50a sagra dell’Asparago di Altedo IGP. Tante iniziative

5 SAGRA DELL’ASPARAGO VERDE DI ALTEDO IGP
dal 15 al 27 maggio 2019
E’ in corso la tradizionale Sagra dell’Asparago Verde di Altedo I.G.P., giunta quest’anno alla sua 50a edizione e che vedrà protagonista lo squisito e insuperabile “Principe Verde di Altedo”. La Sagra dell’Asparago Verde di Altedo I.G.P. nasce nel 1969 con l’obiettivo di rilanciare un prodotto simbolo dell’unicità di un territorio e della sua identità storica, economica e culturale. L’intento originario, rimasto immutato per tutte le successive edizioni della sagra, era quello di divulgare e far conoscere nel territorio circostante questo ortaggio, le sue virtù e allo stesso tempo promuovere Altedo oltre i suoi confini; ed è una occasione per far conoscere e valorizzare l’agricoltura e l’artigianato locale.
L’Amministrazione Comunale di Malalbergo, con la collaborazione di vari enti, associazioni, privati e volontariato, promuove all’interno della Sagra: mercatini; concerti in piazza; eventi artistici e varie mostre.
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La Pala d’altare della Chiesa di Altedo, attribuita a Prospero Fontana… forse

Testo  e ricerca di Dino Chiarini
Nel terzo tomo deLe chiese parrocchiali della Diocesi di Bologna ritratte e descritte, 1844-1851”, Don Antonio Landi, autore della pagina dedicata aS. Giovanni Battista di Altedo”, afferma che la Pala dell’Altare Maggiore fu dipinta dal pittore bolognese Prospero Fontana. Questi, nato a Bologna nel 1512 e deceduto nella città petroniana nel 1597, si formò presso la bottega del pittore Innocenzo da Imola e in seguito frequentò lo studio di Girolamo da Treviso.
Nel 1539 sposò Antonia de Bonardis; da questo matrimonio nacque Lavinia (1552-1614) che diventò anch’essa ottima pittrice.
Prospero Fontana collaborò con diversi pittori tra cui cito soltanto Pellegrino Tibaldi e Giorgio Vasari.
Tra le opere più famose dipinte da Prospero, vorrei elencarne solo tre, a mio avviso le più belle: Le Storie del Battista e gli Evangelisti, Le Storie della Vergine e la Deposizione della Croce. Sul dipinto che riguarda la “Nascita di San Giovanni Battista”, non ho trovato riscontri: infatti, non compare neppure nella corposa opera del conte Carlo Cesare Malvasia dal titolo “Felsina pittrice, vita de’ pittori bolognesi …”.

Ne dà conferma, come autore della tela altedese, anche l’incaricato della “Soprintendenza delle Gallerie di Bologna” che, il 15 settembre 1971 nell’inventariare il materiale d’arredo della chiesa parrocchiale, riporta la seguente scheda: Leggi Tutto

La Chiesa, la statua di S. Antonio a Malalbergo, e la storia del maialino nero rubato

Sant’Antonio abate, patrono di Malalbergo. Testo di Dino Chiarini
Il Patrono della Parrocchia e del Comune di Malalbergo, nonché Titolare della Chiesa del capoluogo è da sempre Sant’Antonio abate.
Non ci sono notizie precise sulle motivazioni che portarono gli abitanti di quel piccolo centro abitato ad intitolare la chiesa a questo santo; posso però pensare che, essendo un paese dove la popolazione viveva di caccia, di pesca e di agricoltura, la scelta fosse caduta sul protettore degli animali per una certa quale affinità con le attività dei suoi abitanti.
Come potete immaginare questa è soltanto una mia ipotesi personale: potrei dire che è da prendere col beneficio d’inventario, non essendo suffragata né da alcuna testimonianza scritta né da una qualsivoglia tradizione orale locale. Secondo alcuni storici il primo luogo di culto risale alla metà XIV secolo, poiché nell’elenco di tutte le Parrocchie di Bologna e del suo Contado, effettuato nel 1300, quella di Malalbergo non compare, essendo questo territorio parte integrante della “Terra della Pegola”. Il primo documento che menziona un oratorio di Sant’Antonio abate a Malalbergo, porta la data del 1554 ed è una descrizione della visita pastorale fatta nell’ottobre di quell’anno; seguirono altre visite pastorali nel 1555, nel 1567 in cui si citava Leggi Tutto

Federico IV di Danimarca, la religione, le donne e una notte a Malalbergo

Una storia quasi da cronaca rosa del 1700, raccontata da Dino Chiarini

Federico di Oldemburg, era figlio del re di Danimarca e Norvegia, Cristiano V. Nato a Copenaghen l’11 ottobre 1671, alla morte del padre, avvenuta nel 1699, salì al trono col nome di Federico IV. Nel 1691, durante una visita alla città di Lucca, l’allora principe conobbe una bella e nobile ragazza del luogo: Maria Maddalena Trenta. Tra i due scoccò il classico colpo di fulmine e s’innamorarono perdutamente, tanto che Maddalena, promessa sposa a un nobile italiano, ruppe il fidanzamento. Tra i due novelli innamorati, tuttavia c’era un ostacolo piuttosto grande da superare, poiché Federico professava la religione luterana, mentre Maria Maddalena era fermamente cattolica.
Tornato in patria, alla morte del padre Federico divenne re e non avendo mai dimenticato quella ragazza lucchese, iniziò a mandarle dei bellissimi regali, nella speranza che ella si convertisse al protestantesimo. Maria Maddalena però non accettò di cambiare religione, anzi si ritirò nel monastero di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi a Firenze, come suora di clausura col nome di Maria Maddalena Teresa di S. Giuseppe, rispedendo i regali al mittente, dicendogli che ella aveva scelto un altro “sposo”, Gesù Cristo e per confermare tutto questo gli inviò un crocefisso. Nonostante
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Lasagne per tutti i gusti: alla bolognese, agli asparagi, all’ortica

Le lasagne : storia e ricette
Testo e ricerca di Dino Chiarini
Questo tipo di pasta al forno era già conosciuto fin dai tempi dei Romani; oggi le lasagne sono diffuse in tutta la penisola italiana, isole comprese: Campania, Puglia, Marche, Sicilia, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata, Veneto ed Emilia-Romagna sono le regioni che vantano le tradizioni più antiche, ma anche le restanti regioni non hanno nulla da invidiare a quelle citate. Quasi sempre presentano diverse varianti, sia negli ingredienti che nella quantità degli stessi ma tutte di ottima qualità e squisitezza, nessuna esclusa. Oggi presento tre ricette della tradizione petroniana: le lasagne verdi alla bolognese (che utilizza gli spinaci nell’impasto della sfoglia), le lasagne all’asparago verde (quest’ultimo utilizzato nel condimento, tra gli strati di sfoglia) e le lasagne all’ortica (anche in questo caso le foglie della pianta urticante vengono inserite tra gli strati di sfoglia).

Lasagne verdi alla bolognese
Per quanto riguarda la Lasagna verde alla bolognese, il termine venne introdotto dal letterato Francesco Zambrini nel volume da lui pubblicato a Bologna nel 1863 dal titolo Il libro della cucina del secolo XIV: testo di lingua non mai fin qui stampato. Il Zambrini divise le ricette per regione e province, attribuendo le lasagne alla città di Bologna probabilmente per l’utilizzo del ragù nel composto, Leggi Tutto

Torna Narzis da Malalberg

Domencia 3 marzo alle ore 15:30 presso il Centro Sociale Ricreativo Culturale “F.Cenacchi” di Altedo
si terrà l’incontro tra Gian Paolo Borghi e “Narciso da Malalbergo”, la maschera interpretata da Luciano Manini.
Narzis da Malalberg,
arguto  fustigatore dei costumi dei potenti,  è una maschera della tradizione locale malalberghese, che a modo suo si ispirava ad altre maschere e figure della commedia dell’arte popolare del bolognese, da  Bertoldo al dottor Balanzone.  Il nostro socio Luciano Manini  da tempo  lo sta reinterpretando per mantenere viva la memoria, con nuove frecciate satiriche accompagnate dal suono di una antica ghironda.
*Dopo lo spettacolo, merenda per grandi e piccini con le fantastiche sfrappole del Centro Sociale per  completare la festa con una  specialità della tradizione  del periodo di Carnevale!!!
Luciano Manini, nato a Bentivoglio, attore poliedrico e laureato dopo  i 70 anni, è cittadino onorario di Malalbergo ed è già stato  protagonista nel dicembre scorso (v. art. sottostante) di una serata speciale a lui dedicata, per celebrare  i suoi 70 anni di militanza sul palcoscenico di vari teatri, con un repertorio  che va dalla commedia dialettale bolognese a Bertolt Brecht, e, appunto, al Narzis da Malalberg, maschera portata anche oltre i confini provinciali.


Vedi anche:

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Bartolomeo Massari, medico astrologico e pittore, con quadro a Malalbergo

La Pala dell’Altare Maggiore nella Chiesa di Malalbergo, attribuita al pittore bolognese Bartolomeo Massari
Testo di Dino Chiarini
Bartolomeo Massari nacque a Bologna -probabilmente nel 1596- da Lucio Massari (Bologna, 22 gennaio 1569 – Bologna, 4 ottobre 1633) e da Ippolita Macinatori. Egli fin da giovanetto si mostrò desideroso di intraprendere l’arte pittorica, già praticata con discreto successo dal padre, ma fu vivamente sconsigliato proprio dal genitore, poiché diceva che con l’arte pittorica “non si campava”. Per tal motivo furono ben poche le opere eseguite dal giovane pittore; una di queste, datata 1625, è custodita nella sagrestia della Chiesa di S. Martino Maggiore di Bologna dal titolo “S. Martino e il povero”(1), una era denominata “S. Cirillo ricevente da un Angelo le tavole d’Argento” ma nessun storico dell’arte indica il luogo in cui è affisso, mentre la terza è collocata nell’Abside come Pala dell’Altare Maggiore nella chiesa parrocchiale di Malalbergo, dal titolo “Madonna col Bambino e i SS. Francesco d’Assisi e Antonio Abate”.

Provo ora di accompagnare il lettore in un’anamnesi sommaria di quest’ultimo quadro. Il conte Carlo Cesare Malvasia, autore dell’opera “Felsina pittrice vita de’ pittori bolognesi …” scrive che il figlio del pittore bolognese Lucio Massari, il dottor Bartolomeo, «… giovanissimo, dipinse d’ascoso una tavola, che Leggi Tutto

Lucia Casalini Torelli, una pittrice di Bologna, con quadro a Malalbergo

La pittrice bolognese Lucia Casalini Torelli
Testo di Dino Chiarini
Lucia Casalini Torelli nacque a Bologna nel 1677 da Antonio Casalini e da Antonia Bandiera (però nessun biografo -e neppure le enciclopedie specializzate- indicano giorno e mese di nascita della pittrice)(**). Lucia iniziò a dipingere in tenera età sotto la guida del cugino Carlo, poeta e allievo del pittore bolognese Emilio Taruffi (1633-1696), poi a tredici anni cominciò a lavorare nella bottega del celebre artista bolognese Giovan Gioseffo Dal Sole (1654-1719) dove conobbe il futuro marito, anch’egli pittore, Felice Torelli (Verona, 9 settembre 1667– Bologna,11 giugno 1748). Dal loro matrimonio nacque Stefano (Bologna, 1712– San Pietroburgo,1784), che fin da giovinetto seguì le orme dei genitori e diventò anch’egli un rinomato pittore. Lucia Casalini lavorò in diverse città italiane, tra cui Torino, Milano e Roma, ma furono soprattutto Bologna e i paesi della provincia i luoghi dove si perfezionò come ritrattista e come pittrice di opere legate alla vita dei Santi. La sua fama valicò i confini italiani e la portò ad accettare commesse pure dai reali d’Inghilterra e di Spagna.

I suoi biografi, Giampiero Zanotti (1674-1765) e Luigi Crespi (1708-1799), elencano i numerosi dipinti da lei eseguiti, parecchi dei quali, però, sono andati perduti: tra questi essi citano anche un’opera eseguita per la Leggi Tutto

Il “mistero” di Afro Basaldella… e del suo ” Malalbergo”. Giulio Reggiani

Capisco che molti lettori potrebbero restare un po’ interdetti di fronte all’argomento storico che sto per affrontare qui, ma sono in grado di assicurare che la trattazione seguente ha notevole attinenza con questo nostro territorio comunale. Vorrei iniziare, però, dando alcune notizie biografiche su questo grandissimo esponente dell’astrattismo italiano.
Afro Libio Basaldella nacque ad Udine il 4 marzo 1912; compì i suoi primi studi a Firenze ed a Venezia, dove si diplomò al liceo artistico di quella città  nel 1931. Successivamente si recò dal fratello Mirko a Roma, città in cui conobbe artisti di fama quali Scipione, Mafai e Cagli, e nello stesso anno a Milano, ove frequentò lo studio di Arturo Martini ed incontrò Birolli e Morlotti.
Nel 1933 si trasferì definitivamente a Roma, dove partecipò, assieme a Guttuso, Scialoja, Leoncillo, Fazzini ed altri, alla II Quadriennale Romana. Nel 1937 tenne la sua prima mostra personale e l’anno dopo fu chiamato alla Biennale di Venezia con due opere, Pastori ed Oreste. Nel 1939 tenne una personale a Genova, intitolata Disegni di Mirko e Pitture di Afro, ed una a Torino, mentre a Roma prese parte alla III Quadriennale. Durante il periodo bellico realizzò svariate opere d’influenza cubista, soprattutto nature morte e ritratti, e definì, attraverso il decennio degli anni ’40, il suo primo periodo astratto: infatti dopo un viaggio a Parigi risentì del “colpo di fulmine” per il cubismo di Picasso e Braque, come pure dei toni spenti di Modigliani.
Nel 1950 si recò a New York, incominciando una ventennale collaborazione con la galleria italo-americana Catherine Viviano, e questo diverso clima culturale lo indirizzò definitivamente verso l’astrazione. Nel 1952 aderì al Gruppo degli 8 e nel 1956 ottenne alla Biennale di Venezia il premio quale miglior pittore italianoThe garden of hope (Il giardino della speranza) per la sede dell’Unesco a Parigi, incluso in una serie di lavori comprendenti opere di Matta, Mirò, Picasso ed altri artisti famosi. Negli anni Sessanta raggiunse la maturità artistica, espose le sue tele nelle più famose gallerie europee ed americane, insegnando anche pittura a Firenze e negli Stati Uniti. Nel 1971 vinse a Roma il Premio Nazionale di Pittura “Presidente della Repubblica”, ma dopo la morte del fratello Mirko e l’insorgere della malattia sopraggiunse in lui un evidente “cambio di rotta artistico”, con lavori molto più immobili rispetto agli slanci del passato e raffiguranti un universo più desolato. Negli ultimi anni di vita tenne svariate mostre personali in Italia ed all’estero.
Morì a Zurigo il 24 luglio 1976. E’ considerato uno dei più illustri esponenti della “Scuola Romana”, assieme a Giorgio De Chirico e Renato Guttuso. Le sue opere sono presenti nei maggiori Musei d’Arte Moderna e nelle migliori Gallerie Artistiche di tutto il mondo.
* Ma cosa c’entra Afro Basaldella con il Comune di Malalbergo? Ebbene, un certo rapporto fra questo grande pittore e Malalbergo c’è¨, poichè esiste un suo quadro di 125 x 160 cm, intitolato “Malalbergo” e datato 1962,  che rappresenta molto bene, non solo per i critici, un periodo particolare della sua evoluzione artistica, precisamente dalla fine degli anni ’50 a tutto il decennio successivo, fino cioè agl’inizi della malattia che segnò una svolta nella sua produzione pittorica, come accennato poc’anzi. Io ho potuto vedere il quadro soltanto in fotografia, però posso azzardare questo mio personale giudizio: <Nell’ambito del più moderno astrattismo, le sue forme cromatiche sono concepite in modo che appaiano assai limitate; tutta la composizione gioca sui forti contrasti fra le parti scure e quelle chiare, tanto da sembrare, per intenderci, un “divertissement”, uno “svago” bianco-nero. Esso pare ricordare, oltretutto, i coevi studi di Franz Kline, cui viene naturale collegarsi”, richiamando pure le idee filosofiche dell’Esistenzialismo>.

Il critico Gabriele Crepaldi, in “Arte”, Mondatori Electa, 2005, dice testualmente su questa tela: “Le forme hanno definitivamente perso ogni rapporto con la realtà, sono prive di profondità e sono utilizzate dall’artista per esprimere le proprie emozioni”. Prosegue poi: “…assimila l’importanza del gesto pittorico e la capacità di comunicare sensazioni attraverso i colori e i rapporti tra le masse pittoriche. Il suo approccio non è però passivo, anzi, come si può vedere
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La Pastolaccia e la Micca di Malalbergo. Dino Chiarini

“La Pastulaze e la Mèca ad Malalberg” (La Pastolaccia  e la Micca di Malalbergo)Storia e ricette
1) La Pastolaccia (Pastulez in dialetto locale) è una ciambella tipica malalberghese che utilizza gli stessi ingredienti del più noto biscotto “Savoiardo”: però gli è differente per la sagomatura, in quanto viene tagliata a fette trasversali, come il Cantuccio toscano o come il Biscotto del Re altedese. In verità la Pastulaza, rispetto a quest’ultimi due dolcetti, è priva di mandorle e di burro, componenti indispensabili sia per il Cantuccio, sia per il Biscotto del Re. Secondo i racconti a noi tramandati oralmente dalle anziane signore malalberghesi (che a loro volta le avevano appresero dalle loro nonne) questo composto, fatto solo con farina, zucchero, uova e un po’ di lievito, risale alla seconda metà  dell’Ottocento. Pare che l’idea fosse venuta ad un fornaio malalberghese che l’attuò dopo aver esaminato varie ricette suggeritegli dai viaggiatori (provenienti da diverse provincie italiane ed anche da svariati paesi europei), che qui transitavano per raggiungere le città  di Bologna, Ferrara e Venezia. Essi spesso si rifocillavano nel suo laboratorio, in attesa che la diligenza cambiasse i cavalli nell’adiacente posta: quindi, fra una chiacchiera e l’altra, gli esponevano le prelibatezze delle loro regioni d’origine.
Il panettiere, da quell’impasto da lui stesso inventato, ottenne una deliziosa ciambella di un bel colore giallo; scoprì pure che, intingendola in un bicchiere di vino dolce, risultava ancor più gradevole al palato.
Non vi sono prove scritte che dimostrino la veridicità  di questa leggenda paesana poichè la data di nascita della pastulaza rimane incerta; pero’ sicuramente nei primi anni del Novecento era già presente in paese: infatti, nel 1905 il forno della neonata Cooperativa Agricola di Consumo iniziò a produrre quotidianamente quella squisita brazadela (ciambella). Il prodotto così ottenuto comparve anche sulla tavola delle osterie locali, ottenendo un grande successo. L’Antica Trattoria della Luna (oggi Trattoria Nuova Maleto), l’Osteria del Ponte sul Reno (posta sull’argine destro del fiume e demolita negli anni Quaranta del secolo scorso) e la Trattoria dei Cacciatori (ora denominata Trattoria Rimondi dal cognome dei proprietari) fecero di questo dolce il loro cavallo di battaglia. Infatti, quella ciambella, che richiedeva sempre il “nettare di Bacco” per intingerla, faceva aumentare anche la vendita del vino.
 La pastolaccia fu pure apprezzata dalle famiglie, tanto che anche l’altro forno presente in paese iniziò a produrre questo dolce tipico; le nostre bisnonne la chiamavano semplicemente ciambella magra tagliata a fettine, utilizzando la stessa ricetta inventata dal fornaio.
Le massaie malalberghesi, dopo aver assaggiato quel dolce così semplice da allestire, iniziarono a preparare il composto tra le mura domestiche; siccome molte case per cuocere avevano solo il camino, che non era adatto a questo tipo di cibi, portavano l’impasto presso il forno di fiducia; qui terminavano la lavorazione versando il preparato in una teglia capiente (preventivamente unta con appena un filo di olio e cosparsa con un po’ di farina o pane grattugiato per non far aderire il composto). Successivamente lo suddividevano in pani e consegnavano al fornaio il prodotto già  pronto che egli sapientemente portava a cottura.

Fino ai primi anni Sessanta del secolo scorso, la pastulaze non mancava mai sulle tavole imbandite
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