“Vogliamo parlare di dialetto?…” Luciano Manini

Bene, parliamo il dialetto! ma  che cosa è il dialetto?, e secondo chi? dove abita?  a cosa serve?  domande amletiche!
Proviamo a rispondere; cominciamo dalla seconda e rispondiamo anche alla prima: la risposta per gli scolarizzati e su fino a intellettuali, accademici e rettori, vedere la vocabolaristica. Per coloro che sono sempre stati considerati esseri inferiori, perchè analfabeti o quasi, è stata l’unica lingua conosciuta e il principale, se non unico, modo di comunicare; in quella lingua si esprimeva tutto il loro mondo del quale essa lingua era la figlia; definita, spesso spregiativamente, dialetto.

A questo punto abbiamo stabilito che il dialetto è stato, nei secoli passati, il linguaggio di coloro che non sono mai stati nessuno nei confronti di chi era, quanto meno scolarizzato; anche se è vero che nei secoli passati esisteva un dialetto colto ma in città , con altri contenuti, anche per il popolo. Oggi, il dialetto della bassa bolognese e i dialetti della regione Emilia-Romagna in generale, rimangono la chiave, il mezzo che ci permette di entrare nel mondo del lavoro, dell’esistenza, della vita delle classi subalterne.

 Terza domanda: dove abita? è semplice, fra coloro che lo parlano, che ne sono anche i depositari, nonchè padroni della cultura che l’ha prodotto e lo produce. Meno attendibile è la risposta Intelletual-Accademica, la quale a quanto se ne sa, si limita a fare campionature ma in quanto ad entrare nel merito dell’argomento e dei suoi contenuti se guarda bene , e quando lo fa non ha un risultato esente da qualche castroneria, qui pro quo, una conferma l’abbiamo nella lettura dei musei della cultura materiale della regione Emilia Romagna. Una cultura dialettofona, di origine analfabeta, misurata con canoni accademici è chiaro che il risultato non può essere che questo. Questi musei emiliano-romagnoli non ci tramandano (come dovrebbero) la cultura materiale o contadina; ci testimoniano la mancanza di elementi informativi di base e ne mettono in dubbio l’attendibilità , anche scientifica, se di scientificità  si può parlare. Inoltra non bisogna dimenticare, che all’inizio degli anni venti del secolo scorso, quando Lui (Benito Mussolini) salì al potere volle che tutti gli italiani parlassero la stessa lingua (cosa in sè giusta per poterci capire fra meridionali e settentrionali), poi si è passati, soprattutto le Università , a boicottare (così si esprimeva e ci ha lasciato scritto il Prof. Francesco Coco, già  Direttore dell’Istituto di Linguistica dell’Università  di Bologna) i dialetti italiani; da qui ha cominciato verosimilmente a prendere piede l’idea che il dialettofono sia un essere inferiore socialmente e culturalmente  ed ha un piede che resiste ancora, pur se deteriorato da accademici (non troppi) più illuminati, i quali si sono accorti che cancellando i dialetti, si cancellano anche le culture che li hanno prodotti.

  A che cosa serve? se non per altro, al meno come vocabolario per poter leggere la storia delle classi diseredate dei lavoratori del passato, specie di quelli che lavoravano la terra.  Inoltre, serve a coloro che ancora lavorano la terra, allevano bestiame o altro di affine in quanto, anche in questi ambienti, nonostante i neologismi e i paraformismi evolutivi, lessico, semantica e morfosintassi sono ancora gli stessi di secoli fa; sostituire questo dialetto con la lingua italiana (è notevolmente successo) si ripeterebbero le castronerie anzidette, tenuto conto che i vocabolari di dialetto bolognese sono sicuramente utili e validi per l’uso accademico ed urbano, in quanto scritti da persone colte e di cittâ, ma per la bassa bolognese (anche per la bassa valle del Reno) sono insufficienti e inattendibili per due motivi: a) ciò che è codificato non sempre è corrispondente a ciò che si intende in campagna, quindi necessitano di verifica; b) sono mutili del nostro lessico, con relativa semantica, di gente della bassa bolognese soprattutto per quello che riguarda  le terre umide: valli, bonifica, risaie (continua)
                                                              
    Manèze
Luciano Manini