FRANÇOIS ENGLERT: DALLA SHOAH AL NOBEL
Premessa di redazione — Fra le tante storie lette su Facebook e stampa ieri, 27 gennaio 2025 , Giorno della Memoria della Shoah, segnalo questa biografia , scritta e pubblicata da Stefano Fortini, per il suo significato profondo e perché ci mostra, insieme ai frutti malvagi di chi ha incarnato il Male del nazismo , anche i frutti positivi e utili all’ umanità di chi ha agito per il Bene e la salvezza delle persone, anche con rischio e sacrificio di sé —
«Ho sempre presente nella mia mente il coraggio dei miei genitori, la loro perspicacia nel trovare la mossa giusta per fuggire in tanti momenti critici e, soprattutto, il loro amore: nell’affrontare la barbarie nazista e le loro molteplici complicità hanno sempre messo la vita dei propri figli al di sopra della propria».(François Englert, Biographical, The Nobel Prize, 2013).
François Englert è uno dei protagonisti di una delle scoperte scientifiche dal maggiore impatto mediatico degli ultimi decenni: il bosone di Higgs. La celebre particella, nota anche con il soprannome – non particolarmente amato dai fisici – di “particella di Dio”, è valsa ad Englert e a Peter Higgs il premio Nobel per la Fisica nel 2013 ed un’improvvisa notorietà.
Fino a quel momento non si sapeva quasi nulla dell’infanzia dello scienziato belga. Fu proprio quando il comitato del Nobel per la fisica chiese ad Englert di fornire una breve biografia che lo scienziato sentì il dovere morale di portare alla luce una parte della sua vita della quale non aveva mai parlato pubblicamente e il desiderio di esprimere la propria gratitudine verso le persone che lo avevano salvato.
Nato a Etterbeek, in Belgio, il 6 novembre del 1932 in una famiglia ebrea, François dovette affrontare le persecuzioni naziste e riuscì a sopravvivere grazie alla generosità e al coraggio di alcuni sconosciuti. I genitori di François, Szmul Josek (detto Joseph) e Bajla, di origine polacca, erano emigrati in Belgio nel 1924 con il fratello maggiore dello scienziato, Marc, all’epoca di pochi mesi.
La famiglia, che era fuggita da un ambiente fortemente antisemita, aveva aperto un negozio di tessuti grazie al quale riusciva a garantirsi una vita dignitosa. A Bruxelles le cose andarono piuttosto bene fino al 10 maggio 1940, quando la Germania nazista invase il Belgio. «Avevo solo sette anni e mezzo ma lo ricordo ancora perfettamente», ha raccontato Englert in un’intervista. «Sento ancora il rumore degli aerei nemici che sorvolano Bruxelles. Mi vedo seduto sulla poltrona del soggiorno, pallido e paralizzato dall’angoscia. Poi vomitai. Come se presagissi la dimensione della sventura che bussava alla nostra porta».
Da quel momento gli ebrei furono obbligati a rendersi riconoscibili indossando la Stella di David e, nel 1942, cominciarono le deportazioni nei centri di sterminio. Quando i genitori di François compresero che la situazione stava diventando sempre più pericolosa decisero di lasciare Bruxelles e di rifugiarsi presso Camille e Louise Jourdan, una coppia che gestiva, insieme alla figlia Yvonne, il Café-Restaurant de la Gare a Lustin, nelle Ardenne.
Yvonne iniziò il futuro scienziato alla musica e le sue lezioni di pianoforte furono per lui «un barlume di speranza in un mondo di disperazione». Finché la famiglia Englert visse unita a casa Jourdan, il piccolo François doveva fingere di non conoscere i propri genitori. Di lì a poco, per aumentare le probabilità di sopravvivenza del figlio, essi si separarono da lui, affidandolo alla custodia di Louise e Camille e andando a nascondersi altrove con Marc.
Cominciò così l’esperienza di “enfant caché” (“bambino nascosto”) di François Englert, simile a quella di altri 4000 bambini belgi che furono salvati dalla deportazione e da morte certa. François non conosceva il nuovo indirizzo dei propri genitori. «Mi chiedevo in ogni momento che cosa stesse accadendo loro», ha raccontato. «Le mie notti erano piene di incubi nei quali si ripetevano scene di denunce, arresti ed esecuzioni».
Dovendo stare sempre all’erta per evitare la possibilità di essere individuato da possibili complici dei nazisti, François non poteva fare amicizia con gli altri bambini del quartiere. Il suo mondo era limitato alla famiglia Jourdan e ad uno dei loro amici, Achille Moreels, un uomo pieno di affetto con il quale François lavorava spesso insieme nell’orto.
Circa un anno dopo, una persona che conosceva il nascondiglio dei genitori fu arrestata dai tedeschi. Joseph e Bajla si precipitarono allora a Lustin per rifugiarsi, di nuovo uniti, a casa di Achille Moreels. La notte successiva, i tedeschi avrebbero perquisito il loro nascondiglio. La casa di Achille era tuttavia molto piccola ed era necessario trovare un nuovo nascondiglio.
La famiglia si trasferì quindi ad Annevoie, dove Joseph aveva il contatto del parroco del villaggio, l’abate Louis Warnon, il quale decise di aiutare gli Englert nonostante gli enormi rischi che questo comportava. Grazie all’abate Warnon e alla Resistenza, la famiglia Englert riuscì ad ottenere dei documenti falsi e a farsi registrare come Englebert. Il prete si recava ogni sera dagli Englert ed impartiva lezioni affinché si comportassero da buoni cattolici e la domenica potessero andare a messa senza dare nell’occhio.
L’abate Warnon si preoccupò anche dell’istruzione di François, contattando il collegio di Notre-Dame de Bellevue, a Dinant. Qui erano nascosti molti altri bambini ebrei e Louis Warnon, deceduto nel 1965 all’età di novant’anni, avrebbe ricevuto il riconoscimento postumo di “Giusto tra le Nazioni” nel 2017 per le sue coraggiose azioni. François venne battezzato, così da poter vivere come gli altri studenti del collegio e partecipare alla comunione, mentre il fratello Marc, ormai quasi ventenne, entrò nel seminario di Profondeville.
Terminata la guerra, la vita della famiglia Englert tornò (quasi) alla normalità. Grazie ai documenti falsi, anche i genitori di François riuscirono a salvarsi, tuttavia la loro sopravvivenza fu tragicamente segnata dalla completa scomparsa delle loro famiglie in Polonia, sterminate dai nazisti.
Negli anni ‘70 François Englert ritrovò Achille, presentandosi a sorpresa nella stessa casetta nella quale lo aveva lasciato. «Ci siamo abbracciati», ha raccontato. «Giunto nella sala principale, rimasi sorpreso nel vedere la presenza di una cornice posta sul caminetto. Era una foto di me bambino. Non mi aveva mai dimenticato! Fu un momento molto commovente, al quale penso spesso».
Se oggi potesse incontrare tutte le persone che gli salvarono la vita – Camille, Louise e Yvonne Jourdan, Achille Moreels, l’abate Wernon –, dice: «Vorrei abbracciarle. E dire loro che tutto ciò che sono riuscito a fare nella mia vita lo devo a loro e ai miei genitori».
La storia di François Englert che, prima di diventare un fisico di fama mondiale, è stato un bambino della Shoah, salvato dal coraggio dei genitori e di alcune persone che hanno anteposto il bene dell’umanità al proprio, continua ad essere una lezione di umanità (purtroppo) sempre attuale.
Un proverbio messicano, citato spesso da Englert durante le interviste, illustra perfettamente l’importanza della memoria, non solo dell’Olocausto: «Hanno cercato di seppellirci, ma non sapevano che eravamo semi»
Stefano Fortini
– Foto:
François Englert, premio Nobel per la Fisica 2013. L’utente che ha caricato in origine il file è stato Pnicolet di Wikipedia in inglese – Trasferito da en.wikipedia su Commons da Magnus Manske utilizzando CommonsHelper.
– Bibliografia:
François Englert – Facts. NobelPrize.org, 2013;
Erik Gregersen, François Englert, Encyclopedia Britannica, 2013;
Michel Bouffioux, François Englert, L’enfant caché derrière le Prix Nobel, Paris Match, 2017;
Danielle Losman, No wisdom without folly: the extraordinary life of François Englert, Nobel laureate, World Scientific, 2024.
**Per ulteriori informazioni sull’argomento vedi: