Sessismo nelle fiabe? Anche no

Sessismo nelle fiabe? Nemmeno per sogno!
Testo di Roberto Luigi Pagani – Un italiano in Islanda (che mette in guardia da riletture e interpretazioni delle più note fiabe tradizionali secondo criteri di giudizio politico-ideologico attuali- ndr)
-Anche per questo articolo mi scuso per eventuali errori o refusi, ma non ho il tempo di rileggere tutto con calma, vi chiedo la cortesia di segnalarmi: provvederò a correggerli appena potrò!
Non è un segreto, ma da un anno sto lavorando a un libro sul folklore islandese. Leggende, fiabe e racconti che, in una veste più o meno fantastica, tramandata nel linguaggio semplice di generazioni di contadini e pescatori, contengono grandi valori universali. Non sono di formazione folklorista, ma diciamo che per questo lavoro ho dovuto studiare parecchio sull’argomento, e ho acquisito una certa dimestichezza con simbolismi e convenzioni tipiche del genere. Per questo vorrei fare alcune considerazioni su alcuni stralci pubblicati di un monologo di Paola Cortellesi sul sessismo nelle fiabe tenutosi all’inaugurazione dell’anno accademico della Luiss (Libera Università internazionale di studi sociali). Preciso che non ho avuto occasione di sentirlo tutto, e riconosco sia possibile che queste frasi siano state de-contestualizzate e rese più estreme. Le discuto comunque perché ritengo offrano spunti utili per veicolare informazioni e considerazioni importanti nel clima culturale attuale.

Non posso purtroppo analizzare esaustivamente ogni elemento, per ragioni di spazio, e discuterò solo alcune frasi citate in articoli di giornale trattandoli sommariamente ma, spero, quanto basta per mostrare come (a mio modesto avviso) questa frasi travisino e distorcano parecchio gli elementi delle fiabe che criticano, in un modo a mio avviso molto parziale e ideologico. Parafraso per sintesi le asserzioni, virgolettandole. Non si tratta di citazioni testuali, e se ho frainteso a mia volta mi scuso anticipatamente:

Il potere salvifico è affidato agli uomini” > La lettura dell’intervento salvifico dei prìncipi come asserzione di un potere maschile è ingenua e riduttiva (chissà perché, poi, la fata madrina di cenerentola se la dimenticano sempre, o la nonna della sirenetta nella favola originale di Andersen, o le fatine della Bella addormentata della Disney. E che dire di Gretel che salva anche il fratello Hansel, uccidendo la strega, la Bella che salva la Bestia…). La tradizione ha sicuramente in alcuni casi personificato alcuni principi in figure maschili, ma personificazione non significa identificazione. Il principe della Biancaneve della Disney non è un uomo specifico, e difatti non ha una personalità o un arco di crescita, come la protagonista, ma funge da incarnazione di un principio, il principio (ricorrente nella letteratura) per cui l’amore vince la morte. Lamentarsi che in una fiaba ottocentesca o nella sua trasposizione disneyana del 1937 abbiano scelto proprio un uomo, sarebbe come lamentarsi che, nella fiaba del gatto con gli stivali, alla morte del povero mugnaio il figlio piccolo non sia stato preso in carico dai servizi sociali, o qualcosa del genere! Nella società di allora, l’amore sanzionato era di quel tipo, un Unione di uomo e donna. Questo non vuol dire che lo debba essere ancora oggi, o che guardare Biancaneve significhi dover pensare che ciò debba applicarsi anche oggi!).

Biancaneve rappresenta la storia di una fanciulla con un potenziale innato (simbolicamente rappresentato dal suo essere principessa), il quale è soffocato da una natura e un destino avversi (rappresentato dalla matrigna). La matrigna teme la crescita e l’emancipazione di Biancaneve, che deve lasciare casa e fuggire in un mondo pericoloso per poter crescere. Lo farà attraverso una serie di errori, dai quali imparerà. Certo, avrà anche la fortuna di incontrare degli amici che la aiuteranno, altra cosa fondamentale per crescere, perché da certi inciampi non ci si può proprio rialzare da soli, ed è importante poter contare sugli amici!

Queste fiabe non sono storie di belle ragazze senza personalità che commettono sciocchezze e vengono salvate perché piacciono fisicamente a un principe che passava. Come si può essere così superficiali e ingenui? La fiaba della Bella addormentata, ad esempio, è la storia di una figlia unica di genitori apprensivi, che è dunque stata troppo protetta nella sua crescita. Al suo battesimo i genitori hanno provato ingenuamente a tenere alla larga la fata cattiva, che rappresenta il male del mondo, ma il male arriva lo stesso a reclamare la sua parte nella vita della ragazza. Ciò le ha impedito di maturare, togliendole le occasioni di confrontarsi con il male e rafforzarsi. Ella arriva dunque a 16 anni senza sapere un tubo della vita, al punto da innamorarsi stupidamente e in modo ridicolo del primo che passa, e di essere talmente sguarnita di fronte alle sfide della vita, che basta un fuso che le punge un dito per farla fuori. Il sonno rappresenta il ritiro da una vita che si è scoperto non essere la fiaba che i genitori o le figure di accudimento hanno tentato di ricreare. Il prezzo del loro errore lo pagano tutti: la famiglia e anche la società, perché anche ad esse serve che le ragazze maturino e diventino responsabili e indipendenti, altrimenti tutto si ferma. Se la donna cresce inerte e indifesa, la società si blocca. In questa fiaba , il principe (che non a caso ha un nome e deve passare delle prove, fallendo, venendo imprigionato ma anche — UDITE! UDITE! — salvato dall’aiuto di donne anziane, mature e caritatevoli) è a sua volta un simbolo. Non il simbolo dell’uomo patriarcale, ma il simbolo del senso di responsabilità della ragazza e della società intera, che deve rimboccarsi le maniche e affrontare un male, una fata cattiva, che si è ingigantito perché non è stato affrontato a tempo debito, e ora è un terribile drago. Per ucciderlo bisogna attraversa una foresta di rovi (o per raggiungere la principessa stessa, nella fiaba originale: in quel caso) che si possono leggere come l’estrema difficoltà di maturare quando si è aspettato troppo per farlo e i problemi della realtà si sono accumulati e addensati). Il principe incarna la volitività e la presa di coscienza della ragazza e della società intera, che deve lavorare su sé stessa per uscire dal torpore che si è auto inflitta nel voler evitare il male anziché affrontarlo. Lamentare che si sia scelto un principe e non una principessa lesbica o una persona che si considera non-binaria sarebbe assurdo come lamentarsi del fatto che in queste fiabe esistono ancora la servitù, la caccia, o qualsiasi altro elemento che cozza con i nostri valori attuali. Quando sono state scritte, l’unica forma di rapporto romantico sanzionata era quella tra uomo e donna, che nelle fiabe rappresenta l’unione simbolica non tanto di due sessi, ma di una costellazione di valori, forze e debolezze che si equilibrano, sfidano e sostengono tra loro. Il caos rappresentato dalla fata cattiva e il fatto che il principe la deve sconfiggere, non vanno letti come il fatto che la fiaba insegnerebbe che “la femmina è caos e male, ma l’uomo è responsabilità e ordine”: il caos è proprio del mondo e della natura, mentre il principio di responsabilità e maturità è qualcosa che tutti devono far proprio. L’unione finale di Filippo e di Aurora non va letto alla lettera come un messaggio che urla “SPOSATEVI!”, ma come l’unione simbolica della persona con il principio intellettuale che l’ha salvata, facendo di lei non più una bambina immatura, ma una donna adulta e consapevole.

È chiaro che la storia della Bella addormentata è una rappresentazione simbolica con semplici strumenti popolari di un tempo andato, del bisogno di affrontare la realtà, maturare e prendersi responsabilità: è anche un monito contro i genitori iperprotettivi e un’invito a lasciare che i figli si sporchino e facciano male durante la crescita, per essere poi pronti quando dovranno affrontare i grandi mali della vita.

L’unica dote delle protagoniste è quella di essere belle (se Biancaneve fosse stata una cozza forse non l’avrebbero salvata)” > la bellezza è un motivo letterario simbolico, una convenzione stilistica come il “c’era una volta”. Non va presa alla lettera, e può essere interpretata in senso metaforico. Siamo sempre a ripetere come la bellezza sia soggettiva, e abbia tante declinazioni, perché fissarci su una supposta bellezza di personaggi i cui tratti dipendono anche dalla nostra immaginazione? Non è nemmeno vero che l’unica dote delle principesse delle fiabe è di essere belle. Il fatto che qualcuno lo asserisca mi sembra davvero agghiacciante e allarmante. Biancaneve è innocente: virtù bellissima, ma che la rende anche vulnerabile al male del mondo. Proteggersi e mantenere la propria innocenza è una sfida che si cova molte persone (uomini inclusi). Biancaneve è anche caritatevole: la carità è una virtù che andrebbe glorificata assai più nella nostra cultura. Il fatto di non vederla la dice lunga sui valori di commenta la fiaba. Biancaneve è generosa, è altruista, è empatica, ma sa anche essere ferma. Il che mi porterà al punto successivo. Intanto, voglio affermare con fermezza che le virtù di Biancaneve sono espressione di valori bellissimi e condivisibili, che andrebbero celebrati, non dimenticati. E qui domando io, il fatto che queste ovvie virtù di Biancaneve non siano nemmeno considerate o notate da commentatori come la Cortellesi, e figuriamoci se vengono celebrate, che cosa racconta del nostro sistema valoriale? Una donna (o un uomo) vanno celebrati solo quando fanno carriera, comandano, fanno mosse di kung-fu e seguono percorsi individualisti e arrivisti di ottenimento di potere individuale? L’unico modo di avere valore come persona è quello di essere capo e comandare? Essere persone (persone, non necessariamente “donne”) empatica e, altruiste e innocenti, è qualcosa di riprovevole nella società di oggi? Se sì, dovremmo fare un serio autoesame sulla nostra cultura. Vorrei vivere in una realtà dove si parla di Biancaneve per esaltare i valori di compassione, empatia, amicizia, abnegazione, generosità e amore che traspaiono da questo personaggio. Invece di fissarsi sul sesso del principe o sul fatto che ella venga descritta come bella.

Trovo anche poco comprensibile l’ossessione di sessualizzare i personaggi come se i bambini maschi possano esclusivamente trarre ispirazione da personaggi uomini, mentre le bambine debbano necessariamente finire con l’emulare quanto vedono fare alle principesse. Quando ero alle elementari, il mio cartone Disney preferito era Mulan: la storia di una persona che fatica a soddisfare le aspettative della sua famiglia e della società perché non è è nata con doti e aspirazioni che le rendono la cosa facile. Non sa bene cosa è brava a fare o cosa le piace. È persa e confusa e non trova la sua strada. Poi arriva la guerra e suo padre è ormai troppo vecchio per assumersi la responsabilità di combattere. Lei trova un modo per impersonare un altro ruolo che in teoria non le appartiene e si traveste da soldato. Ovviamente all’inizio è un disastro, ma solo perché lei aveva guardato alla cosa in un modo non creativo e aveva provato a fare ciò che facevano tutti. Dimostrerà invece che con la sua intelligenza potrà trovare strategie alternative non solo per avere successo personale (che brutto fissarsi sempre e solo su quello), ma per salvare tutto e tutti quando la società e i suoi modi tradizionali non funzioneranno più o sono inadeguati ad una nuova situazione che è emersa. Mulan ci insegna che le persone che apparentemente sono in svantaggio fisico o di altra natura, possono salvare la situazione grazie alla loro intelligenza e a dispetto dei loro limiti, e ci insegna anche che la diversità è un valore per la società intera. Da questo discorso capirete come mai consideri una porcheria immonda la trasposizione live action del cartone animato originale, che inizia con una scena in cui una Mulan bambina vola sui tetti e fa capriole in aria e mosse di Kung Fu, non ha nulla da imparare dall’esperienza nell’esercito, e anzi è una sorta di creatura superiore dotata di doni alla stregua di superpoteri. A quale minus habens è saltato in mente di condurre un’operazione del genere? Quanti bambini goffi e bastonati dalle convenzioni sociali hanno trovato ispirazione nella Mulan inizialmente pasticciona e senza speranze, che solo grazie alla sua intelligenza riesce a salvare la situazione, senza doni innati e senza superpoteri? E quanti bambini di oggi si può sperare che si identifichino con un personaggio inarrivabile, nato superdotato, che non deve fare alcuno sforzo per crescere perché è già “nato imparato”? Probabilmente gli autori credevano che presentare una Mulan impacciata mandasse il messaggio inaccettabile per cui una donna possa essere in certi casi goffa o incapace, e Dio ce ne scampi! Che grave crimine non essere supereroi con poteri superiori, che devono cavarsi d’impiccio superando i loro limiti e crescendo! Purtroppo abbiamo completamente perso di vista la capacità di lettura necessaria a fare queste considerazioni.

Voglio che sia messa agli atti: il fatto che Mulan fosse una femmina non costituì mai un problema per il me bambino. Non mi portò a desiderare di essere femmina, né mi frenò, in quanto maschio, dall’ammirarla e considerarla un modello per me, o causò problemi teorici o concettuali di sorta. Ella fu la mia figura di riferimento per lungo tempo, e mi ispirò tantissimo perché anche io ero un bambino a cui le convenzioni della società in cui era nato stavano strette, e che ha dovuto scontrarsi con giudizi e pregiudizi, dovendo poi andarsene per poter mostrare come la stoffa del suo intelletto potesse brillare, se le veniva offerta un’occasione per farlo! Per questo mi risulta difficile empatizzare con chi sostiene che sia necessario che personaggi con una particolare identità sessuale incarnino questo o quel valore per fungere da modello per i bambini. Il sesso di Mulan (o il suo essere cinese, per dire) per il me bambino è sempre stato irrilevante di fronte ai valori che lei incarna. Avrei bisogno che mi si spighi chiaramente e con argomenti oggettivi (e non soggettivi), per quale motivo il valore di un modello può applicarsi soltanto a persone con lo stesso sesso del modello!

Biancaneve fa la colf ai sette nani” > Ricordo sommessamente che, mentre Biancaneve “fa la colf” i sette nani sono a rompersi la schiena picconando in miniera. Non sono al bar a giocare a carte. Detto ciò, ci siamo davvero dimenticati la scena dove Biancaneve sgrida i sette nani per essere zozzi e impone loro di lavarsi le mani se vogliono mangiare? Qui esercita un’autorità indiscussa, all’interno del focolare, che rispecchia una realtà storica che non ci appartiene più, ma che è interessante da conoscere: la donna è la regina della casa e la sua autorità si esercitava all’interno, al punto che anche una donna appena arrivata poteva comandare sugli uomini dentro la stessa casa di cui erano padroni! Questo basti a mostrare come sia insensato ridurre Biancaneve ad una colf. Quando Biancaneve arriva alla casa, trova un disastro: i nani lavorano e non hanno tempo di tenere a bada altri aspetti della loro vita. Manca una donna, l’uomo da solo o la donna da sola non fanno un lavoro eccelso quando sono separati, ma collaborando producono un tutto che vale più della somma delle parti. Hanno bisogno l’uno dell’altra perché entrambi apportano un contributo ugualmente importante per quanto diverso. Biancaneve arricchisce e salva la vita dei nani quanti loro salvano la sua. Possibile non se ne sia accorta, la Cortellesi?

Perché il principe riconosce cenerentola con la scarpa? Non poteva guardarla in faccia?” > ancora, rimango basito da come non si riesca a fare letture complesse e astratte di queste fiabe, e ci si soffermi a un significato letterale e superficiale! La scarpetta è il dono della fata madrina, e può essere interpretato come simbolo della trasmissione di insegnamenti (virtù, conoscenze, valori, educazione) da una generazione alla successiva, da madre a figlia, che sono il vero carattere distintivo di una persona: è questo, la trasmissione intergenerazionale di valori, di conoscenze, di educazione (simboleggiato dalla scarpa) a rendere Cenerentola riconoscibile. È il dono della figura di accudimento che lei deve custodire e tenere dentro molto più che momentanei dettagli estetici (rappresentati dai vestiti), che scompaiono e non lasciano tracce. Come può la Cortellesi lamentarsi prima del fatto che le principesse non hanno altra virtù se non l’essere belle, e subito dopo lamentarsi che in una fiaba non è la bellezza a fungere da fattore di identificazione?!

Tornando al principe, io trovo veramente assurdo che personaggi esclusivamente simbolici e palesemente astratti vengano interpretati come indicativi di un trattamento migliore nei riguardi degli uomini. Spesso non ne sappiamo nemmeno i nomi, non ne conosciamo le storie e non abbiamo idea di che persone siano. Davvero credete che un principe come quello di Biancaneve possa essere un modello per qualcuno? Certamente non lo è stato per me, visto che è privo di qualsiasi tratto utile ad identificarcisi. A parte Filippo de La Bella Addormentata, che ha un nome e un arco di sviluppo, come vedremo. sono figure piatte, meri simboli convenzionali che incarnano i sogni e le aspirazioni delle protagoniste, e non un’ideale di maschio. Ancora, il fatto che l’aspirazione sia rappresentata da un principe non significa che il senso della fiaba sia che le ragazze dovrebbero aspirare a sposare principi: questa è una lettura di chi non ha strumenti interpretativi. Davvero crediamo che fiabe nate dal folklore popolare pretendessero di insegnare alle bambine del popolo che la massima aspirazione era quella di sposare i principi? E nessuno nota che le protagoniste, dunque le persone al centro della scena, e a cui si dedica tutta l’attenzione, siano donne? Non che la cosa a me importi, come vedremo, ma mi pare veramente che si vada a pescare soltanto ciò che fa comodo ad una lettura sminuente e riduttiva di questo patrimonio culturale.

Le protagoniste di queste fiabe appaiono come creature passive in attesa di essere salvate da uomini, soltanto a chi non ha strumenti critici per capirle, oppure da chi è in malafede. Questa seconda opzione mi pare forse più probabile, visto che i significati simbolici dovevano essere ovvi ai popolani analfabeti che se le sono raccontate oralmente per secoli. Mi riesce difficile credere che sofisticate personalità del mondo della cultura non siano in grado di coglierli!

Nel caso di raffigurazioni o valori non fraintendibili e chiaramente identificabili, i quali sono però in contrasto con i nostri (penso a cenni razzisti, abilisti o cose del genere), non si può certo liquidare la cosa con qualche scappatoia interpretativa: talvolta opere del passato rappresentano valori in conflitto con i nostri. E allora? Come spiega magistralmente Alessandro Barbero, troppa gente nella nostra cultura pedagogica confonde lo studiare o il leggere qualcosa con il glorificare e approvare qualcosa. Noi non leggiamo Biancaneve perché pensiamo di replicare nella realtà la storia, o perché vorremo che il mondo fosse come nella favola. La leggiamo o guardiamo perché è un pezzo della storia europea. Il voler epurare le storie classiche della tradizione da elementi che non collimano coi nostri valori attuali è l’equivalente dello scalpellare via i genitali delle statue di epoche precedenti o coprirli con una foglia di fico in gesso, come successe nel Sette-/Ottocento. Oggi consideriamo tale atto di pudicizia come un’intervento miope e vandalico, perché dunque fare lo stesso sulle fiabe, quando possiamo benissimo prevedere che i posteri guarderanno a ciò come noi guardiamo alla vandalizzazione delle parti intime delle statue?

Roberto Luigi Pagani –

https://unitalianoinislanda.com/2024/01/12/sessimo-nelle-fiabe-nemmeno-per-sogno/#comment-6086

News letter del 12 -2-2024