Alessandro Maccaferri. Un artista della pianura del Reno. Franco Ardizzoni

“Nato a
San Vincenzo di Galliera
il 21 luglio 1857, Alessandro Maccaferri fin dall’infanzia
dimostrò una particolare predisposizione per il disegno e
l’arte pittorica. Ammesso all’Accademia di Belle Arti di Bologna
divenne presto l’idolo dei suoi compagni.
A
quattordici anni vinse il premio assegnato per il periodo delle
vacanze. Il premio consisteva in un soggiorno di sei mesi a Firenze,
dove l’inestimabile patrimonio delle opere artistiche disseminate
per la città, nelle cattedrali, nei musei e nella pinacoteca
doveva affinare il senso d’arte dello studioso, innamorato
dell’arte.

Il
giovane Maccaferri vinse la borsa di studio a Firenze a soli 14 anni
con un lavoro di riproduzione di un particolare di uno dei più
famosi quadri pittorici esistenti nel mondo: la deposizione
del corpo di Cristo dalla Croce, opera dello spagnolo Esteban
Murillo.
Il lavoro
del Maccaferri riproduce la testa di una dolente che assiste alla
pietosa scena della deposizione.
Il quadro
venne donato dallo stesso Maccaferri, nell’anno della sua
esecuzione, cioè nel 1871, al Municipio di Galliera, dove è
ancora oggi conservato nell’ufficio del sindaco.

Per le
sue doti d’ingegno e di equilibrio ed il garbo e la discrezione dei
modi e delle parole fu il prediletto dei suoi Insegnanti-Artisti
dell’Accademia, fra i quali i celeberrimi professori Ferri e
Piccinelli
.

 

I suoi
primi guadagni li fece collaborando ad un’opera scientifica di
straordinario valore: “Sulla storia della Teratologia”
(Teratologia = Studio delle mostruosità animali e
vegetali) dell’illustre professore Cesare Taruffi,
ordinario di Patologia all’Università di Bologna. I disegni
e le illustrazioni che adornano a migliaia la colossale mole di
quest’opera, unica al mondo nel suo genere, sono di mano del
Maccaferri. Per parecchi anni, si può dire, visse in
dimestichezza col prof. Taruffi che fu un ben originale scienziato ed
insieme petroniano sino all’osso, nella casa

del quale conveniva abitualmente tutta la èlite
intellettuale scientifico artistica della città.

 

Da ciò
la schiera degli ammiratori ed amici del Maccaferri crebbe a
dismisura. Dipinse tele su tele per lo studio artistico del conte
Penalverde e una collezione di dipinti di stile orientale per i conti
Marescalchi.

L’Accademia
di Belle Arti di Bologna gli conferì il titolo di Membro
Onorario.

Di
spirito avventuroso non amava soffermarsi a lungo nello stesso luogo.
Armato di una modesta valigia, dei pennelli e di una tavolozza andava
alla ventura viaggiando per i paesi d’Europa: Svizzera e Francia.
In Alta Italia lavorò nel Cimitero Monumentale di Crema e
nella chiesa di Clusone, nel bergamasco.

Numerose
sono le chiese, i cimiteri, le dimore patrizie, i piroscafi di lusso,
le case borghesi ed anche quelle più umili che si adornano dei
suoi sapienti motivi di decorazione, di effigi di santi, di affreschi
sontuosi”

Quanto sopra
scritto è un estratto dell’ elogio funebre tenuto in
Consiglio Comunale dal sindaco di Galliera, Enea Venturi, il giorno 7
agosto 1925 e pubblicata il 6 agosto 1930 a stampa della tipografia
Bevilacqua di Minerbio.

Alessandro
Maccaferri trascorse gli ultimi anni della sua vita nel suo paese
natale dove la famiglia Bonora gli fece affrescare la propria villa
di San Venanzio (attuale sede del Municipio di Galliera)
. Non
affrescò invece, come si credeva, e come qualche autore ha
scritto, l’altra villa, sempre dei Bonora ed attualmente di
proprietà della famiglia Testoni, posta in San
Vincenzo. Infatti è stato accertato che gli affreschi ancora
presenti in questo edificio sono stati eseguiti da un artista anonimo
alla fine del Settecento o all’inizio dell’ Ottocento, quando
Maccaferri non era ancora nato.

 

Nella chiesa
di San Venanzio dipinse due quadri ad olio raffiguranti l’uno Santa
Filomena e l’altro S. Antonio abate.
Inoltre eseguì diversi
ritratti a carboncino commissionati da alcune famiglie di Galliera ed
ancora oggi conservati dagli eredi di dette famiglie.
Morì
a Galliera il 6 agosto 1925
(alle ore 4) ed è sepolto nel
locale cimitero.

 

Franco Ardizzoni