Due protagonisti delle piccole-grandi storie di provincia del primo Novecento

DUE COGNATI SOCIALISTI  -Storie simili ma diverse –
-Testo di Giulio Reggiani e Dino Chiarini
Facendo due passi nella storia (locale) ci siamo imbattuti in alcuni personaggi che hanno avuto gran peso negli avvenimenti a cavallo fra le due guerre mondiali; fra questi, due in particolare ci hanno incuriosito perché, oltre al fatto che hanno rappresentato degli esempi da seguire per tutti coloro che li conobbero, ancor oggi figurano come “simboli” di quegli ideali che non tramontano mai. Essendo legati pure da parentela, ci è piaciuto fare un parallelo fra loro; ne abbiamo sottolineato le vicissitudini e le carriere, ma soprattutto gli aspetti della loro personalità, compresi alcuni fatterelli che possono evidenziare più compiutamente il messaggio “etico” da loro trasmesso.
A tal riguardo, si può partire dicendo che erano entrambi “socialisti”, cioè appartenenti a quel filone politico che voleva inserire i progressi economici della “rivoluzione industriale” in una cornice più generale, cioè fondendoli con un miglioramento del tenore di vita rivolto pure alle fasce più umili e maggiormente disagiate.
Come abbiamo detto nel sottotitolo, sono due storie diverse che però hanno molte caratteristiche comuni: parliamo di due persone che hanno lasciato un segno nelle vicende politico-sociali delle pianure nostrane. Due “microstorie” similari che ben s’inquadrano, pur nella loro diversità, in quella che potremmo definire la “macrostoria” italiana dei primi decenni del Novecento.

ALCIDE PEDRAZZOLI (1888-1966)
Era nato a Castel d’Ario (Mantova) il 19 giugno 1888. Dopo aver trascorso l’infanzia al paese, cominciò a frequentare ambienti socialisti a Mantova; qui si diplomò in Ragioneria, ma successivamente si spostò nel bolognese, forse seguendo il cognato Enrico Dugoni che stava frequentando l’Alma Mater Studiorum a Bologna ed aveva già iniziato una brillante carriera politica. Quest’ultimo aveva sposato sua sorella Ida (in realtà, all’anagrafe, iscritta come Ines Pedrazzoli) ed i rapporti fra i due cognati, dapprima assai frequenti, andarono diradandosi proprio per gli impegni parlamentari di Enrico.

A soli 24 anni cominciò a dirigere la Cooperativa Agricola di Malalbergo e contemporaneamente anche la Cooperativa di Consumo del Popolo, sempre di questo paese. Partecipò alla Grande Guerra come ufficiale di complemento in Fanteria, nel XIII° Corpo d’Armata, 4a Compagnia. Qui ebbe occasione di conoscere e frequentare Giuseppe Ungaretti; ce lo testimonia una lettera inviata dal poeta il 29/6/17 ad un amico. Ecco il testo: «Mio caro Gherardo, rientro al mio reggimento. Quindi in avvenire scrivimi al 19° fanteria, come prima. Fai spedire al mio amico “all. uff. fanteria Pedrazzoli Alcide, XIII° Corpo d’Armata, 4a compagnia, una copia delle Poesie Giapponesi. Ti ho scritto che Apollinaire mi tradurrà in francese su Nord-Sud? Un abbraccio dal tuo Ungaretti».

Terminata la guerra, tornò a Malalbergo, riprendendo il lavoro precedentemente interrotto per la chiamata alle armi. Dopo un paio d’anni in cui la Cooperativa da lui condotta procedette a gonfie vele, fornendo lavoro ad un numero sempre crescente di operai e braccianti, cominciarono anche in queste campagne le lotte politiche. Alcide Pedrazzoli veniva chiamato con un nomignolo un po’ strano, “Il lupo”; noi ci siamo chiesti: per qual motivo? Forse perché, negli anni del dopoguerra, egli si era subito schierato contro il nascente Partito Fascista? Oppure tale soprannome gli venne affibbiato perché era molto rigoroso nel suo lavoro?

Certo è, però, che era da tutti stimato come persona leale ed onesta. Con il fascismo che prendeva sempre più piede e poi con la “marcia su Roma” che ne preparò la progressiva presa del potere, non soltanto fu minacciato più volte, ma anche bastonato per le sue idee “sovversive”; per di più le squadracce fasciste imbrattarono numerose case di Malalbergo scrivendo sui muri “M il lupo”; pareva essere, oltre che una “presa in giro”, anche un’intimidazione! Dopo un violento pestaggio subìto a San Pietro in Casale per opera di fascisti ferraresi (1), si convinse ad abbandonare gli incarichi di lavoro e a trasferirsi all’estero; ciò perché, dopo l’ostracismo, dopo le prepotenze e le persecuzioni, erano subentrate anche bastonate e violenze fisiche.
Fu così che, dopo l’ennesima minaccia, decise di liquidare i soci delle due cooperative e di espatriare in Francia; qui, cominciò come cassiere presso una banca a Grenoble poi, alcuni anni dopo, si trasferì a Saint Égrève (un Comune nel Dipartimento d’Isère) presso la locale “Banque d’Isère”, istituto bancario di Grenoble.

Riguardo la chiusura della Cooperativa malalberghese e la sua liquidazione a favore dei componenti, dobbiamo fare alcune considerazioni per il lettore; a quel tempo, cioè dopo la fine della Grande Guerra e negli anni dal 1919 al 1924, esistevano due tipi di “Cooperative Agricole”: le cosiddette “rosse” socialiste e quelle “bianche” cattoliche; queste ultime si consolidarono sulla scia del “Movimento per l’occupazione delle terre incolte” capeggiato dal deputato Guido Miglioli del Partito Popolare. Il costituirsi di questa forma associativa agraria venne chiamato “Sistema di Soresina”, avendo avuto la sua prima attuazione proprio in quel Comune della pianura cremonese; le cooperative “bianche” erano rette dal cosiddetto “Consiglio di cascina” e tendevano, per il loro assetto, a creare vere e proprie imprese agricole, con la partecipazione agli utili di tutti i coltivatori aderenti.

Il programma delle “rosse” era sostanzialmente diverso: esse avevano come parola d’ordine “…imposizione della mano d’opera…”, puntando ad incrementare annualmente il numero dei braccianti per contrastare la disoccupazione agricola. La differenza era fondamentale: mentre le “bianche” distribuivano gli utili, che in tal modo andavano a beneficio soltanto dei “soci” (infatti i socialisti rimproveravano al “Sistema di Soresina” di creare “un’aristocrazia di coltivatori” a danno di coloro che erano effettivamente veri e propri braccianti), le “rosse” volevano reinvestire gli utili nell’acquisizione di nuove terre, al fine di una sempre maggior occupazione bracciantile (2).

Per l’ amministratore Alcide Pedrazzoli, stando così le cose, era davvero complicato “liquidare una società” di per sé anomala e che non prevedeva suddivisioni di tipo capitalistico, anche se ciò non era vietato dallo statuto; ma proprio in virtù di questa strada “non vietata”, egli decise di vendere tutti i beni e di suddividere fra gli associati il denaro ottenuto.

Per le due Cooperative di Malalbergo, ciò avvenne quando la situazione cominciò a deteriorarsi irrimediabilmente causa le continue angherie dei fascisti. Ne risultò, per ciascuno di loro, una cifra abbastanza consistente, tanto che parecchi riuscirono a comprarsi una piccola abitazione, cosa che a quel tempo restava molto difficile soprattutto per gli operai agricoli.

Così all’inizio del 1923 Alcide se ne andò in Francia e a Grenoble trovò occupazione in una banca della città; apprezzato nel suo nuovo lavoro, venne assunto definitivamente dalla Banque d’Isère e mandato a Saint Égrève, come detto precedentemente. Al momento dell’assunzione definitiva e della corrispondente domanda di cittadinanza francese, il direttore di quell’istituto bancario richiese a Federico Manservigi, Podestà di Malalbergo, le credenziali per l’impiego e questi rispose testualmente: «Politicamente militò sempre nel partito socialista e [a noi] fu contrario di conseguenza fin dal sorgere dell’attuale regime, ragion per cui lasciò l’Italia per trasferirsi costì. Dal lato dell’onestà nulla è emerso a suo carico, ed è sempre stato tenuto da tutti, anche da me personalmente, nella considerazione di persona proba ed onesta. Lasciò le cooperative che diresse in floride condizioni».

Alcide Pedrazzoli morì in Francia, precisamente a Saint Égrève (nell’Arrondissement de Grenoble), il 4 gennaio 1966. I nipoti Ruggero Dugoni (scenografo, regista e scrittore) e Piercorrado Dugoni (attore), rinnovano ogni quindici anni la concessione cimiteriale della tomba di zio Alcide, che si trova nel cimitero di Grenoble, nell’Isère.
Nel 1978, il Comune di Malalbergo, per ricordarlo, gli ha dedicato una via nel Capoluogo.

NOTE

(1) Luigi ARBIZZANI, Antifascismo e lotta di Liberazione nel Bolognese, Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998, pag. 138.

(2) Per eventuali approfondimenti, si veda: Federico CHABOT, L’Italia contemporanea (1918-1948), Einaudi, Torino, 1961, pag 32 e segg..

ENRICO DUGONI (1874-1945)
Nato a San Benedetto Po (Mantova) il 12 giugno 1874, fu segretario nazionale della Lega delle Cooperative, Deputato del Regno per quattro mandati ed anche ottimo pubblicista. Aveva sposato Ines (detta Ida) Pedrazzoli, la sorella di Alcide Pedrazzoli. S’iscrisse al Partito socialista a 22 anni, studiò chimica farmaceutica a Ginevra, non terminando però gli studi. Tornato in Italia, s’iscrisse all’Università di Bologna ma non si laureò, preferendo dedicarsi completamente alla politica. Tornato nel mantovano, fondò le prime “Leghe contadine” e le prime cooperative; diresse, nei primi anni del XX secolo, diversi settimanali socialisti, quali Il lavoratore Comasco e La Nuova Terra; inoltre (nel periodo in cui era organo provinciale del Partito Socialista Italiano) fu direttore del quotidiano La provincia di Mantova.

Ricoprì numerosi incarichi pubblici: Assessore comunale, Consigliere provinciale e fu anche Presidente della Provincia di Mantova; per oltre dieci anni diresse la Federazione socialista e per quindici anni la Camera del Lavoro di Mantova. Enrico Dugoni, che era anche membro dell’Esecutivo della Lega Nazionale delle Cooperative, fu eletto deputato dal 1904 al 1909 (XXII Legislatura), poi venne rieletto nel 1913 (XXIV), quindi nel 1919 (XXV) ed infine nel 1921 (XXVI). In questi ultimi due mandati ebbe l’occasione d’incontrare svariate volte il cognato Alcide Pedrazzoli a Malalbergo, il quale, non essendo sposato, alloggiava in una stanza vicino all’ufficio ubicato in Palazzo Marescalchi, nell’allora via Canale 1 (oggi Piazza Caduti della Resistenza).

Nell’ottobre del 1922, Enrico Dugoni uscì dal Partito Socialista Italiano e fu tra i fondatori del Partito Socialista Unitario, di orientamento socialdemocratico, in cui militarono tra gli altri Filippo Turati, Giacomo Matteotti, Claudio Treves e Sandro Pertini. La sua carica di deputato terminò il 25 gennaio 1924 (3).

Negli anni della dittatura, fra le tante angherie dovette subire anche la distruzione dell’abitazione da parte dei fascisti, oltre a numerosi processi per “reati di stampa”. Durante tutto il Ventennio fu sempre controllato dalla polizia e fu un “sorvegliato speciale” dell’OVRA (acronimo di “Opera Vigilanza Repressione Antifascismo”), in particolare dopo l’emanazione delle cosiddette “Leggi fascistissime” del 1926.
Dopo la Liberazione del 25 aprile 1945, Enrico Dugoni guidò la Lega Nazionale delle Cooperative nei pochi mesi che lo separarono dalla morte: infatti si spense a San Benedetto Po (Mn) il 2 novembre 1945.
Per ricordare l’illustre concittadino, il Comune di Mantova ha intitolato una via in sua memoria.

Dino  Chiarini e  Giulio Reggiani

NOTE

(1) Luigi ARBIZZANI, Antifascismo e lotta di Liberazione nel Bolognese, Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998, pag. 138.

(2) Per eventuali approfondimenti, si veda: Federico CHABOT, L’Italia contemporanea (1918-1948), Einaudi, Torino, 1961, pag. 32 e segg..

(3) Le elezioni politiche del 1924 si svolsero il 6 aprile di quell’anno e segnarono la vittoria della cosiddetta “Lista Nazionale”, sotto l’egida del Partito Nazionale Fascista, con quasi il 64% dei consensi. La cosiddetta legge Acerbo (la n. 2444 del 18 novembre 1923) prevedeva un proporzionale con voto di lista e premio di maggioranza; fu approvata in un clima intimidatorio, come dimostra il discorso di Filippo Turati. La campagna elettorale e le susseguenti elezioni furono segnate da un clima di intimidazione e da ripetute violenze da parte dei sostenitori del PNF. La denuncia, fatta alla Camera dal segretario del Partito Socialista Unitario Giacomo Matteotti nella seduta del 30 maggio 1924 sui brogli e sulle prepotenze fasciste, gli costò praticamente la vita. La sua morte, che si fa risalire ufficialmente al 10 giugno 1924, pare sia avvenuta in realtà proprio un paio di giorni dopo quel suo coraggioso “j’accuse” in Parlamento.

FOTO

1- Giuseppe Pellizza da Volpedo, particolare da “Il quarto stato”, 1901

2- Atto di nascita di Alcide Pedrazzoli

3 – Palazzo municipale di Malalbergo  in cartolina di inizio Novecento

4 – Enrico Dugoni