Il Naviglio bolognese nei secoli. Dal Porto di Bologna a Malalbergo.Fabio Marchi

Si può senz’altro definire atipica la collocazione geografica della città di Bologna. A differenza infatti di tutte le realtà similari, l’area urbana si aggregò sulle prime terre emerse attorno al torrente Aposa , lontano da Reno e Savena. Ancora oggi , osservando una “pianta” di Bologna appare evidente l’assenza di un fiume che la attraversa.

Già in prossimità dell’anno mille la città soffriva per tale mancanza e cominciò a costruirsi un reticolo idraulico artificiale capace di fornire forza motrice , di alimentare l’irrigazione e d’essere fattore di produzione. I rapporti civili e commerciali con le altre città avvenivano allora attraverso la navigazione palustre, il primo porto cittadino era collocato alla “Piscariola”, l‘attuale Selva di Pescarola.
L’azione del fiume e dei torrenti collinari caratterizzati da una fortissima connotazione torrentizia accentuò in quel periodo l’interrimento della prima area a nord della città , rendendo difficoltosa e pericolosa la navigazione. I bolognesi pensarono allora di costruirsi una via d’acqua sicura fra quella palude dove cominciavano ad emergere le terre, grazie all’azione naturale della bonifica per colmata. E’ in questa condizione che i bolognesi pensarono di aprirsi una via sicura verso il mare, utile per i commerci.

Il Navile si deve quindi considerare un’opera idraulica capace di non disperdere acqua, consentendo con ciò la percorribilità nei due sensi a barche di basso pescaggio. 

Da sottolineare è l’atipica origine del Navile rispetto ad altri canali artificiali; infatti non si tratta di un vettore per trasportare acqua da un luogo ad un altro in zona asciutta, ma un contenitore in grado di impedire che le acque immesse si confondessero con le acque esterne della palude, con ciò consentendo una più sicura navigazione.

Per alimentare questa vera e propria “autostrada d’acqua” l’intero reticolo idraulico naturale e artificiale urbano fu convogliato nel Navile, così da utilizzare le stesse acque, in città per la produzione di energia, e , a valle, per la navigazione. Può dirsi questo uno dei più vistosi ed eclatanti esempi di artificializzazione ad uso produttivo e commerciale del territorio.
Da allora il sistema canale di Reno, canale di Savena e Navile ha rappresentato per la città fonte di ricchezza capace anche di assicurare un soddisfacente equilibrio idraulico del territorio urbano.

La realizzazione e il mantenimento di tale sistema sono stati tutt’altro che agevoli: il Navile, infatti, sconta un grave peccato originale, ha cioè una pendenza naturale maggiore rispetto al fiume dal quale è derivato; ciò determina forte erosione delle sponde e quindi espurgo ed innalzamento arginale.
La nuova via d’acqua rispondeva anche ai crescenti bisogni di una agricoltura in espansione; è in quel periodo che si affermava il sistema della piantata emiliana. La città che, dopo la caduta dell’Impero romano, per circa cinque secoli si era ridotta ad essere un piccolo “oppidum”, dentro le mura di selenite, conobbe anni di grande espansione, la popolazione aumentò vertiginosamente, la politica del Comune fece sì che professionalità diverse venissero sollecitate a trasferirsi a Bologna. Tutto questo richiedeva energia per le attività molitorie e facile commercializzazione dei prodotti trasformati.

>< All’inizio del XIII° secolo il Comune di Bologna acquistò dai “Ramisani”, un gruppo di famiglie tra le più ricche, costituitesi in una società proprietaria di un ramo del fiume Reno ,derivato a Casalecchio grazie ad una chiusa appositamente costruita, il diritto dell’acqua eccedente le necessità molitorie, anche per immetterle in un nuovo cavo che, partendo dalla zona Lame, giungeva fino a Corticella, dove ancora all’epoca arrivava la palude.

E’ grazie al Navile che Bologna può vantare una vittoria militare nei confronti di Venezia; infatti nel 1271 fu combattuta la battaglia navale alla Polesella, nella quale l’esercito bolognese, al comando del generale genovese Lanfranco Malucelli, sconfisse quello veneziano, guidato dal nipote del Doge,Iacopo Contarini. Con questa vittoria Bologna ottenne dazi favorevoli e commercio privilegiato, così che i propri prodotti divennero ancor più competitvi.

>< Si sentì la necessità di trasferire in città il porto, che fino a quel momento era collocato al “Maccagnano”. Per individuare una nuova iniziativa, volta a migliorare la navigazione, bisognava arrivare fino alla fine del XV° secolo, quando, in piena Signoria dei Bentivoglio, fu dato incarico all’architetto Piero Brambilla di Milano di realizzare un nuovo porto in prossimità del castello signorile vicino all’attuale Porta Galliera.
I lavori furono imponenti, l’inaugurazione sfarzosa, ma già dopo pochi anni il nuovo porto risultò interrito e fu quindi abbandonato.
Un nuovo incarico consentì all’architetto Brambilla di porre rimedio all’eccessiva pendenza posta fra la città e Corticella; furono infatti costruiti dei Sostegni costituiti da sbarramenti lignei trasversali, collocati Battiferro e al Grassi.

Anche questa soluzione si rivelò presto insufficiente, così che, dopo la successiva annessione di Bologna al dominio Pontificio, si dovette nuovamente intervenire.
L’iniziativa fu di Paolo III Farnese, il Papa del Concilio di Trento (che venne poi trasferito anche a Bologna), il quale, nel 1547, affidò l’incarico a Giacomo Barozzi da Vignola di costruire un nuovo porto all’interno della città e tre sostegni a Corticella, in località Grassi e al Battiferro, e le restare da Corticella fino al porto nuovo.
Questi interventi diedero ottimi risultati, tant’è che solo dieci anni dopo vennero costruiti altri tre sostegni: il Landi, il Torresani (o Torreggiani) e la Bova, in sostituzione del vecchio porto del Maccagnano.

Soprattutto il nuovo porto costituì il vero centro commerciale urbano: fu, infatti, dotato delle infrastrutture atte allo stoccaggio dei materiali, alla manutenzione delle barche e a una dogana.
La realizzazione di tutto ciò richiese moltissimi anni e il vero completamento si ebbe solo verso la fine del ‘700, con la realizzazione del nuovo magazzino del sale (unica costruzione rimasta fino ai giorni nostri).

>< Il periodo compreso fra il XV secolo e la fine del XVIII fu il più importante per il Navile e permise a Bologna di commerciare proficuamente in prevalenza con Venezia.
Solo alla fine del ‘700 , con la crisi economica, causata soprattutto dal declino dell’industria della seta e della canapa, e con i guasti dovuti alla diversione del Reno nel Po (realizzata all’inizio del 1600), “l’autostrada” Navile conobbe l’inizio del proprio declino.
A tutto ciò tentò di porre rimedio il cardinale Legato Pontificio Boncompagni Ludovisi, il quale incaricò padre Antonio Lecchi di realizzare l’inalveazione del Reno nel Po di Primaro. L’opera riuscì, e fu anche realizzato un nuovo sostegno a Malalbergo, per assicurare il collegamento con il nuovo tracciato del fiume Reno.

Ma proprio questi interventi portarono, nel lungo periodo, all’abbandono del Navile; la bonifica dei territori contigui permetterà, infatti, la realizzazione di una strada verso Ferrara, cosa che avverrà definitivamente solo nel 1791.

>< Con l’avvento del governo Napoleonico nel 1796, il canale perse ulteriormente il suo ruolo, e la navigabilità cedette il passo agli usi agricoli e all’alimentazione delle risaie. Il dominio francese diede il colpo di grazia alla già decadente industria serica: l’invasore, infatti, impose pesanti dazi, al fine di favorire le produzioni francesi.
Forte fu nel periodo la competizione fra gli usi agricoli e la navigazione, che intanto era diventata quasi esclusivamente locale. A ciò si tentò di porre rimedio destinando i primi tre giorni della settimana alla navigazione, e i restanti alla irrigazione.

>< Coi primi dell’800 si affermò un nuovo uso dell’acqua legato alla produzione di energia: le centrali furono realizzae in città, mentre sul Navile la più importante fu collocata al Battiferro.
Nel 1869, con la costruzione della Ferrovia Bologna-Ferrara, il Navile perdette definitivamente le caratteristiche di via commerciale, anche se le iniziative del neonato Stato italiano produssero miglioramenti sensibili.

>< Col Regio Decreto del 1911, il Navile fu classificato come linea navigabile di seconda classe, atto che trasferiva allo Stato tutti gli oneri relativi alla manutenzione e alla riattivazione della navigazione stessa.
Alla fine della prima guerra mondiale i lavori erano già stati ultimati, e con la sistemazione arginale e delle case di guardia, la navigazione locale riprese vigore; lo smantellamento del porto eliminò invece qualsiasi possibile ripresa dei commerci.
Un certo rilievo ebbero le gite in barca lungo il Navile; nel 1925 una barca della Scuola Nautica di Ravenna tentò con successo di raggiungere la Bova sbarcandovi trionfalmente senza aver mai dovuto trasportare il natante a braccia.

>< Nel 1948 la navigazione si estinse definitivamente. Nel 1952 vennero abbandonati i sostegni che regolavano il flusso; si narra che l’ultima imbarcazione a giungere alla Bova dal mare sia stato ,nell’anno successivo , un “mas” della Marina militare.

>< Il Navile, che vedeva così concludere la sua secolare vocazione per il trasporto fluviale, già trasformato in vettore per l’alimentazione irrigua, aveva, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, cominciato a svolgere una nuova importante funzione, quella di recettore e trasportare delle acque reflue urbane. Per secoli, infatti, le acque nere della città erano immesse nei pozzi neri; ma con la riattivazione dell’acquedotto augusteo le reflue urbane non potevano più essere contenute, e il Navile divenne il naturale scarico della città.
Il secolo appena concluso ha visto consolidarsi quest’ultima funzione, svolta insieme ai canali di Reno e Savena, ricevendo dapprima le reflue urbane direttamente, poi, via via che si completava la realizzazione del sistema di fognatura, solo le acque di pioggia, contribuendo con ciò al buon assetto del territorio.

 Il nuovo secolo e le rinnovate necessità di Bologna potranno avere ancora una volta risposte importanti dal sistema cittadino di Reno e Savena e dal vettore di valle Navile.
L’esistenza di questo acquedotto artificiale consentirà la realizzazione di importanti interventi volti a migliorare la qualità della vita del nostro territorio.
Un primo importante esempio è la prossima pulizia delle strade dalle polveri sottili effettuata con acque non potabilizzate , tale da ridurre il carico inquinante prodotto dalla combustione degli idrocarbiuri e migliorerà l’efficienza dei depuratori. Inoltre, facendo ciò si otterrà il contenimento dei nefasti effetti dovuti allo sversamento nei corsi d’acqua naturali delle acque di prima pioggia.
I canali, per la maggior parte inglobati nell’area urbana, se considerati anche come siti di rilevante valore ambientale, potranno costituire elemento qualificante dello sviluppo territoriale; parchi aree ecologiche,piste ciclabili e altro, potranno aggregarsi attorno al sistema idraulico artificiale, che intanto continuerà anche ad operare a favore dell’agricoltura.

In conclusione, si può senz’altro affermare che l’opera di conservazione assicurata dai Consorzi dei canali di Reno e Savena, che ha permesso di mantenere vivo l’antico sistema idraulico cittadino e di alimentare il Navile, consente oggi di disporre di un importantissimo strumento per uno sviluppo territoriale armonico.

 CURIOSITÀ E NOTIZIE VARIE SUL NAVILE

* La navigabilità era assicurata soltanto per sette mesi all’anno a causa della carenza d’acqua estiva. Le barche erano tozze, a basso pescaggio (metri 1,30) e con la punta rialzata da entrambe le parti in modo da poter navigare nelle due direzioni. Mediamente erano lunghe dai 6 ai 10 metri e larghe 3.

Vi erano anche differenti tipi di imbarcazioni:
il “bucintoro“, che era una nave coperta destinata ai servizi dei passeggeri;
la “nave”, o barca, utilizzata dalla navigazione superiore, cioè fino a Malalbergo, era destinata al trasporto umano e delle merci;
il “burchiello”, era una barca interamente scoperta, così come il “sandalo”, di più ridotte dimensioni: il primo era utilizzato nella navigazione superiore, il secondo in quella inferiore.

Le barche erano tutte di proprietà privata, e i “paroni” avevano una autorizzazione rilasciata dalla “Gabella Grossa”, che possedeva solo piccoli natanti di servizio: per esempio, la “ghiacciarola”, utilizzata d’inverno per rompere i ghiacci.
Le merci erano costituite dai prodotti della campagna bolognese e dal pesce fresco delle valli e dello stesso canale. Giungevano a Bologna anche marmi, pesce dell’Adriatico, olio, vino e legname per le costruzioni. Importantissimo era il salòe, proveniente soprattutto da Cervia.

* Il primo “corriere postale” fu istituito a metà del 1500, e collegava due volte la settimana Bologna con Ferrara e Venezia. Ai viaggiatori era richiesta tanta pazienza: 4 ore dal porto a Corticella , e 7 ore per andare a Malalbergo.

Le barche erano poi spesso sudicie; durante il viaggio si mangiava, si dormiva, si giocava, e spesso si veniva anche derubati.
Le figure professionali destinate ad assicurare l’efficienza del Navile erano nell’ordine:
il “custode” del porto cittadino, responsabile dell’intera zona portuale;
il “gabellino“, che aveva il compito di riscuotere i dazi;
il “cattenarolo“, che aveva il compito di impedire l’uscita delle barche senza che avessero pagato il passaggio , tirando una catena dagli opposti lati del canale;
i “sostegnaroli“, incaricati di assicurare il funzionamento dei sostegni;
il “cavalcante“, cioè il guardiano che mensilmente percorreva a cavallo il canale e ne programmava la manutenzione;
i “battifanghi”, cioè coloro che ,percorrendo a piedi il canale , eseguivano la pulizia delle restare e degli argini; infine,
il “capitano” di Malalbergo, responsabile del sostegno del sito dove si concludeva la navigazione superiore.

 INTERAZIONI FRA TERRITORIO URBANO E CAMPAGNA

La nascita del Navile può datarsi intorno all’anno mille. A quell’epoca infatti , poco a noed della via Emilia, cominciavano le zone acquitrinose miste a macchie boscate che, più a nord ancora, si confondevano nella vastissima palude del Delta del Po. Le aree abitate erano sopraelevate e le zone coltivate venivano dotate di scoli artificiali.
Nel XIII° secolo il paesaggio cominciò a modificarsi in conseguenza dell’agire dell’uomo, che orientò le scelte agronomiche verso la cerealicoltura e la viticoltura.

La campagna cominciò ad essere occupata da dispendiose infrastrutture quali strade, colture intensive e canali navigabili resi necessari a causa della perduta navigazione palustre; il Reno allora sfociava nel Po, che poco a valle si divideva in due rami quello a nord di Ferrara, detto di “Volano”, e quello a sud, detto di “Primaro”.

Nel 1152 vi fu la naturale e rovinosa rotta di Ficarolo, alla quale seguì. a cavallo del secolo, una nuova rotta artificiale, sempre nel versante sinistro, grazie alla quale si formò un ulteriore ramo posto a nord di Ferrara, detto “Po di Venezia”.
Da ciò ebbe origine il disordine idraulico che caratterizzò i secoli successivi, e molti fiumi collinari si videro privati del proprio sfogo naturale, riversando le proprie acque sui terreni conquistati dall’uomo.
Il Po, a causa del costante apporto di sedime, alzava continuamente il proprio letto, divenendo sempre più incapace di ricevere le acque dei propri affluenti, così che ,nei secoli successivi, si registrarono ripetute inondazioni causate dai corsi d’acqua collinari.

Il Reno venne arginato e immesso nel Po di Ferrara solo nel 1522. Nel 1600 i ferraresi dirottarono il Reno , cercando di colmare la valle di San Martino, e nel contempo di richiamare nell’antico alveo il corso principale del Po. il piano fallì a causa delle insufficienti tecniche operative dell’epoca, così che la bonifica per colmata portò sempre più a sud le aree sommerse. Gli insuccessi dei ferraresi si riversarono sulla campagna bolognese, che di ciò subì le conseguenze per tutto il XII° secolo.
Il canale Navile fino ad allora continuava a confluire nel Po di Primaro, e la navigazione aveva due possibilità: la prima utilizzava questa via, la seconda si effettuava attraverso le valli in direzione di Comacchio. Le frequenti rotte del Reno si riversarono sulla pianura a nord costringendo la navigazione “bassa” a spostarsi verso est.

Nel 1742 il Cardinale Lambertini, divenuto Papa col nome di Benedetto XIV , ordinò la realizzazione di un cavo, che in suo onore venne chiamato “benedettino“, con lo scopo di ricevere le acque del Reno, oltre a quelle dei corsi d’acqua confluenti a Passo Segni: Organa, Volta, Navile, Savena e Idice.

La navigazione a quel punto prevedeva il passaggio attraverso il Reno, indi nel Po di Primaro, attraverso successivi trasbordi delle persone e del materiale.

La rovinosa rotta del 1741 portò, nel 1795, all’immissione del Navile nel Reno a Passo Segni, e alla definitiva inalveazione del Reno nel Po di Primaro; coeva è la diversione del Savena nell’Idice.
Da allora , Napoleone prima. ed altri più recentemente, progettarono la reimmissione del Reno in Po grande, senza che si passasse alla fase operativa.

Fabio Marchi
 Segretario Generale del Consorzio Chiusa di Casalecchio e del Canale di Reno.

Trascrizione qui consentita per gentile concessione dell’Editore “Monte Sole Bike Group” e dell’ing. Walther Vignoli curatore, con altri, della pubblicazione “La CicloVia del Navile“.