Rileggendo “Le parole della memoria” di Giovanni Sola. Testo di Galileo Dallolio

E’ un piacere e una fortuna avere a disposizione
Le parole della memoria. Vocabolario, locuzioni e proverbi del dialetto finalese
di Giovanni Sola per la rivista finalese “La Fuglàra”.
Un piacere perchè la sua consultazione
permette di avere a disposizione rievocazioni di atmosfere e di
persone di molti decenni fa. Una fortuna perchè se non fosse stata
per la sua pazienza, dedizione e competenza , questo patrimonio non
ci sarebbe stato.
Dice bene il professor Lepschy nella presentazione:
Un ultimo motivo per cui lavori
come questo sono benvenuti, riguarda il loro valore civile. Ci
aiutano a non dimenticare il nostro passato, e a non lasciare morire
la cultura che si manifesta nei nostri idiomi locali, e la cui
ricchezza umana e sociale non è certo inferiore a quella legata alla
lingua nazionale che è venuta gradualmente a sostituirsi, invece che
ad affiancarsi ad essi come avrebbero voluto alcuni fra gli
intellettuali progressisti nel periodo postunitario, primo fra tutti
il fondatore della dialettologia italiana scientifica, G.I.Ascoli.

Con Giovanni ci si vedeva “sota Nadal , par Pasqua , pri Mort”
e la conversazione entrava subito
sul dialetto e sulle sue ricerche più recenti.
Ricordo una volta che si parlava sulla
possibile origine dell’espressione ‘l’è ad fata..’ e
sulle ragioni della rapida intesa che questa formula permetteva ‘mo
l’è ad fata..’. Interessante la ragione per l’ immediato
accordo tra parlanti ‘quand’ un l’è ad fata, a gh’è poc
da far..’.Si poteva essere corpulenti, magri, grassi …ma
essar ad fata , cioè avere certe ‘fattezze’, chiudeva
ogni altro discorso.
Per ricordare Giovanni, propongo
integrazioni e commenti ad alcune parole del suo vocabolario
attraverso citazioni a libri che parlano di dialetti e di parole, e
aggiungo un paio di ricordi.


Nella serata di presentazione delle
‘Parole della memoria’ un finalese, emigrato in Sud
America molti decenni prima , fece una domanda in un italiano
affaticato, poi scusandosi, chiese di potere parlare in dialetto e
la platea si emozionò per la perfezione della pronuncia.
Ricordo poi una telefonata con il prof.
Giulio Lepschy, autore della presentazione del libro. Suo padre,
dirigente a Venezia della Olivetti , azienda nella quale ho lavorato
per 31 anni , mi dette il suo numero di telefono.
Era estate , nella conversazione venne
fuori il tema del caldo. Rimasi colpito dai ricordi molto vivi
sulle parole del dialetto caldana, stòfag e sbuiúzz. Mi
disse che essendo sua madre, Sara Castelfranchi , finalese, lui
aveva trascorse diverse estati a Finale presso i parenti e che
ricordava con simpatia i ‘gir dal cundut’ con suo fratello
Antonio. Oggi è docente a Cambridge ed è uno dei massimi studiosi
di linguistica e di dialettologia.
NB – Segue la prima parte della raccolta
di vocaboli e modi di dire in dialetto finalese

Albi
1-abbeveratoio della stalla, 2- trogolo nel quale si versa la brodaglia per il maiale,
G.Sola)
Da “alveus”cavità in forma di ventre oblunga,
recipiente in forma di tinozza, catinella in forma allungata, letto
di un fiume’
. L’albi di Secatoi, l’indimenticabile ca’
ad campagna
, dove abitavano i Cursón,
Sandro, Cleante e i
me’ cusin
Tiglio, Cesarino e Lina, una volta riempita d’acqua, con una
pompa da lungo manico spinta
avanti e
indrè
, arrivavano lentamente il besti,
mucche che si chiamavano Mosca , Bianchina e altri nomi che ora non
ricordo.

Argiulì   (ristabilito, ringalluzzito G.Sola)
‘A l’ho vist tut argiulì. A sved c’al starÃ
ben
.’ Dietro a questa espressione a volte pareva di cogliere una nota di lieve
disappunto. Poter dire ‘
mo at sintù..a par che a csia gnù un tarabacìn..!’era
tutta un’altra cosa. C’era animazione, sorpresa e una sottintesa
considerazione mai dichiarata (‘
mei a lùche a mì’).
Quando ‘cal tal’ riappariva‘giulivo’, chi si
apprestava a commentarne la decadenza, si doveva ricredere.
‘Mo
a l’ho vist tut argiulì, as ved c’al n’era brisa mis maladal
tutt.Mei acsì.
.. (argiulì
potrebbe derivare dall’espressione ‘t
ornare giulivo’)

Arlià (1-irato, arrabiato, 2-
innervosito,
G.Sola) a) sfortuna, disdetta; b)
ripicco, dispetto; bonaria provocazione. –
Avèr
‘gh adré l’arlìa:
esser perseguitato dalla
sfortuna. –
Andär d’arlìa:
andar di ripicco, sfidarsi.  (Chiara Ricchi, Bruno
Ricchi Dizionario Palaganese-Italiano, Italiano-Palaganese)

Arloi  ‘Un orloio da solle di ottone (meridiana)’;
‘un altro
orloio a mandolla
piccolo che mostra
l’hore’orloio
a triangolo che batte l’ore,..con la sua
cassa coperta
di viluto’;
(
Inventario del guardaroba del Card.Luigi
d’Este 1579)
’un’altra mostrina
(orologio) tonda francese con il
svigiatorio (svegliatoio)
(Inventario dell’eredità di Alfonso 2
d’Este 1598)(in G.Trenti, op.cit.)
. Molte
cose vengono in mente con i
arloi l’arloi dla tor ,
quel dal
municipi, poi Garan un
vecchissimo orologiaio, infine la meridiana del Chiostro dal
Siminari
, la cui foto Giuseppe Paltrinieri, grande esperto in meridiane, sta
cercando. Rivedo ancora oggi le vetrine dove gli orologi da polso –
Roamer, Wyler-Vetta, Longines..- erano in bella mostra e diventavano
oggetti del desiderio. Chi, da
putlèt,
poteva vantarne uno al polso era ammirato e invidiato allo stesso
tempo.In greco
hora è stagione, lasso di tempo, giorno’ che
genera l’inglese
year anno. Horo-logium
:
indicatore delle ore (Dizionario Etimologico italiano Olivieri Dante,
Ceschina ed)

Bacaiàr (parlare di cose futili, chiacchierare, G.Sola) Piangere, lamentarsi,
parlare ad alta vice, gridare; verbo ebraico
bahò<em>;< em=””></em>;<>
modo di dire :
un fa alter che bacaiàr:
chi si lamenta per un nonnulla (
p.115, Luisa Modena, Il dialetto
del ghetto di Modena e dintorni, Il Fiorino 2001). Baciaclan

in bolognese, il verbo latino bacchari
significa ‘
vagare, schiamazzare’,
come si faceva nelle feste in onore di Bacco.

Barglar (spigolare, raccogliere da terra, G.Sola)
‘
Ho cacciato via le sue
bestie,…le quali però vi hanno dato gran danno…con bagolarmi

tutto il luogo’ (Archivi giudiziari, 1576-1591 ASMo,
G.Trenti op.cit.) ‘Usufructare et
bagolare
cum personis et bestiis territorium Frignano’ 1338‘Bragolare
facultatem…
bragulandi
et buschizand
i’ Nonantola 1194.  (in Glossario latino
emiliano . A cura di Pietro Sella , pref. di Giulio Bertoni.  Biblioteca Apostolica
Vaticana 1937 rist.anastatica 1990)

Benson (var.balsón, il nome è
forse quanto rimane dell’originaria denominazione del dolce ‘pàn
ad bandizión: pane benedetto, G.Sola)
e
brazadela
‘
La compagnia de
l’hospedale ..ha fatto la sua festa..‹ ma › non ge ha fatto
fare le
benedeson…ha
fatto fare..‹ invece › de li tortioni’ ‘
Nicolò Bergolla
fornaro vendeva delle
benedesone che
sono fatte di pasta artificiata’ ‘
Li puti van portande
li bastoni pin de dite
brazadele e criande : A le bone brazadele
fresche!
’ Cronica modenese 1506-1554. Sono dolci ben noti ai
putlét in particolare a quei da na volta.
La connessione benedeson-
benson
-benedizione racconta di una origine
legata a funzioni religiose (
la bandizión) La brazadela
invece rimanda alla sua forma che ‘talora
poteva essere portata infilata nel braccio’ In Giuseppe Trenti
‘Voci di terre estensi.Glossario del volgare d’uso comune.Da
documenti e cronache dal tempo., Fond.Vignola 2008.

Caratla  Si compravano da Iusfinòn,
da Gianni al
Zivular e da molte altre buteg
(era l’epoca dove si trovava zuca cota, zivol
coti
, patac americani, castagn sechi, guciarò..).

La carruba , dall’arabo kharruba , un albero
che dava un frutto che in greco era il
kerátion
diminutivo di
kéras
corno, il cui seme dal peso e dalla forma sempre identici venne
l’italiano
caràto (24° parte dell’oncia) (D.Olivieri).

Si può quindi pensare che la caratla si chiami
così
in quanto pina di quei semi dal nome così usato.

Galaverna ‘E’ entrata nella
terminologia scientifica italiana per merito di Ciro Ghistoni,
direttore dell’Osservatorio meteorologico di Modena , che nel 1910
presentò all’Accademia delle scienze di Napoli una memoria
intitolata ‘Brina, galaverna e calabrosa’.
(pag.82, Le
parole dialettali
di Paolo Zolli Rizzoli 1986)
L.A.Muratori su galaverna è rugiada che negli alberi vedesi
gelata la mattina
accenna ad una possibile
origine nella combinazione della parola greca
gala
(latte) e dell’aggettivo latino
hibernus
invernale) (pag.167, Vocaboli del nostro dialetto modanese di
L.A.Muratori, P.Gherardi, G.Crispi e altri . A cura di Fabio Marri,
Mauro Calzolari, Giuseppe Trenti , Olschki Firenze 1984)

Goga e magoga (andà r in gòga e magòga: andare in malora, G.Sola)
‘Dall’ebreo biblico
Gog e Magòg: nomi di due località bibliche, citate perché vi si combatterÃ
prima della venuta del messia e che cadranno in rovina’
pag.121, Luisa Modena, Il dialetto del ghetto
di Modena e dintorni, Il Fiorino 2001).

Marleta (saliscendi, specie di chiusura per porte e finestre G.Sola) e
rubinet.
‘Nella camera…che era
sarata con la porta su solamente con la
merletta’
(Inquisizione, processi ASMo 1598-1601)
La marleta pare prenda il nome dalla forma che
la fa assomigliare al becco del merlo.
‘Sera pian…cus’ei sti stuss! As romp la marleta!’

Anche rubinetto rimanda ad un animale : viene dal francese robinet
diminutivo di robin montone, il cui muso , in un certo periodo ,
aveva una certa affinità con lo strumento .

Martingala ‘Para uno de calce (calze) a la mertingalla
de saglia apanada biancha
’. Cronica modenese
1506-1554.
La saglia era un tessuto di seta o cotone.
‘La martingala tipo di fattura delle calze
, con brachetta posteriore per comodo dell’andare
di corpo’(G.Trenti, op.cit.)
Ricordo che negli anni cinquanta i cappotti erano all’araglàn ,
con le spalle spioventi, oppure con la
martingala.
Questa era una finta cintura collocata nella parte posteriore del
cappotto .
Cappotto
deriva dal latino tardo
cappa.
La ‘
cappa di San Martino’ (il suo
mantello)
era custodita nell’oratorio reale
di Parigi , chiamato poi
chapelle da cui l’italiano cappella,
nel senso primitivo di ‘
oratorio con reliquie’. (D.Olivieri)

Pcarìa  (beccheria, macelleria, G.Sola)
Mio padre ed un suo amico di nome Giardin,
tenevano un
ninìn in dla purzilara
i
n dal nostar curtìl di via Cavour. La
pcraìa  la ricordo nelle diverse fasi : per la pena iniziale per
l’uccisione del maiale e per una progressiva festa per tutto quel
bendidio che si andava formando sotto l’abile mano dal
pcar
e dei suoi garzoni.
Pcarìa ha una “probabile derivazione dal verbo
appiccare ‘appendere
’ da un latino
parlato
*piccare con riferimento ai gesti e alle tecniche con
cui la carne macellata viene ‘
appesa’ai
relativi strumenti”
(vol.3 Diz.del dialetto di San Cesario sul Panaro)
Nel ‘L’Etimologico’ di A.Nocentini, Le Monnier 2010 scrive “
beccherìa
s.f. [prima metà sec. XIV], deriv. di beccaio
s.m. [sec. XIV] macellaio, denominazione declassante in quanto il
bécco è un animale maleodorante e la sua carne è la meno pregiata
(bécco: il maschio della capra’ dal ted. dialettale *
beck,
var. di
Bock ‘becco, caprone’).

Sagatar (scuotere violentemente, tartassare, G.Sola)
Darag na bela  sagatata, mi pare di ricordare che fosse
un abbraccio animato.
‘Sagatèr:
tartassare, scuotere, anche trabalzare, sbalonzare.
Un traslato con il verbo ‘sciahàt
scannare, macellare, da cui sciohet
macellaio rituale ebreo che a Finale era
chiamato
sagatèn e sagattino
a Carpi.
(pag.121, Luisa Modena, Il
dialetto del ghetto di Modena e dintorni, Il Fiorino 2001).

Salamelecco  ‘Mo l’è un cal
fa’ di gran salamelecch…
’
Saluto cerimonioso, affettato, dall’ebraico scialom
alehem
‘la pace sia con te, in arabo salam alaik’
in
pag.122, Luisa Modena, Ildialetto del ghetto di Modena e dintorni, Il Fiorino 2001).

Scucmai  (soprannome, nomignolo, G.Sola)
!nomignolo da costume” scotume scutm-ài scucmài
nel senso di “
nome dato d’abitudine, di costume(segnalato
da Chiara Ricchi, in
  Manlio Cortellazzo, Carla Marcato, I Dialetti italiani.Dizionario
etimologico Utet 1998)

Sfoia  lista. delle dette noze……….tortioni de pasta fritti, anadre cum sapore
morello, sfoiada alla francesca, lepora fritta’
Voci di terre estensi.
Glossario del volgare d’uso comune (Ferrara- Modena) da documenti e
cronache del tempo .
Non era ancora la celebre
torta degli ebrei ma una pasta sottile come una foglia.

Simitón (moina, complimento, fà r di simiton: schermirsi; tòr i simitón:
accettare, cercare complimenti, G.Sola)
Carlo Goldoni nella prima stesura dell’Impresario di Smirne fa
dire ad una cantante che parla bolognese ‘
e
po’, ch’uccor ch’al fadi con mi sti seimiton’
(e poi che occorre che facciate con meco queste scene).

Lorenzo Stecchetti nella sua Presentaziòn dla Sgnera Cattareina,
fa dire a un personaggio ‘
An l’aveva acgnussò!
Che mi perdoni! Mo che non facci micca semituon
i. (..)
Secondo Menarini* il senso della parola potrebbe derivare dai ‘semituoni’
vocali ricavati da “
atteggiamenti femminili, leziosi,
svenevoli, smancerosi
’ degli attori
bolognesi del Settecento svolti in certe situazioni teatrali.
Questo significato è andato a sovrapporsi al scimitton
‘digrignamento
’ raccolto a suo tempo da
L.A.Muratori e l’autore racconta la questione in ben quattro
pagine.
E’ una parola che si
imparava presto ‘
cus’ei  tut chi simitón !’
e accompagnava diverse fasi dell’infanzia di
putlèt.
Ha voi ancora al pret a lett ! Mo a n’è
più fredd,
cus’ei tut sti simitón.
*Alberto Menarini, Bologna dialettale, Tamari 1978, pag.163

Spultiar (sporcare, impiasticciare, G.Sola)
Quando si giocava col tren fort , l’argilla e si facevano piccoli
oggetti (superlativi
quei ad Mondo)
prima o poi arrivavano le sollecitazioni
‘brisa
spultiarat! cusa spulteat..’
Dal germanico spoltian ‘bagnare’ (vol.1
Diz.del dialetto di San Cesario sul Panaro)
‘Brisa spultiarat ! Cus’el tut sta paciug!‘
Melma, malta, málthē
misto di pece e cera , smelta, paciug
(vol.2
Diz.del dialetto di San Cesario sul Panaro)

Smoia  (smuià r : lavaggio con lisciva, G.Sola)
‘Uno panicèlo che havesse una macchia
che se potesse cacaiare via con del savon in una
smoia non se dovesse mettere in bugada
’
Cronica modenese 1506-1554.
Per fare la smoia si adoperava al zindrandal
, un telo sul quale veniva fatta colare acqua bollente che filtrava
su un denso strato di cenere (dal greco
kónis polvere)
In certi dialetti smóia è il recipiente in cui veniva raccolta
l’acqua di risciacquo del bucato
(vol.1
Dizionario del dialetto di San Cesario),
in
altri è la lisciva, la
lissia, in altri ancora il ranno
, il telo usato per filtrare, parola originata dal verbo alto
tedesco
rinnan ‘scorrere, sgocciolare, filtrare’ (ted.
rinnen).(L’Etimologico di A.Nocentini) .

Il giorno del bucato nel cortile c’era molta animazione: al fugòn
acceso, al
mastlón pin ad pagn, l’à sa dal bugà sulla
quale me
madra strizzava i pagn, poi la mastlina
per la risciacquatura e infine la loro collocazione sui fili tesi
tenuti alti da due pertiche.

Trol (1-specie di rete per la pesca a strascico
 2- attrezzo per aprire piste nella neve,
3-rudimentale mezzo per trasportare cose, formato da due
stanghe sulle quale sono inchiodate assi di legno, G.Sola)

Nel dialetto di San Cesario significa ‘rastrello per togliere le
braci
’ e per lo studioso F.Benozzo’sembra
produttivo cercare una spiegazione in chiave preistorica: anzitutto,
bisogna notare che il nome del rastrello per le braci da forno è
riferibile al lessico specifico della panificazione e più in
generale dei procedimenti di vario tipo legati al fuoco e la sua
introduzione deve pertanto risalire quantomeno al Calcolitico, circa
5000 .C. (epoca in cui i Celti introdussero la maggior parte delle
tecniche metallurgiche in Europa..’
La parola è analizzata in diverse pagine nel capitolo
‘
Nomi dialettali di attrezzi e mestieri
come attestazioni di attività preistoriche

‘per quanto riguarda l’alta Italia, il termine
tròl è
(invece) attestato in un’area dialettale che, in termini
archeologici, è identificabile con la cultura
Palafitticola-Terramaricola di tipo celtico-germanico (Lombardia
orientale, Pianura Padana centro occidentale), che il fiume Panaro
separava da quella Appenninica (da cui si formò successivamente
quella Protovillanoviana e Villanoviana.’
Altre parole del capitolo
‘piód’, ‘gméra’, màza,
marangòun, stagnìn e magnà n’ ( i
due nomi del fabbro itinerante
) F.Benozzo,
vol.2°Dizionario del dialetto di San Cesario sul Panaro pag.21-33
www.continuitas.org/texts/alinei_benozzo_alcuni-aspetti.pdf

Zapél (1-disordine, confusione, 2- intrigo, imbroglio, pasticcio, G.Sola)
‘Li calciamenti (calzature) de coramo…sono molto cari e li zapeli
de legno più non se portano, como già si faceva per il fango’;
‘fatto tagliare una piopa…per far cunzare uno
zapelo’;
‘li zoveni de Modena..alcuni se fanno fare
zopelli
de legno alti con li colli de veluto e
con fibie dorate, da modo che sino li putti voleno de simili
zopeli
e pianeloni Cronica modenese 1506-1554.’in Trenti G. op.cit.

Oltre che sentirlo pare di vederlo al
zapél prodotto
dal calpestio di questi zoccoli , insieme al
legno tagliato da una
piopa
per farli con il conseguente
cus’el tut sta zapél!

Un’altra opinione: ‘Etimo incerto: possibile l’origine da ‘zappa’
..come fossa scavata frettolosamente e quindi confusamente’
(Magri
Eugenio, Vianelli Maria Luisa, Calzolari Roberta, Vocabolario
etimologico comparato dei dialetti dell’Emilia Romagna)