Il friggione bolognese. Testo e ricerca storica di Dino Chiarini

Friggione bolognese
Presentazione e storia.

Nato dalla tradizione contadina bolognese, il friggione è entrato a far parte della gastronomia tipica di Bologna e provincia. La cucina petroniana è fatta di semplici piatti ma dal gusto accattivante; se il cotechino viene servito con il purè di patate o le lenticchie, anche il bollito misto ha due alternative: la salsa verde o il friggione. Quest’ultimo accompagna pure la salsiccia, fritta o ai ferri, oppure la bistecca di manzo; inoltre si abbina molto bene alle grigliate miste di carne. E’ pure un’ottima alternativa alle patatine fritte. Il friggione era considerato fino agli anni Sessanta
del secolo scorso un alimento povero, ma con il trascorrere del tempo è passato dalle tavole contadine ai ristoranti più rinomati più rinomati della città ; inoltre da diversi anni è diffuso in tutta l’Emilia-Romagna. E’ certamente degna di menzione l’attuale Sagra del friggione che si tiene annualmente a Fabbrica, una piccola frazione di Imola, da fine Aprile alla prima decade di Maggio, presso il Centro Sociale che porta il nome di questa località.
L’antica ricetta ottocentesca
Parlando del friggione bolognese (frizàn, come nome dialettale della bassa bolognese rustico orientale, e frizòn
nel vernacolo cittadino) posso riferire che questa ricetta è stata rintracciata in un manoscritto datato 1886 che apparteneva alla signora Maria Manfredi Baschieri; le indicazioni prevedevano i seguenti ingredienti:

1) 4 kg di cipolle bianche;
2) 300 gr. pomodori pelati freschi;
3) 1 cucchiaino di zucchero;
4) 1 cucchiaino di sale grosso;
5) 2 cucchiai di strutto.


La nuova ricetta

Oggi per questa originaria ricetta, depositata il 19 novembre 2003 presso la Camera di Commercio di Bologna dall’Accademia Italiana della Cucina – Delegazione di Bologna dei Bentivoglio, èstata notevolmente rivisitata, sia nelle aggiunte che nella quantità degli ingredienti da utilizzare, per adattarla agli odierni gusti culinari.
Così nel 2010, la stessa Delegazione, con un nuovo atto notarile stilatoil 14 maggio 2008, ha depositato presso la medesima Camera di Commercio la nuova versione riveduta e corretta che prevedeva questi ingredienti:

a) cipolla gialla (o dorata, che sostituiva quella bianca);

b) pomodori (maturi e freschi);

c) pancetta (ingrediente aggiunto);

d) strutto;

e) zucchero;

f) una punta di peperoncino (nuovo inserimento);

g) sale.

Ora , ecco tutti gli ingredienti, sia quelli vecchi che quelli nuovi, che ritroviamo in ambedue le ricette.

La cipolla (consiglio quella di Medicina IGP)

La cipolla di questa zona del bolognese ha ottenuto il marchio IGP nell’ottobre 2007; viene coltivata su un’estensione di circa 800 ettari in sei comuni dell’Area Metropolitana di Bologna (Medicina, Castel Guelfo, Castel San Pietro Terme, Ozzano dell’Emilia, Dozza e Imola). La produzione in quest’area tipica è stimata in 35-40.000 tonnellate, così suddivise: 1) Gialla (55%), 2) Bianca (35%), 3) Rossa (10%). La semina viene effettuata nei mesi di gennaio-febbraio-marzo e la raccolta si svolge da giugno a settembre; il prodotto viene poi commercializzato fino al maggio successivo.

La cipolla dorata (o gialla). Ha bulbi di forma rotondeggiante, con tuniche esterne di colore giallo-bronzato (queste, erroneamente, vengono chiamate “bucce”). E’ squisita nei risotti e nei soffritti; è eccellente nei sughi, nelle zuppe, oppure cotta al forno o lessata. A mio avviso, è da preferire nella preparazione del friggione.

La cipolla bianca. Presenta bulbi di forma sferica, con pezzatura medio-grande, di colore bianco molto brillante; inoltre
dimostra una buona conservabilità . Si adatta molto bene a minestroni, frittate, soffritti. E’ ottima lessata, ma viene
apprezzata soprattutto nelle salse; fu la prima ad essere utilizzata nel friggione.

La cipolla rossa. Presenta anch’essa bulbi rotondeggianti, con tuniche rosso-violacee molto spesse e consistenti; ottima cruda, da sola o in insalate miste, oppure nei condimenti, nei contorni, nei brasati e negli spezzatini; è poco utilizzata nel friggione. Potrei affermare che, per i primi due tipi di cipolle (utilizzate come ingrediente principale nella preparazione del nostro friggione in
entrambe le versioni) «…l’é la só mórt…» (è la sua morte), come si suol dire nella “bassa”.

Il pomodoro

Questo ingrediente è presente in ambedue le ricette, sia in quella vecchia che in quella “nuova”. Ma, per prima cosa, diamo un’occhiata a questa pianta così comune al giorno d’oggi. Furono gli Spagnoli ad importarlo dalle Americhe nel Cinquecento ed arrivò  in Italia presso il loro “Regno di Napoli”. Inizialmente fu utilizzato come pianta ornamentale, poiché si credeva fosse velenoso. Venne poi considerato un frutto e non una verdura, da cui il nome, “pomo d’oro”, che si riferisce al colore giallo evidenziato prima della maturazione; tale termine gli fu dato nel 1544 dal botanico Pietro Andrea Mattioli. Nel Settecento completò la lista” delle tavole italiane e da allora la sua presenza non è mai mancata, sotto forma di numerose e diverse specie, che si prestano tutte ad essere presentate in mille modi, sempre gradevoli. Per finire, a mio avviso la specie più adatta per un buon friggione è senza dubbio quella denominata San Marzano, il tipico pomodoro di origine campana.

Oggisi trovano in commercio gustosi pomodori pelati in scatola, che all’occorrenza ci garantiscono di effettuare il friggione in ogni stagione dell’anno. L’industria alimentare italiana del pomodoro pelato ha come capitale la città di Parma (con zone limitrofe) poiché le prime lavorazioni agro-industriali del pomodoro nacquero nel Parmense fin dalla seconda metà dell’Ottocento.

La pancetta

La pancetta si ricava dalla pancia del maiale. Essa viene rifilata e cosparsa di sale per la sua conservazione; si aggiunge poi un po’di pepe per aromatizzarla e la si lascia riposare per alcuni giorni. La pancetta può essere preparata in diversi modi, assumendo così denominazioni diverse:

a) Pancetta arrotolata, con o senza cotenna (in quest’ultimo caso viene insaccata in un budello); viene detta anche Pancetta legata;

b) Pancetta stesa (con cotenna) di forma rettangolare;

c) Pancetta steccata (cioè messa tra due tavolette di legno che la comprimono saldamente);

d)  Pancetta coppata (con lo stesso procedimento della prima, ma con l’inserimento, all’interno, di un pezzo di capocollo, quello che noi chiamiamo generalmente “coppone”). Va da sé che questo tipo di pancetta ha un sapore un po’ diverso dalle precedenti.

Lo strutto

Questo grasso, ricavato dalle parti adipose del maiale, viene utilizzato soprattutto nel nord Italia al posto dell’olio; fino ad una cinquantina di anni fa, prima della produzione industriale, veniva conservato all’interno della vescica del maiale stesso. E’ una pasta compatta di colore bianco, inodore. Il suo impiego ha origini antichissime: abbiamo notizia che fosse in uso non soltanto presso i  Celti del nord-Italia, ma pure tra le popolazioni etrusche; queste però, col passar del tempo, preferirono l’olio d’oliva, sempre più coltivato per ragioni climatiche. Con le “invasioni
barbariche”, cioè con popoli provenienti da territori molto più freddi e facenti largo uso di grassi animali, lo strutto riacquistò importanza non solo tra le genti dell’arco alpino ma anche presso quelle della pianura padana. Ancora oggi, in queste aree geografiche, il suo consumo, seppur notevolmente calato, è tuttora abbastanza consistente. E’ pure presente tra gli ingredienti usati nelle cucine casalinghe per preparare diversi impasti: ne sono esempilampanti la coppia ferrarese, la piadina romagnola, il gnocco (crescentina per i bolognesi, pinzino o pincino per i ferraresi) e una lunga serie di dolci carnevaleschi fritti nello strutto, tra cui le sfrappole (o crostoli per i ferraresi, oppure chiacchiere per molte zone d’Italia) i favetti e le tagliatelle.

Il peperoncino

Questo frutto, proveniente dall’America centrale, era usato in quelle terre fin dai tempi antichi. Giunse in Europa nel 1496, portato da Colombo al ritorno dal secondo viaggio nel Nuovo Continente e venne successivamente diffuso in Europa dagli spagnoli. Si acclimatò talmente bene nel Vecchio Continente che venne coltivato in tutta l’area mediterranea (utilizzato quasi sempre come spezia al posto della cannella, della noce moscata e del pepe) al fine di insaporire le pietanze o conservare gli alimenti deperibili; il pepe, avendo nel gusto una certa somiglianza con quella pianta, contribuì a dare il nome a tutta la nuova famiglia: infatti, venne chiamato peperone, da cui deriva poi questa varietà , catalogata col suo diminutivo di peperoncino probabilmente per le sue dimensioni più ridotte.

Lo zucchero

Il saccarosio, comunemente chiamato zucchero da cucina, venne portato in Sicilia dagli Arabi nel IX secolo sotto forma di zucchero grezzo da canna; ben presto il nuovo dolcificante sostituì il miele, considerato allora un bene di lusso. Gli Spagnoli e i Portoghesi esportarono la canna da zucchero in Centro e Sud America, cioè in quei paesi che ancora oggi sono i maggiori produttori mondiali. Nel XIX secolo, con l’arrivo al potere di Napoleone Bonaparte, le importazioni dello zucchero da canna ebbero un vistoso calo; egli infatti, per contrastare l’importazione dello zucchero in Europa da parte degli Inglesi verso i quali aveva imposto il famoso “blocco continentale”, incentivò la coltivazione della barbabietola, un ortaggio che, se cotto, produce uno sciroppo molto dolce, con parte zuccherina molto simile allo zucchero di canna. In meno di due secoli, lo zucchero da barbabietola ha avuto, in Europa, il sopravvento sulla canna; in ambito mondiale, invece, la produzione di saccarosio dalla canna è decisamente superiore. Oggi lo zucchero è il dolcificante maggiormente usato nell’alimentazione quotidiana.

Il sale

Il cloruro di sodio, comunemente chiamato sale, è il costituente principale del comune sale da cucina e lo si trova abbondantemente in natura, sia allo stato solido (salgemma) che disciolto nei mari (sale marino). Nell’antichità veniva usato addirittura come moneta di scambio: infatti il suo uso, essendo principalmente quello di conservare la carne in alternativa all’affumicatura o all’essicazione, risultava talmente importante da poter sostituire le monete di metallo. E’ proprio questa l’origine del sostantivo salario, indicante il compenso erogato al legionario romano che molto spesso, a quei tempi, veniva pagato non con monete ma col sale. Il salgemma si estrae dalle miniere; in Italia le più note si trovano in Sicilia (Petralia Recalmuto e Realmonte), in Toscana (Val di Cecina), in Calabria (Crotone) e in Basilicata (Val d’Agri). Per il sale marino, abbiamo quattro saline importanti in altrettante regioni
italiane: Cervia (Emilia-Romagna), Margherita di Savoia (Puglia), Cagliari (Sardegna) e Trapani (Sicilia); quest’ultima è l’unica ad aver ottenuto il marchio I.G.P.; tutte e quattro, però, hanno avuto dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali il riconoscimento come P.A.T.I.A.Q. (acronimo di “Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani di Alta Qualità ”). L’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità ) consiglia di utilizzare il prodotto che unisce lo iodio al sale marino o al salgemma, non alterandone però il sapore.

La nuova ricetta del friggione bolognese, depositata presso la Camera di Commercio di Bologna nel 2010:

Ingredienti

1)1,5 kg di cipolla gialla tagliata a fette sottili e soffritta nello strutto;

2) 1 kg di pomodori maturi, freschi e ben sodi, tagliati a pezzi grossolani;  sbollentati, sbucciati e senza semi;

3) 400 gr di pancetta tagliata fine e soffritta;

4) 1 cucchiaio di zucchero;

5) 1 cucchiaio di strutto;

6) una punta di peperoncino;

7) sale q.b.

Preparazione

Affettare molto finemente le cipolle e farle macerare in una capiente ciotola con un cucchiaio di zucchero e uno di sale per circa due ore, mescolando di tanto in tanto. Passate le 2 ore, porre le cipolle con il loro liquido in un tegame di alluminio assieme allo strutto; aggiungere poi i pomodori tagliuzzati e far cuocere a fuoco basso per
precedentemente soffritta e terminare di cuocere il tutto per altri 45 minuti. Alla fine, mettere la punta di peperoncino e aggiustare di sale: il risultato dovrà essere una salsa cremosa. Si consiglia di preparare tutto il giorno precedente al consumo. Va accompagnato caldo (o al limite a temperatura ambiente) con carni, polenta e crostini.

Il vino consigliato dai nostri ristoratori  è rosso: o Barbera dei Colli Bolognesi oppure Romagna Sangiovese.

E per terminare un piccolo sguardo al passato

Il friggione era un contorno tipico della cosiddetta “civiltà contadina”. Probabilmente dovette il suo nome proprio alla particolare preparazione che veniva attuata in quel periodo storico. Infatti l’etimologia della parola ci porta al verbo friggere, ma io vorrei aggiungere che un collegamento più corretto dovrebbe essere
fatto col verbo soffriggere in quanto, per approntare questa salsa, bisognava non solo rosolare le cipolle ma anche farle “sobbollire” a fuoco lento col pomodoro per un tempo assai generoso, anche oltre le due ore. E quello era compito precipuo dell’arzdòura, la “reggitora” o “reggitrice” della casa, che era la vera “regina” dell’arte culinaria contadina.

Una sua particolarità era poi costituita dal fatto che si adattava assai  bene a diventare anche un piatto unico, stanti le difficoltà economiche della maggior parte della forza-lavoro agraria, costituita in grandissima parte di braccianti. Infatti costoro, nel pranzo consumato in campagna durante la sosta di mezzogiorno, si adattavano ad accoppiare il friggione con un “consistente” pezzo di pane, di solito cotto nel forno di casa; molto spesso, in alternativa, lo spalmavano su qualche fetta di polenta, arrostita la sera prima sulla griglia utilizzando le braci del camino oppure sulla piastra della
vecchia stufa economica. Vien da dire: “… facevano di necessità virtù ”.

Testo e ricerca di Dino Chiarini