Il “Porto” di Malalbergo. Giulio Reggiani

Non si conosce con precisione l’anno
di costruzione della Chiusa di Casalecchio, forse
l’opera idraulica più¹ importante della città di Bologna in
epoca medioevale, ma la si può collocare con certezza verso la fine
del XII secolo (1); il progetto globale dei Ramisani, però,
presupponeva, oltre al percorso fluviale cittadino,
anche un successivo prolungamento verso nord, ma soltanto per un
tratto di pianura, pur se abbastanza consistente, cioè fino al
limitare delle persistenti zone vallive attigue al Reno (2).
Questa idea fu quindi conseguentemente attuata ed ampliata dal
Senato Bolognese negli anni successivi; infatti durante ben
due secoli, il Duecento ed il Trecento, i lavori di
allungamento del Canal Naviglio, tendenti ad una
cosiddetta “via d’acqua unica” verso Ferrara,
portarono ad una stabilità di comunicazioni mercantili fra le due
città: già nel 1271 era possibile la navigazione interna fra
Bologna e Venezia, come dimostra il passaggio in quell’anno delle
truppe bolognesi lungo il Po di Primaro (3); questo tracciato
navigabile si snodava così: dal Porto di Corticella fino a
Pegola, poi a Torre della Fossa, da qui al Po Grande, quindi a
Chioggia e successivamente a Venezia (4).
Inoltre, tutto ciò s’inquadrava
perfettamente nella politica d’espansione del Comune felsineo che
puntava, oltre che ad un collegamento commerciale abbastanza stabile
con Ferrara e con Venezia, anche ad un’espansione territoriale
tendente alla salda occupazione di tutta quella vasta landa ferrarese
a sud di quella città che arrivava fino al limitare ovest della
Valle San Martina. Ne è testimonianza fattiva la
costruzione, nel 1242, della Torre dell’Uccellino,
situata a pochi chilometri dalla città estense ed ancor oggi in
buono stato di conservazione. Questa torre non era soltanto una
normale torre d’avvistamento, ma costituiva un vero e
proprio avamposto militare, ben compatto ed organizzato,
costruito per rinsaldare le ultime conquiste in quel territorio
ferrarese che aveva appena trascorso un periodo travagliato, con
lotte interne di fazioni politiche contrastanti, ma che stava
rinsaldandosi sotto l’egida della famiglia Estense,
avendo appena visto Azzo VII Novello diventare il vero Signore
della città nel 1240.

Ecco allora che dopo circa un secolo
dall’edificazione della succitata “Chiusa di Casalecchio”,
andava consolidandosi per Bologna un irreversibile processo espansivo
in due direzioni: 1) quella economica, legata agli opifici tessili
all’interno della città, 2) quella commerciale, all’esterno,
legata pur anche ad un’espansione “manu militari” che la
stava portando ad un forte ampliamento territoriale, particolarmente
verso nord.
Fu così che nell’anno 1292 il
Senato Bolognese decise un robusto stanziamento per la
costruzione di quel tratto di Canale Navile che da Pegola doveva
arrivare a Malalbergo, saldando in tal modo la cosiddetta
“Navigazione Superiore” a quella “Navigazione
Inferiore” che iniziava con il Canal Morto, s’inoltrava
poi nelle valli per raggiungere il Po di Primaro, infine
arrivava in tal modo alla città estense. I Bolognesi pensarono
quindi che fosse indispensabile consolidare e rafforzare la loro più
vitale arteria commerciale verso nord, cioè verso Ferrara e
Venezia.

L’opera, che terminò nel 1314,
cambiò radicalmente la vita di Maletum (antico e primigenio
nome di questo piccolo centro ai confini col Ferrarese) e ne
determinò non soltanto le fortune economiche per alcuni secoli, ma
anche il cambiamento del topònimo, che passò dall’originario
Maleto (l’equivalente in lingua volgare del latino Maletum)
al successivo Mal’Albergo (con l’apostrofo), diretto
progenitore dell’odierno Malalbergo (senz’apostrofo) (5). Il
nome, che significa letteralmente “cattivo albergo”, è
legato al periodo in cui il paese era situato al confine dello Stato
pontificio con il Ducato Estense, esattamente nei secoli XV e XVI:
esso si trovò ad essere rifugio di parecchi fuoriusciti ed anche,
probabilmente, di malandrini, di gente con pochi scrupoli, di persone
assai poco affidabili; ecco quindi che, parallelamente al grande
numero di furti, sotterfugi, ruberie ed angherie, riconducibili al
forte sviluppo globale del “Canal Naviglio” dal punto di
vista commerciale (constatabile sia nel volume di merci traghettate
che, naturalmente, nell’aumento del numero di passeggeri
transitanti nel paese) la consuetudine semantica riferibile al paese
cambiò pure la denominazione della località, trasformandola da
Maleto (termine già abbastanza “fosco”) in un
peggiorativo Mal’Albergo.

Il fatto di trovarsi al limitare del
bolognese col ferrarese e su quella via d’acqua sempre più
frequentata fece sì che venisse edificata nel XV secolo un’apposita
costruzione quale sede della Gabella Grossa di Bologna, avente
il compito di controllare e tassare le merci in entrata ed in uscita
dallo Stato (6). Se nel Trecento, con l’allungamento del tratto del
Navile cui s’accennava poc’anzi, cominciò a prender forma il
Porto di Malalbergo anche grazie al
trasferimento delle attività portuali prima insediate nella vicina
Pegola, nei due secoli successivi, con il progressivo aumento del
volume di scambio-merci, si ebbe conseguentemente un grande sviluppo
economico sia del “Porto” che, parallelamente, di tutto il
paese (7). S’impiantarono diversi nuovi mestieri, come calafatai,
“barcaroli”, falegnami, facchini, “nolezini di
barche”, e se ne rafforzarono altri, come osti ed
“albergatori”; siccome oltre alle merci si fermavano
numerosi viaggiatori che qui spendevano svariati “bolognini”,
il numero di osterie, bettole e locande aumentò in modo
esponenziale. Simmetricamente a questo sviluppo economico, si ebbe un
altrettanto repentino “boom demografico” che portò
Malalbergo ad essere uno dei centri abitati più importanti della
pianura bolognese durante il XV ed il XVI secolo.

Il Porto di Malalbergo
visse il suo miglior periodo verso la fine del Cinquecento:
infatti esso mantenne intatta la sua importanza fino allo
sfaldamento del Ducato Estense ed all’inglobamento della sua parte
ferrarese nello Stato Pontificio nel 1598. Questo “fulgore
economico” fu possibile sicuramente per due motivi: per la sua
vicinanza al confine e per la sede terminale della Gabella Grossa
Bolognese sul Navile.

Anche nel XVII secolo il “Porto di
Malalbergo” restò un punto di riferimento per le merci o per i
passeggeri che sfruttavano la via d’acqua del “Canal Naviglio”
per gli spostamenti, ma cominciò a risentire di una certa qual
decadenza, coincidente (e ciò non parrebbe essere una casualità)
con l’unità statuale fra il bolognese ed il ferrarese, inseriti
ambedue nello Stato della Chiesa.

Nel Seicento e nel Settecento
il flusso di merci e di viaggiatori restò abbastanza elevato, pur se
in progressivo calo (8); ciò avvenne per due sostanziali motivi: 1)
in primo luogo perché qui terminava la Navigazione Superiore
ed iniziava la Navigazione Inferiore, cioè terminava il
Canale Navile e, per continuare il viaggio verso Ferrara, si doveva
trasbordare nella Conca (detta pure Canal Morto):
quest’operazione richiedeva un considerevole lasso di tempo, tale
da determinare una fermata consistente, quasi sempre della durata di
una giornata intera o di gran parte di essa. Il fatto di dover
trasportare le merci da un canale all’altro richiedeva non solo
tempo ma anche servizi logistici e di stoccaggio; inoltre faceva sì
che le persone che accompagnavano o sorvegliavano il carico
alloggiassero o si rifocillassero nelle vicinanze del “Porto”,
dov’erano ubicate osterie, bettole e locande. Naturalmente questo
valeva pure per i passeggeri in transito, che qui dovevano
obbligatoriamente passar la notte, nel caso fossero arrivati in paese
sul far della sera; 2) in secondo luogo perché il trasporto via
acqua, oltre ad essere economicamente più favorevole, era l’unico
possibile durante la cattiva stagione a causa della impercorribilitÃ
della quasi totalità delle strade nella bassa pianura bolognese.

Il progressivo calo del volume degli
scambi commerciali fra Bologna e Ferrara nei secoli XVII e XVIII
s’accentuò poi in epoca napoleonica, ed in modo crescente per
tutto l’Ottocento, determinando l’inarrestabile
decadimento del “Porto di Malalbergo”; il Canale Navile
servì sempre più per l’irrigazione, continuando però ad essere
solcato dai famosi burchielli (imbarcazioni abbastanza
“lievi”, di stazza relativamente notevole e trainate da cavalli)
per il trasporto di prodotti rurali locali verso la città. Per
assurdo, l’opera più grossa ed impegnativa riguardante il “Porto”,
cioè la costruzione del “Sostegno di Malalbergo”
sul Navile effettuata nel 1775, segnò
irrimediabilmente, dal punto di vista commerciale, la sua decadenza
ed indirettamente anche quella del paese, proprio perché andò ad
eliminare quei “periodi di sosta” (essenziali sia per il
trasbordo delle merci che per il ristoro od il pernottamento delle
persone) necessari per passare da una “Navigazione”
all’altra.

Così, consentire nel paese stesso il
passaggio continuo delle acque del Canale Navile verso il Reno,
proprio al confine fra le due province, significò infliggere un
colpo mortale, come detto poc’anzi, a tutte quelle attivitÃ
(riguardanti sia le merci che le persone) legate ad una interruzione
forzata sul percorso di navigazione fra Ferrara e Bologna.

Note bibliografiche

(1) Molte
fonti storiografiche indicano come anno di costruzione il 1191, ma
esse sono documentazioni indirette, tutte posteriori anche di alcuni
secoli, e riportano notizie, per così dire, “
non
di prima mano
”.
Parecchi studiosi, però, accettano come anno di fabbricazione del
primo manufatto questa data del 1191; bisogna aggiungere, ad onor del
vero, che tale datazione dovrebbe indicare l’opera lignea mentre
quella in muratura fu certamente posteriore a quella primigenia e
probabilmente di svariati anni. Infatti pare assodato da alcuni
documenti che nel 1327 il Senato Bolognese, sotto la protezione de
l
Cardinal Legato Bertrando Del Poggetto,
stabilisse
di costruire la chiusa in muratura circa 250 metri a monte di quella
di legno. Ma alcuni anni dopo, dapprima una rovinosa piena del Reno e
poi l’esercito modenese, la distrussero; così nel 1367 il
Cardinale Albornoz la
fece ricostruire un po’ più a monte, praticamente nella posizione
attuale.

(2)I
“
Ramisani”
costituivano a quel tempo una sorta di “
Consorzio
imprenditoriale”
,
fatto da proprietari terrieri che possedevano pure vasti tratti
dell’arginatura fluviale del Reno a Casalecchio; essi intuirono
per primi il grande valore economico di una vena d’acqua
attraversante la città di Bologna e decisero quindi la costruzione
della “
Chiusa”
con il conseguente “
Canal
di Reno
”. Su
ambedue i manufatti, il Comune Bolognese pagò a loro un cospicuo
tributo per parecchi anni, fino alla sua “costosa” acquisizione
definitiva. Così la “
Bologna
d’acqua
” s’avviò
a diventare per alcuni secoli un grande centro tessile, con tutti i
suoi opifici costruiti sulle sponde di quei “Canali interni” di
cui sfruttavano la forza motrice.

(3) Le
attività tessili bolognesi, già fiorenti alla metà del XIII
secolo, grazie alle opere idrauliche cittadine ed all’efficiente
collegamento della direttrice-nord (costituita dal Navile e dai
canali vallivi fino al Po di Primaro) cominciarono ad assumere grande
valenza anche a livello europeo, consentendo alla città di Bologna
di dotarsi pure di un’importante flotta fluviale. Attorno agli anni
Sessanta di quel secolo, alcuni balzelli messi in atto dalla
Serenissima spinsero il Senato Bolognese alla guerra con Venezia; nel
1271, infatti, fu combattuta la battaglia navale della Polesella,
combattuta nelle acque del Primaro, nella quale il genovese Lanfranco
Malucelli, al comando dell’esercito bolognese, sconfisse Jacopo
Contarini, nipote del Doge, comandante delle truppe veneziane.
Proprio con tale vittoria Bologna si assicurò la rimozione di quei
dazi, sostituiti con altri molto più favorevoli; ottenne pure,
attraverso un accordo siglato qualche anno dopo, alcuni privilegi
commerciali con la Repubblica di San Marco che resero i suoi prodotti
sempre più concorrenziali in Italia ed in Europa. La vittoria in
tale scontro, che sembrò a quel tempo incredibile, fu celebrata
successivamente da molti scrittori bolognesi; sull’argomento,
citerò soltanto l’opera di
RAIMONDO
AMBROSINI, La vittoria navale dei bolognesi contro i veneziani il 1°
settembre 1271
,
Bologna, 1903, ed un poemetto dialettale di
LUIGI
LONGHI, “La batàglia dal Primàr” –Vitòria di Bulgnìs
contr’i Venaziàn- Poemét medioevél,
Bologna,
1930.

(4) G.
LEONI, Idrografia e bonifica del bacino del Reno, Notizie storiche,
-Consorzio della bonifica renana
-,
Bologna, 1994, pag. 43.

(5) La
radice toponomastica di
Maletum
ci riporta, più che
al termine Malaria -che richiama alla mente le zone paludose tipiche
di questa parte della pianura renana- alla parola latina
Malum,
la pianta fruttifera
del melo di cui era ricco il territorio in epoca romana. A tal
riguardo, per un maggior approfondimento, vedasi il saggio di G.
REGGIANI, La “villa
romana” di via Vita ad Altedo,
nel
libro di
D.CHIARINI-G.REGGIANI,
Maletum–Il territorio comunale di Malalbergo ieri ed oggi-
,
Ed. Union Cards, Bologna, 2004.

(6) Tale
edificio fu poi sostituito da uno più grande nel Cinquecento: ce lo
testimonia una lapide, tuttora visibile da via Selciato sulla sua
facciata laterale, la quale ne comprova l’edificazione (o forse il
suo ampliamento su un fabbricato precedente) effettuata nel 1583, da
parte della
Gabella
Grossa Bolognese.

Tuttora questo stabile si presenta in ottime condizioni, essendo
stato ristrutturato qualche lustro fa, seppur mantenendo la sua
configurazione originaria. Oggi viene chiamato dagli abitanti di
Malalbergo “
Il
Casermone
” in
quanto, durante il periodo napoleonico, venne adibito a caserma ed
ospitò una nutrita guarnigione francese dipendente dal Comando
Territoriale di Cento.

(7) L’attuale
toponimo
“Pegola”
deriva dal termine dialettale
pàigla
c
he significa
letteralmente
pece;
questa parola ci
riporta direttamente ad una delle attività principali di quel
piccolo paese che, in quel particolare periodo storico, era sede di
provetti ed assai rinomati calafatai, i quali naturalmente usavano
nel loro lavoro questo specifico prodotto per impermeabilizzare le
barche. Quest’ultime erano poi imbarcazioni attinenti ad un duplice
uso, vale a dire adibite sia al trasporto fluviale lungo il tragitto
Bologna-Pegola del Navile sia alla movimentazione di merci o di
persone nelle limitrofe estensioni vallive.

(8) L’avvenimento-cardine,
a mio avviso, fu la “
liberazione”
del Reno nel suo argine destro ed il relativo convogliamento delle
acque nella Valle San Martina; ciò avvenne nel 1604, cioè sei anni
dopo l’acquisizione del territorio ferrarese da parte dello Stato
Pontificio. Tale decisione fu presa al fine di ottenere
fondamentalmente due cose: 1) la bonifica “
per
colmata
” di questa
vasta depressione ferrarese attraverso le torbide del fiume; 2)
“
pulire”
il letto di ambedue i fiumi, sia la parte terminale del Reno sia
quella parte del Po di Ferrara più vicina alla città che, così
interrata dai detriti, danneggiava grandemente i commerci estensi per
le crescenti difficoltà nautiche dei barconi, sempre più grandi ed
ingombranti. Quest’intervento, voluto dagli idraulici ferraresi,
risolse sì i problemi di bonifica della Valle San Martina, ma
d’altro canto fece aumentare in modo esponenziale la superficie
delle valli circostanti di
Poggio,
di Malalbergo, di Marrara, di Marmorta,
fino
alla formazione delle “
Valli
del Tedo”,
ben
addentro alle campagne bolognesi. Così per quasi due secoli tutta
questa parte della pianura renana dovette subire enormi danni alla
sua agricoltura senza veder risolti i problemi di navigazione della
città di Ferrara; soltanto con il
“Progetto
Lecchi” del 1767 s
i
assistette all’odierna sistemazione del Reno, con la sua
inalveazione definitiva (attraverso l’utilizzo dei vecchi letti del
Cavo Benedettino e del
Po di Primaro
) e con
la creazione della sua foce direttamente in Adriatico.

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