Processo a Gesù, tra narrazione evangelica e verità storica

La passione di Cristo, una visione storica
I vangeli raccontano l’ultima settimana della vita di Gesù di Nazaret, ma modellano la narrazione degli eventi in base alla fede di chi li ha scritti
* Articolo di Antonio Piñero – 07 aprile 2023 – dalla rivista Storica National Geographic
– Una domenica Gesù entrò a Gerusalemme e venne acclamato dalla folla come il messia, il salvatore inviato da Dio al popolo ebraico. Il venerdì successivo morì sulla croce, e il suo corpo fu sepolto. Nel mezzo di questi due eventi, Gesù dovette affrontare ben due processi. Il primo, giudaico e condotto dal sinedrio – composto da sacerdoti, anziani e dotti della legge –, lo giudicò per le sue pretese messianiche. Il secondo, romano e presieduto dal governatore della Giudea Ponzio Pilato, lo condannò a morte perché si era ribellato all’autorità imperiale. I sei giorni che vanno dalla domenica al venerdì sono quelli della passione di Cristo, che la Chiesa cattolica ricorda nella settimana santa, anche se le feste liturgiche hanno fine con la resurrezione di Gesù, nel terzo giorno dalla sua sepoltura. I vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni narrano quanto avvenne in quei giorni.
Ma fino a che punto sono fedeli ai fatti?

Per rispondere alla domanda bisogna tornare all’epoca in cui i testi vennero redatti. Si ritiene che Gesù dovette morire nell’aprile dell’anno 30. Due decenni più tardi, verso il 50, un discepolo di Gerusalemme si accorse che i seguaci del maestro divulgavano sì informazioni sulle sue ultime sofferenze, sulla sua fine e resurrezione, ma che a nessuno era ancora venuto in mente di metterli per iscritto. E così questa persona, rimasta anonima, espose gli eventi e, a quanto sembra, concentrò in una settimana episodi che si erano probabilmente verificati nell’arco di diversi mesi. La stessa settimana poi coincisa con la Pasqua ebraica, che si festeggia durante il mese di nisan, compreso nel periodo tra marzo e aprile.

Questo primo resoconto della passione di Gesù fu plausibilmente alla base della cronaca che compare nel primo Vangelo, quello di Marco, scritto tra il 71 e il 75. Gli studiosi concordano nel sostenere che l’evangelista prese come modello un testo anteriore, andato perduto. Quindi rimane solo il suo racconto. Gli altri vangeli accettati dalla Chiesa presentano variazioni, divergenze e contraddizioni rispetto a quanto afferma il primo evangelista. Sono quelli di Matteo (composto verso l’85-90), di Luca (scritto intorno al 90-95) e di Giovanni (redatto all’incirca nell’anno 100).
Nel mese di settembre?
È d’obbligo una premessa: non sempre una tradizione antica corrisponde alla verità dei fatti. Per esempio il prestigio di Aristotele fece sì che per più di venti secoli venisse appoggiata una teoria secondo la quale la terra era il centro dell’universo e il sole le girava attorno. Solo grazie a Niccolò Copernico e a Galileo Galilei si poté dimostrare che quella “verità” non era tale. Qualcosa di simile potrebbe essere accaduto con alcuni frammenti del Vangelo di Marco. Nonostante il testo sia stato scritto oltre duemila anni fa, è ancora possibile trovare degli indizi sul fatto che le azioni e i detti di Gesù si verificarono in un modo diverso e in un tempo dilatato – più ampio di circa sei mesi –, e non quindi nella settimana al termine della quale morì il nazareno.

Il primo indizio di tali discrepanze riguarda l’entrata trionfale a Gerusalemme. Il Vangelo di Giovanni descrive Gesù circondato da persone che sventolano palme in segno di giubilo. Proprio la presenza delle palme suggerisce che il mese sia settembre, tempo della festa di Sukkoth (o delle capanne), perché queste piante erano abituali in quel periodo: le palme non erano originarie della zona di Gerusalemme e venivano portate da Gerico nei giorni della festività.

Il secondo indizio è l’episodio in cui, affamato, Gesù cerca qualcosa da mangiare: «La mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame. Vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: “Non nasca mai più frutto da te”. E subito quel fico si seccò» (Matteo 21:18-19). A meno che Gesù ignorasse dettagli basilari della vita dei campi, è molto improbabile che volesse cogliere fichi a marzo e ad aprile, giacché il frutto matura alla fine dell’estate. Un terzo indizio di tale sfasamento temporale compare nel Vangelo di Giovanni (11:47-53), che colloca la riunione del sinedrio – in cui venne prese la decisione di condannare Gesù – diverso tempo prima della passione.

Né testimoni né documenti

Oltre all’incertezza circa la cronologia, altri motivi portano a dubitare che molti episodi del resoconto tradizionale della passione corrispondano del tutto alla realtà storica. In primo luogo va considerato il notevole lasso di tempo intercorso tra gli eventi e i vangeli, che non avrebbe garantito una trascrizione fedele dei primi. In secondo luogo non esistono testimoni diretti di vicende come l’interrogatorio a porte chiuse dei sommi sacerdoti durante il processo ebraico, o il dialogo tra Gesù e Ponzio Pilato durante quello romano.

Il racconto dovette quindi basarsi su testimoni indiretti o su congetture. In terzo luogo, non sono giunti fino a noi gli atti dei processi. È quasi sicuro che, almeno nel caso dell’udienza romana, conclusasi con una condanna allora frequente alla croce, dovette essere inviato un fascicolo all’imperatore Tiberio. Tuttavia il documento si è perso nelle brume della storia.

La cronaca della morte di Gesù è lastricata di accenni e citazioni dall’Antico testamento (le Scritture antecedenti a Cristo). I cristiani considerano questi testi profezie messianiche. Il racconto dei quattro vangeli allude chiaramente a circa ottanta o novanta passaggi da lì tratti, e l’apprezzabile numero di azioni e detti di Gesù espressi tramite parole dell’Antico testamento lascia quantomeno sospettare che certe vicende, forse più inerenti al contesto storico, vennero rimaneggiate perché corrispondessero alle profezie. Diversi studiosi sostengono persino che alcuni passaggi della settimana santa siano stati ideati di proposito dagli evangelisti a partire dalle opere messianico-profetiche precedenti.

Eventi storici vennero forse riadattati perché si compissero le profezie

Ne è un esempio la narrazione della morte di Giuda, il discepolo che tradì Gesù, presentata in due versioni completamente diverse nel Nuovo testamento. La prima riferisce che Giuda, pentito di ciò che aveva fatto, s’impiccò (Matteo 27:5), mentre la seconda attribuisce la sua fine a una caduta (Atti degli Apostoli 1:18). È evidente che una variante esclude l’altra. I biblisti sono abbastanza concordi nel ritenere che l’impiccagione di Giuda sia ripresa dall’episodio di Achitofel, che tradì il re Davide e poi s’impiccò, divorato dai rimorsi (2 Samuele 15:1-37; 17:23). Invece la versione della morte in seguito a una caduta s’ispira probabilmente alla storia del perverso re seleucide Antioco IV Epifane, un crudele persecutore degli ebrei che morì dopo essere caduto dal suo carro (2 Maccabei 9:7).

Le contraddizioni

Anche le contraddizioni tra gli evangelisti sono una fonte di dubbi per gli storici. Per esempio, chiamano in causa la trattazione delle circostanze in cui Gesù venne seppellito. Secondo Marco, Matteo e Luca, la deposizione avviene per mano di Giuseppe di Arimatea, un caritatevole e illustre membro del sinedrio che agì da solo: avvolse Gesù in un lenzuolo e l’adagiò in un sepolcro vicino al Golgota. La cerimonia fu semplice, rapida e senza sfarzi. La versione di Giovanni è invece piuttosto diversa: Giuseppe di Arimatea era in compagnia di un altro personaggio, Nicodemo, sconosciuto ai tre evangelisti precedenti. I due calarono il corpo di Gesù dalla croce e l’omaggiarono con una sepoltura solenne e sontuosa: lo fasciarono con bende e lo cosparsero di aromi utilizzando cento libbre (l’equivalente di cinquanta chili) di unguento di mirra e aloe. Lo deposero quindi in gran fretta nella tomba in un orto lì vicino.

Oltre a ciò, Paolo (che non fu discepolo di Gesù) presenta un’ulteriore variante in un discorso raccolto negli Atti degli apostoli (13:27-29): «Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi […] chiesero a Pilato che fosse ucciso […] lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro». Non furono quindi né Giuseppe di Arimatea né Nicodemo a calare le spoglie del messia, bensì i capi degli ebrei, tramite i loro sottoposti. Forse lo misero in un sepolcro comune, perché lo consideravano un malfattore.

La storia della passione contiene anche particolari che si scontrano con il diritto romano dell’epoca, come la concessione della libertà a un ribelle come Barabba. Quanto al diritto giudaico, sono state segnalate circa ventisette differenze tra il processo a Gesù e le prescrizioni giuridiche di allora. Le più evidenti riguardano la collocazione temporale del processo, che ebbe luogo nel pomeriggio del giorno in cui cominciava la Pasqua (secondo Marco, Matteo e Luca) o alla vigilia di questa (secondo Giovanni). Ma per gli ebrei, il giorno inizia al tramonto e un processo con pena capitale non poteva celebrarsi di notte. Nessuno poteva inoltre essere condannato per blasfemia, a meno che fosse provato che aveva detto qualcosa contro Dio o aveva pronunciato in modo sacrilego il nome divino, e non era questo il caso del nazareno. Era infine rigorosamente vietato che l’imputato venisse messo a morte lo stesso giorno del processo, come invece avvenne a Gesù.

L’uso ripetuto di stratagemmi letterari da parte degli evangelisti dipende da una rielaborazione “artificiale” degli eventi, come nel caso dello schema a triplice azione: per tre volte Gesù fa avanti e indietro dal gruppo dei discepoli a Getsemani; Pietro rinnega tre volte di averlo conosciuto; tre gruppi di persone lo scherniscono sulla croce.

E, da ultimo, nel racconto della passione compaiono episodi inverosimili. Come potevano addormentarsi due volte i discepoli prediletti di Gesù durante il suo discorso a Getsemani e poi ricordarne le parole, riprodotte in seguito nei vangeli? Lo stesso vale per altri fenomeni contemporanei alla morte di Gesù: il velo del tempio che si squarciò, il buio improvviso, il terremoto.

Sono state prese in considerazione diverse ipotesi per spiegare sia le anomalie storiche sia la forma letteraria usata per descrivere la passione di Cristo. La prima chiama in causa la necessità di comprimere i fatti da diversi mesi a una sola settimana, il che, come si è visto, porta a una scarsa verosimiglianza. La seconda riguarda il bisogno di giustificare teologicamente una morte inattesa, quella del messia mandato da Dio e condannato dai romani.

Nei vangeli la fine di Gesù viene spiegata come il compimento di un progetto divino che il nazareno conosce e accetta: la sua vita in cambio della salvezza dell’umanità. Per questa ragione gli eventi reali vennero adeguati alle profezie, così da sostenere che quanto successe era già stato previsto, e questa prima versione “adattata” sarebbe quella giunta all’evangelista Marco. E infine la terza ipotesi: non sarebbe da escludere l’eventualità che il primo resoconto della passione venisse usato agli inizi anche come una sorta di “guida turistica religiosa”, per illustrare ai cristiani che vivevano fuori dalla Giudea e che si recavano a Gerusalemme gli eventi e i luoghi in cui aveva sofferto e trionfato il loro messia.

*Antonio Pinero

FOTO:

1 – Pilato indica Gesù, con la corona di spine e ferito, alla moltitudine che ne chiede la morte per blasfemia. Olio di Ciseri. 1871 Foto: Scala / Firenze

2 – Sul retro della meravigliosa ‘Maestà’, il senese Duccio di Buoninsegna dipinse 26 scene della

passione. 1308-1311. Museo dell’Opera del Duomo, Siena- Foto: Alinari / RMN-Grand Palais

3 – Papiro Rylands 457, risalente al 125 circa; sono versetti di Giovanni (18:31-33 e 37-38) che riguardano l’interrogatorio di Gesù da parte di Pilato. Foto: Alamy / Aci

Bibliografia Per saperne di più:

Pilato e Gesù. Giorgio Agamben. Nottetempo, Milano, 2018

La Pasqua di Gesù raccontata ai bambini. Adalberto Mainardi e Ilaria Pigaglio. Elledici, Torino, 2016

Il Vangelo secondo Gesù Cristo. José Saramago. Feltrinelli, Milano, 2022

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