Porta Capuana, edilizia “popolare”. Angela Abbati

Il Castello di S. Giorgio fu riedificato alla fine del XIV secolo su di un preesistente impianto di antica origine, ma le parti in muratura furono completate dopo il 1403 (?) con l’arrivo a Bologna del nuovo Legato Pontificio Baldassarre Cossa. Le sole parti ricostruite del Castello, il quale non era circondato da mura, ma da palizzate, da terrapieni e da larghe fosse, erano le due porte munite, l’una verso Bologna e l’altra verso Ferrara. Rimane ancora quella che volge a settentrione e Ferrara[1]               In queste immagini della fine dell’800, inizi 900, la Porta Ferrara (o Capuana) appare come era prima del restauro eseguito nel 1913 ed è abitata. La merlatura (che nel suo aspetto originario doveva essere scoperta) risulta tamponata con mattoni a vista, mentre erano state create delle piccole aperture per le finestre. Anche l’arco centrale, prospiciente l’interno del paese, era chiuso da una grande meridiana incastonata, di origine forse settecentesca .La presenza dei camini lascia inoltre supporre che al piano superiore vi fossero delle stufe o caminetti che consentivano di poter riscaldare l’ambiente. Tutto ciò garantiva un certo grado di abitabilità  all’edificio.

Ma chi erano gli abitanti di Porta Capuana?

Una leggenda popolare narra che nell’Ottocento un carrettiere di San Pietro in Casale si era innamorato della figlia del carceriere di San Giorgio, ma il padre della ragazza (a causa dell’antica rivaltà  tra i due paesi contigui) non vedeva di buon occhio l’unione. Allora il giovane escogitò uno stratagemma per poter vedere l’amata: aggredì un carabiniere per poter essere arrestato e finire in carcere, che si trovava allora proprio. all’interno della Porta Capuana.

Al di là  della veridicità  di quanto racconta la leggenda ottocentesca riguardo la presenza di un carcere  (o per lo meno di una guardina)  dentro la porta Ferrara, è comunque assai probabile che circa un secolo fa la porta assolvesse una funzione di tipo abitativo. Lo attestano le foto dell’inizio del ˜900.                 

  Dal confronto tra le fotografie precedenti e quelle immediatamente dopo il restauro del monumento,condotto nel 1913[2], si possono rilevare i principali obiettivi di quell’intervento.Oltre al consolidamento del fabbricato e all’eliminazione degli evidenti guasti, il restauratore di allora si proponeva come finalità  prioritaria di rimuovere i tamponamenti presenti in facciata, resi necessari dall’uso residenziale a cui era stato adibito l’edificio in favore delle persone indigenti.

La rimozione del tamponamento che accecava l’arco posto verso la piazza principale, aveva comportato la distruzione dei resti di quella bella meridiana dipinta rappresentata nelle antiche fotografie.

Recentemente l’amministrazione comunale di San Giorgio di Piano ha approvato un progetto di sistemazione della Porta Ferrara, redatto dall’Ufficio Tecnico Comunale.

Il progetto di restauro, elaborato dall’architetto Pier Franco Fagioli, si propone di valorizzare le caratteristiche storico-artistiche Leggi Tutto

I Caduti di Crevalcore nella Guerra 1915-1918. Paolo Antolini

Per chi si occupa di ricerche legate alla Grande Guerra, è quasi un obbligo cominciare dal monumento ai caduti che si trova spesso nella piazza principale di ogni paese o città d’Italia perché nel suo marmo sono riportati i nomi dei soldati morti sui vari fronti diguerra: così è stato fatto per Crevalcore. Grazie al lavoro di digitalizzazione di gran parte dei documenti depositati presso il Museo Civico del Risorgimento di Bologna, in particolare delle notizie riportate nel volume ” I morti della Provincia di Bologna nella guerra 1915-1918 “ ai nomi abbiamo potuto affiancare grado, reggimento di appartenenza, data e luogo di morte; la ricerca nel database è stata impostata utilizzando la parola chiave “dimorante a Crevalcore” che ha dato un elenco di 228 nomi di soldati deceduti per cause riconosciute di guerra, mentre l’opuscolo che nel 1924 Crevalcore dedicò ai suoi caduti ne riporta 247; non deve stupire perché nella pubblicazione comunale sono elencati i soldati deceduti per malattie
sino al 1924, mentre il volume si ferma al 1920.

Il piano generale di guerra stilato dal nostro Comando Supremo, prevedeva azioni diverse per le varie Armate a seconda del luogo di dislocamento delle stesse: nelle Alpi la 1 Armata doveva stare sulla difensiva, sugli Altipiani Trentini bisognava operare solo per piccole rettifiche Leggi Tutto

Galliera. Monografia n. 3

Dopo  un paziente lavoro di ricerca e studio è pronto il 3° numero di
“Galliera, uomini fra terra, lucciole e stelle”
pubblicazione monografica   edita come supplemento del periodico “Torre” del Comune di Galliera, promossa e curata dalla Pro Loco di Galliera e da un gruppo di ricercatori di memorie e storie locali, coordinato da Franco Ardizzoni.
La presentazione al pubblico si terrà venerdì 24 aprile 2008 alle ore 20,45
presso il Municipio , Piazza Eroi della Libertà, a San Venanzio di Galliera
Interverranno: Giuseppe Chiarillo, Sindaco Rossella Baroni, Assessore alla cultura, Magda Barbieri, Presidente Gruppo di Studi Pianura del Reno, Francesco Manferdini, Presidente – Pro Loco Galliera, Cesare Borsari, Presidente – Pro Loco Regionale
– Al termine, rinfresco.
* La nuova monografia presenta fra i suoi testi, il proseguimento delle note di toponomastica sulle strade di Galliera , approfondimenti sulle vicende di alcune località, come S. Prospero, e di antichi edifici dalle denominazioni misteriose come “al Tambel”
.

1914 – L’illuminazione pubblica a S.Giorgio di Piano passa dall’acetilene all’elettricità. Anna Fini

2014: CENTO ANNI DELLA
ILLUMINAZIONE ELETTRICA PUBBLICA A S. GIORGIO DI PIANO.
Ricerca
di Anna Fini
Esattamente 100 anni fa, nel
1
914, nel comune di San Giorgio di Piano si passava
dall’illuminazione pubblica a gas acetilene all’illuminazione
elettrica.
Ma come avvenne questo passaggio?
Nel lontano 1912 la SocietÃ
Elettrica di Bologna chiese d’iniziare le pratiche per
impiantare una rete di pubblica illuminazione elettrica a San
Giorgio. La Giunta, allora presieduta dal Sindaco
Gaetano Rossi, pensando che questo nuovo sistema fosse
più sicuro, più economico e più pratico rispetto al sistema sin a
quel momento utilizzato, affidò all’assessore Gaetano Tommasini
l’incarico di studiare l’argomento.
San Giorgio attraversava, in quegli
anni, uno “sviluppo dell’arte edilizia” con un aumento
delle dimensioni del paese che aveva reso l’impianto
d’illuminazione a gas acetilene insufficiente ed era quindi
indispensabile la sua estensione oppure la sua sostituzione con un
impianto a luce elettrica. Le due soluzioni vennero vagliate
dall’Amministrazione
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La torre del Cocenno. Franco Ardizzoni

La torre del Cocenno, un tempo in territorio bolognese, si trova oggi in comune di Poggio Renatico e la si può vedere percorrendo la strada che da San Carlo di Sant’Agostino porta appunto a Poggio Renatico: dopo circa un chilometro da S. Carlo, sulla destra, passato il ponte sullo scolo Riolo.
La torre faceva parte di un sistema difensivo (Amedeo Benati – Strenna Storica Bolognese. 1989) realizzato dal comune di Bologna nei secoli XII e XIII per contrastare il potere dei marchesi d’Este, signori di Ferrara, con i quali era frequentemente in lotta. Il primo avamposto di questo sistema difensivo fu il castello di Galliera e relativa torre (scudo e difensione di tutto il contado bolognese verso il ferrarese, così afferma il Senato nel 1296), costruiti dal comune bolognese  alla fine del XII secolo. Successivamente, nel 1242, come riferisce lo storico Cherubino Ghirardacci nella sua “Historia di Bologna”, i Bolognesi costruirono la torre dell’Uccellino ( nella terra di Lusolino) a pochi chilometri da Ferrara spostando così verso nord il confine fra il territorio bolognese e quello ferrarese. Nel 1305 fu edificata la torre Verga (non più esistente), nei pressi dell’attuale Mirabello, che in quei tempi faceva parte del territorio di Galliera, allora vastissimo. Ma prima della torre dell’Uccellino fu costruita quella del Cocenno, anch’essa in territorio di Galliera. Tutte queste torri erano poste a guardia di strade e di canali navigabili, che collegavano il Bolognese con il Ferrarese.
 
 
 
La torre del Cocenno in una foto attuale. Purtroppo lo stato di degrado è molto avanzato, soprattutto per quanto riguarda le case che vi sono addossate, un tempo di proprietà dei Padri Olivetani di San Michele in Bosco di Bologna. (Foto Franco Ardizzoni) 

Il 3 novembre 962, e di nuovo nel 976, è nominato il ripatico, cioè una tassa sull’attracco,  della Galliera e del Cocenno (due canali navigabili) di spettanza della Corte di Antoniano (donata dall’imperatore Ottone il Grande al prete Erolfo, presbitero della Chiesa di Arezzo).

La torre fu costruita nel 1233 proprio nel punto di confluenza del Cocenno (canale proveniente dal territorio centese) con il Riolo. La data di costruzione, già riportata da Donato Toselli nel suo volume “Sant’Augustino de Paludibus”, è indicata su una lastra in cotto murata a destra della porta posta al primo piano della torre. Questa lapide, per il suo colore rossiccio, che la confonde con le pietre di cui è costruita la torre, è sfuggita ad alcuni famosi studiosi (fra i quali padre Edmondo Cavicchi ed Ugo Malagù). Non è sfuggita invece a Gianna Andrian (oltre che a Donato Toselli), di S. Martino di Ferrara, la quale l’ha fotografata ed ha consegnato una copia della foto a Luciana Succi di Ferrara che a sua volta, gentilmente, l’ha passata al sottoscritto.

La torre, coi terreni circostanti, appartenne per lungo tempo, (almeno dalla metà del Cinquecento fino alla fine del Settecento) ai Padri Olivetani di San Michele in Bosco di Bologna. I terreni (oltre 300 tornature) venivano ceduti in affitto a mezzadria, ed intenso era l’allevamento del bestiame, introdotto in queste terre da coloni bergamaschi all’inizio del Quattrocento. Il 30 marzo 1636 l’abate Pepoli stipulò un contratto con il “macellaro” Anibal Siena con il quale il convento si impegnava a dare tutti i vitelli della cascina, ed altri delle “bergamine del monasterio” sino al numero di 60 in circa all’anno. Da parte sua il macellaio si impegnava a scontare il prezzo dei vitelli “in tante carni da pigliarsi alla sua bottega” da parte del convento. Il suddetto contratto risulta rinnovato fino all’aprile 1672.

Da un inventario del 15 marzo 1666 risulta che alla cascina di Cocenno vi erano 55 vacche, 10 vitelle di anni due, 6 vitelle di un un anno e tre tori: un varolo, un brinato, un varoletto. Alle vacche ed alle “manzette” erano stati affibbiati nomi pittoreschi quali (tanto per citarne alcuni) : Cucca, Zingara, Limonara, Fior di Spina, Cul di rondanin, Colomba, Folega, Bella maia, Fiamma, Belfiore, ecc.

 

La lapide in cotto posta nella torre a fianco della porta finestra del primo piano. Donato Toselli ha trascritto il testo ed ha riportato la seguente traduzione: “Quest’opera fu iniziata e completata dal sig. Giacomo [figlio] del sig. Parditeno sovrastante a questo luogo di lavoro nel tempo del Regime. 1233”. (Foto Gianna Andrian)

In una delle costruzioni addossate alla torre i Monaci Olivetani avevano ricavato un oratorio, o piccola cappella, “dove all’altare vi è un’ancona nova con profili d’oro e un’immagine del beato Bernardo et una croce profilata d’oro. Alla suddetta chiesa vi è un parapetto dipinto con le sue finestre e porta di noce con serratura a chiave” (sempre dall’inventario del 1666).
Nel Catasto Boncompagni (circa 1780) la tenuta è classificata come “Corpo di Terra detto = La Torre di Cocenno = dei RR. PP. Olivetani di S. Michele in Bosco e le tornature risultano essere 597.

Con l’arrivo delle truppe francesi (1796) le terre – come la maggior parte dei beni ecclesiastici- vennero confiscate, e Napoleone Bonaparte le assegnò, unitamente alla cascina ed alla torre, all’ Università di Bologna allo scopo di migliorare, col ricavato della vendita, il laboratorio chimico, l’orto botanico, gli anfiteatri per le lezioni sperimentali, l’osservatorio ed i gabinetti di meteorologia e fisica. Nel 1864 la proprietà risulta trasferita a Filippo Calegari.
Attualmente è in costruzione, a poche decine di metri dalla torre, una super-strada a valenza regionale per collegare la Strada Provinciale 50, nei pressi di Poggio Renatico, con la Strada Provinciale 35, nei pressi di San Carlo.

 
Franco Ardizzoni 

Francesco Zanardi “il sindaco del pane”

Francesco Zanardi (Poggio Rusco, 6 gennaio 1873 – Bologna, 18 ottobre 1954) (*)
Dopo gli studi a Poggio Rusco e a Mantova, s’iscrisse all’Università di Bologna dove si laureò
in Chimica e Farmacia. Dirigente del Partito socialista italiano nel mantovano, sulla linea del socialismo umanitario di Camillo Prampolini Prampolini e  Filippo Turati,  si applicò intensamente nell’attività di amministratore.
Fu sindaco di Poggio Rusco (MN) e contemporaneamente consigliere comunale a Bologna nel 1902. A Bologna, nel 1904, fu assessore all’igiene della giunta comunale guidata dal sindaco Enrico Golinelli. Fu anche vice presidente dell’amministrazione provinciale di Mantova tra il 1904 e il 1906. La sua attività d’amministratore
pubblico giunse all’apice il 28 giugno 1914 quando si svolsero a Bologna le elezioni amministrative che per la prima volta portarono la sinistra al governo della città .
Per adempiere al motto elettorale “Pane e alfabeto” Francesco Zanardi fu sindaco designato dalla lista socialista con l’appoggio
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Gruppo di studi “Progetto 10 righe”

Gruppo di studi “Progetto 10 righe Via Renata Viganò 16 – 40044 Pontecchio di Sasso Marconi BO
Il Gruppo di Studi “Progetto 10 righe” è un’associazione culturale, senza scopo di lucro, che ha sede a Sasso Marconi, in provincia di Bologna. Ha iniziato la propria attività nel 1999, per arrivare alla costituzione formale nel settembre 2001.
I campi di attività sul territorio sono i seguenti:
* Recupero, promozione e valorizzazione della storia del territorio; * Promozione, conoscenza e valorizzazione del territorio attraverso escursioni, visite guidate, conferenze, proiezioni, ecc.; * Pubblicazione della rivista semestrale “al sâs – storia, natura cultura” e di altre opere di interesse storico, ambientale e culturale; * Sostegno alle Amministrazioni locali per la formazione di un Centro di Documentazione Storica e alle iniziative storico/culturali e ambientali; * Elaborazione di progetti didattici e loro presentazione e diffusione all’interno delle scuole; * Collaborazione con istituzioni, associazioni e scuole del territorio; collaborazione con la Fondazione Guglielmo Marconi per le visite guidate all’omonimo museo;
* Promozione di iniziative culturali, giornate di studi, convegni, manifestazioni, presentazioni di opere letterarie, mostre, mestieri dimenticati.

– Progetti didattici per le scuole
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Storia della Casa del popolo di S. Giorgio di Piano. Anna Fini

** Ricerca di Anna
Fini
basata su studi
di Luigi Arbizzani
1,
su documenti dell’archivio storico del Comune di San Giorgio di
Piano e su testimonianze raccolte.
“Le sedi dei
partiti operai e bracciantili a S. Giorgio si costituirono alla fine
dell’ottocento e s’ identificarono, come in tanti altri paesi
della campagna, con le sedi delle Case del Popolo.
La
formazione di queste sedi stabili avviene in 2 momenti successivi.
In un primo
tempo2 il ritrovo
dei movimenti di operai, artigiani e contadini era nei posti più
popolari: le osterie.
Gli aderenti
ai movimenti (in modo particolare in Emilia Romagna) si ritrovavano
in questi luoghi tradizionali per trascorrere il tempo fuori dal
lavoro, per riposarsi, per riunirsi tra amici e per giocare;
facevano così crescere le loro organizzazioni, proteggendosi
nell’anonimato che gli esercizi pubblici potevano offrire.
Successivamente
e sino ai primi due decenni del novecento si diffusero le Case del
Popolo; qui le organizzazioni operaie e bracciantili elessero le sedi
dei circoli, delle leghe, delle cooperative di consumo e delle Camere
del Lavoro
.
“…Dopo
l’ottanta3anche
in diversi piccoli comuni agricoli della provincia, e specie nella
pianura, erano state istituite
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La torre di Galliera. Franco Ardizzoni

Nella sua politica di espansione verso il contado il comune di Bologna, alla fine del XII secolo (sembra nel 1194), costruì il castello e la torre di Galliera in una posizione che, in quel momento, rappresentava il punto più avanzato dei suoi confini verso il territorio ferrarese degli Estensi, con i quali erano frequenti i contrasti. Da quel momento, e per tutto il XIII secolo, Galliera divenne un luogo molto importante per il comune di Bologna. La strada che partendo dal centro della città si dirigeva verso nord prese il nome di strada di Galliera e veniva regolarmente inghiaiata, anche la porta da cui usciva detta strada si chiamò porta Galliera. La località divenne sede di Podesteria e la sua giurisdizione si estendeva sopra 26 comunità. 
Il castello e la torre di Galliera furono il primo punto di un sistema difensivo dei Bolognesi verso il territorio ferrarese. Infatti, successivamente fu costruita la torre del Cocenno, poche miglia a nord di Galliera, nel punto di confluenza del canale Cocenno (proveniente dal Centese) con il canale Riolo che, passando accanto alla torre di Galliera, collegava la città di Bologna con il Ferrarese unendosi al “canale Palustre”, che nasceva dal Po in località Porotto. Nel 1242 fu costruita, sempre ad opera del comune di Bologna, la torre dell’Uccellino (nella terra di Lusolino) a 5 miglia da Ferrara e 25 da Bologna, sempre sulla riva di un corso d’acqua, e nel 1305 fu edificata la torre Verga (non più esistente) in un luogo che oggi si trova al bivio delle strade che conducono a Mirabello, Poggio Renatico e Madonna Boschi, ma che in quel periodo era territorio del comune di Galliera.Nel 1250 l’organo legislativo del comune di Bologna deliberò che fosse posta una campana sulla torre dell’Uccellino, una  sulla torre del Cocenno ed un’altra sul lato settentrionale della torre di Galliera, “e ciò affinchè i comuni delle terre interessate possano e debbano, quando venga segnalato un pericolo, correre ad appostarvisi, e i nemici del comune di Bologna non si arrischino di entrare nel nostro territorio”.

Il sistema difensivo bolognese, ben descritto dallo storico Amedeo Benati (Strenna Storica 1989) fu completato con la costruzione, nel 1301, della torre dei Cavalli, nella zona di Molinella.

Tutti questi fortilizi erano custoditi da un capitano coadiuvato da un certo numero di uomini armati.

Nel 1336 il comune di Bologna distrusse il castello di Galliera perché vi si erano rifugiati dei fuorusciti di parte ghibellina. I soldati di Vinciguerra di Ansaldino Bugatti, dopo aver messo a ferro e fuoco il circondario, espugnarono il castello e lo spianarono fino alle fondamenta ed avendo catturato alcuni ribelli li “impiccarono per la gola agli arbori”. La torre, con i suoi robustissimi muri di oltre 2 metri di spessore, venne risparmiata ed è l’unico avanzo di quel glorioso periodo.

La torre è alta circa metri 21,75 ed ha una base di metri 9,40 x 7,70. Ha tutte le caratteristiche delle torri bolognesi ed assomiglia particolarmente alla Garisenda ed alla torre Galluzzi.

La sua porta aerea si trova a circa mt. 1,75 dal suolo, ma in origine doveva essere a circa mt. 6, come quella della Garisenda. Infatti le ripetute alluvioni delle acque torbide del Reno, trattenute dall’argine denominato Coronella, hanno innalzato nei secoli il livello del suolo circostante per cui 4-5 metri del corpo della torre sono interrati.

Nella parte alta della parete sud vi è una nicchia che un tempo conteneva lo stemma in macigno del comune di Galliera. Tale stemma è stato scalpellato durante il periodo della Repubblica Cisalpina (1797-1805) 

A sinistra la torre di Galliera in una foto attuale che mostra le pareti sud ed est. Da notare, nella parte alta, la nicchia che conteneva lo stemma del comune. In basso i segni lasciati dalla costruzione che vi era addossata nel corso del XVI secolo. A destra, particolare della porta aerea.
Due particolari della torre. A sinistra la feritoia posta sul lato nord, con sopra il piccolo fregio. Notare lo stato di usura della feritoia. A destra la finestrella che si trova in alto sulla parete ovest.

Nella parte bassa della torre, nelle due pareti rivolte ad est ed a sud, sono ancora evidenti i segni di ancoraggio di una costruzione che in un disegno del XVI secolo era indicata come sede della Podesteria, mentre nella parete ovest vi sono tre nicchie che un tempo contenevano delle lapidi. Nella parete nord, sempre in basso, vi è una feritoia molto consumata e sopra di essa è posto un grazioso fregio in cotto.

Nella parete est, sempre in alto, vi è un’altra feritoia, mentre nella parete ovest esiste una finestrella a sesto tondo, come quelle della torre Garisenda,

Alla fine del Settecento la torre ed il terreno circostante, di poco più di due tornature, erano di proprietà del Senato di Bologna. Durante il periodo napoleonico il possesso passò al comune di Galliera il quale concedeva in affitto il terreno con un contratto di nove anni mediante pubblica asta. Nel 1816, caduto Napoleone, fu reinstaurato lo Stato Pontificio ed il piccolo pezzo di terra, con “torrazzo”, ritornò fra i beni della Legazione di Bologna che, nel 1824, donò il terreno alla parrocchia di Santa Maria di Galliera per costruirvi la nuova chiesa parrocchiale utilizzando la torre come campanile. Evidentemente le diverse vicende accadute in seguito non consentirono di compiere la costruzione cosicchè, nel 1871, il demanio pubblico si riappropriò del terreno. La chiesa parrocchiale è poi stata costruita nel luogo attuale dal 1886 al 1895.

All’inizio del Novecento la proprietà pervenne ad Antonio Bonora (sindaco di Galliera dal 1910 al 1913) ed attualmente appartiene ai suoi eredi, sigg.ri Zanotti-Benassi.

 Franco Ardizzoni

(Testo tratto dal volume “Galliera Antica”, a cura di F. Ardizzoni. Siaca Arti Grafiche. Cento 2001)

Toponomastica storica e attuale. Incontro – dibattito al Museo

Venerdì 16 marzo 2007 alle ore 17

presso Villa Smeraldi-Museo della civiltà contadina di S. Marino di Bentivoglio
incontro- dibattito sulla toponomastica, storica e attuale, intitolato

Strade e luoghi di paese. Ogni nome una storia da conoscere”

promosso dal nostro Gruppo di Studi della pianura del Reno in collaborazione con il Museo della Civiltà contadina .
E’ prevista la partecipazione di numerosi e qualificati relatori, autorità istituzionali e studiosi –  autori di pubblicazioni in materia di toponomastica locale.
– In apertura, saluti e interventi di:
Simona Lembi, Assessore alla Cultura della Provincia di Bologna
Angela Donati , Presidente della Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna
Valerio Gualandi, Presidente dell’Istituzione Villa Smeraldi
Magda Barbieri, Presidente del Gruppo di Studi Pianura del Reno
– Comunicazioni di :
Maurizio Garuti, scrittore
“Le discutibili scelte dei comuni”
Renzo Zagnoni, Presidente del Gruppo di Studi Alta Valle del Reno
“L’esperienza di ricerca di “Nueter” e il “Dizionario toponomastico di Granaglione”
Giulio Reggiani, studioso e autore
“Malalbergo si racconta via per via”. Presentazione e osservazioni sul volume “Strade, piazze, giardini e …”
Rossella Baroni, Assessore alla Cultura del Comune di Galliera
“Galliera alla riscoperta di strade e borghi”
Tullio Calori, studioso e autore
“Molinella: toponimi e idronimi vanno a braccetto”
Giuseppe Sitta, insegnante e studioso
“Quattro passi per le strade di Cento”
– Presiede:
Gian Paolo Borghi, Direttore del Centro Etnografico Ferrarese
Seguirà dibattito  e, a conclusione, aperitivo con buffet.