesi di Bologna nel
milletrecento / Pietro Sella. – Bologna : Stab. poligrafici
riuniti, 1928. ((Estr. da: Atti e memorie della R. Deputazione di
storia patria per le Romagne, S. 4., vol. 18.
(4) Amedeo Benati. Il Saltopiano. In
Romanità della Pianura. pag. 352
(5) Giorgio Cencetti – Le carte
bolognesi del Secolo Decimo . Bologna – Cooperativa Tipografica
Azzoguidi. 1936.
(6) Edmondo Cavicchi. “Il fiume
Reno”. Storia e percorso dall’Appennino All’Adriatico.
A cura di Oriano Tassinari Clò. Edizioni Luigi Parma. Bologna 1989.
(7) Amedeo Benati. “La Pieve di S.
Pietro in Casale”. Op. Cit.(8) Elisabetta Mora – Le torri
gentilizie di Bologna nelle denunce d’estimo (1296-97 e
1304-05) in il Carrobbio 1990.
(8) Renata Salvarani, Nella rete del
Signore, in Medioevo n.8 – agosto 2011.
(9) Bottazzi G. 2003, Maccaretolo di
San Pietro in Casale (Bologna). Dall’agglomerato romano agli
insediamenti medievali, in Maccaretolo. Un pagus romano della
pianura, a cura di S. Cremonini, Deputazione di Storia Patria per
le Province di Romagna, Documenti e Studi Voll. XXXII, Bologna 2003,
pp. 107-179.
(10) Stefania Berlioz, Storie di una
strada scomparsa, in Archeo 320, ottobre 2011.
(11) Cremonini S., 2003a, 
Contesti stratigrafici del sito archeologico di Maccaretolo 
Via Setti (S. Pietro in Casale ,BO). Problemi geomorfologici e
paleoambientali, in  Documenti e Studi d. Deputazione di Storia
Patria per le Province di Romagna, 32, pp. 9 -106.
(12) M. Minozzi Marzocchi. Carta
archeologica preliminare della mediaBassa bolognese. In RomanitÃ
della pianura.Giornate di studio. S.Pietro in Casale 7/8 aprile
1990. Lo Scarabeo. Bologna 1991.
(13) Elisabetta Mora. Le torri
gentilizie di Bologna nelle denunce d’estimo (1296-97 e 1304-05).
In Carrobbio 1990. Vol. XVI. P. 281-296.
(14) Archivio di Stato di Ferrara.
Fondo Ospedale S. Anna – Busta 759 (Mappe dei beni).
15) Fondo Ospedale S. Anna. Beni
posti nel bolognese, paf. 181
(16) Francesca Bocchi. Il
patrimonio bentivolesco alla metà del ‘400, “Fonti per la
storia di Bologna”, V, Istituto per la Storia di Bologna,
1971, pp. 211.
(17) Dizionario Storico-Araldico
dell’Antico Ducato di Ferrara, compilato dal conte Ferruccio Pasini
Frassoni. Biblioteca Ariostea. Ferrara.
(18) Archivio parrocchiale di S.
Vincenzo. Libro delle Sacre Visite.
(19) Ibidem. Cassetta n. 2. Fascicolo
IV.
(20) Ibidem. Libro delle
Controvisite.
(21) Ibidem. Cassetta n. 2. Fascicolo
I.
BIBLIOGRAFIA
-A. Benati – La Pieve di S. Pietro
in Casale. Parrocchia di S. Pietro in Casale 1991.
-T. Casini – R. Della Casa – Pievi
e vicariati foranei del Bolognese in l’Archiginnasio 1919.
-L. Casini – Il contado Bolognese
durante il periodo comunale : (sec. 12-15). A cura di Amedeo
Benati e Mario Fanti. 1991-1909.
-P. Foschi – Le pievi della
pianura e la pieve urbana. Bologna 2009.
-Aldo A. Settia- Pievi e cappelle
nella dinamica del popolamento rurale. In Cristianizzazione
ed organizzazione ecclesiatica delle campagne nell’alto Medioevo:
espansione e resistenze. 1982.

 

Didascalie Foto

Fig. 1 – L’ANTICA PIEVE DI
SAN VINCENZO.
Disegno eseguito da Egnazio Danti
Nel 1578 e conservato
presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna.
(Manoscritto “Gozzadini 171”).
M. Fanti “Ville, Castelli, e Chiese Bolognesi…

 

Fig. 2 – Pianta ipotetica,
puramente indicativa, del Saltus Planus,
tracciata secondo le
indicazioni descritte da Amedeo Benati nei suoi saggi contenuti nelle
due pubblicazioni “Romanità della pianura” e “La Pieve di
S. Pietro in Casale”.
Il segno interno, di colore azzurro,
indica , sempre con la stessa approssimazione, il territorio della
pieve di San Vincenzo così come viene descritto nell’elenco
diocesano dell’anno 1300, pubblicato da Pietro Sella.

 

Fig. 3 – OTTONE IL GRANDE (912-973).
Miniatura tratta da una copia del Manuscriptum Mediolanense,
ca. 1200, conservato presso l’Archivio Vaticano.

 

Fig. 4 – Mappa delle strade di S.
Vincenzo redatta nel 1774
dal perito Angelo Scandellari,
in cui si può chiaramente osservare che la vecchia chiesa si
trovava esattamente in un quadrivio. Quindi in un punto estremamente
importante, servito da strade per tutte le direzioni. La mappa è
conservata presso l’Archivio Parrocchiale di S. Vincenzo.

 

Fig. 5 – CINQUANTA
(Comune S. Giorgio di Piano), sede del Placito dell’anno
898.
L’attuale chiesa parrocchiale.

 

Fig.
6
Terreno
detto
il Castellazzo.
(Archivio
di Stato di Ferrara – Fondo Ospedale S.Anna) (12)

 

Fig. 7 – Alfonso
I D’Este
in un dipinto di Dosso Dossi. Modena,
Galleria Estense.

 

Fig.
8 – Verbale della 1^ visita pastorale effettuata dal
cardinale Gabriele Paleotti il 16 giugno 1567.

 

Fig.
9 – Il
cardinale Arcivescovo di Bologna Prospero
Lambertini
(1675-1758) in
un dipinto di
Giuseppe
Maria Crespi

(1665-1747).
Bologna. Collezioni
comunali d’arte.

 

Fig.10
– Ritratto di
Rinaldo I D’Este,
1655-1737), duca di Modena e
Reggio,col dominio della Garfagnana, e cardi nale. Modena, Galleria
Estense, autore anonimo

 

Fig.
11 La
chiesa dei Ss. Vincenzo ed
Anastasio
in una incisione
di Enrico Corty.
Da Le Chiese
parrocchiali della Diocesi di Bologna 1844-1851. Il campanile è
stato costruito nel 1844 dal Brighenti.

 

Fig.
12 – L’
attuale chiesa
parrocchiale
con la facciata
disegnata nel 1925 dall’ing. Ildebrando Tabarroni (1881-1958).
Purtroppo con il terremoto del maggio 2012 la chiesa è stata resa
inagibile, così come quella di S. Venanzio e quella di S. Maria del
Carmine.(Le altre due parrocchiali del comune).

 

Fig.
13 – Il duca di Modena e Reggio,
Francesco
III d’Este
(1698-1780), in un
ritratto di autore anonimo emiliano del XVIII secolo conservato
presso il Seminario Metropolitano di Reggio Emilia

 

Fig.
14 – Ritratto del
cardinale
arcivescovo Vincenzo Malvezzi

(1715-1775)conservato presso la Biblioteca comunale
dell’Archiginnasio di Bologna.

 

Fig.
15 – Chiesa dei Ss.Vincenzo ed Anastasio. Pala
dell’altar maggiore
eseguita
dal Pittore modenese
Luigi
Manzini
(1805-1861) nel 1857.
Nella scheda della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici è
stata erroneamente attribuita al secolo XVIII

 

Fig.
16 – Chiesa dei Ss. Vincenzo ed Anastasio.
Quadro
dell’ Immacolata Concezione,
posto
sul primo altare a destra, di autore anonimo del Settecento,
restaurato di recente da Licia Tasini di Pieve di Cento.