Guido Scaramagli
– La memoria storica del lavoro e
dell’imprenditoria agricola ferrarese
Articolo – biografia di Gian
Paolo Borghi –
Lo scorso 23 luglio è scomparso Guido
Scaramagli, eminente figura di imprenditore agricolo e fondatore
del Centro di Documentazione del Mondo Agricolo Ferrarese di San
Bartolomeo in Bosco.
Nato il 24 settembre 1921 in una
famiglia di agricoltori, pioniera e protagonista della frutticoltura
ferrarese, abbina una sistematica concezione innovativa aziendale
alla conservazione e alla contestuale rivalutazione della memoria del
mondo delle campagne ferraresi e padane, con intuizioni di rilevante
peso culturale e in una prospettiva anticipatrice degli odierni
musei del lavoro, dell’arte e dell’etnografia rurali. Per oltre un
cinquantennio effettua un’opera di raccolta e di conservazione di un
rilevante corpus documentario di tali realtà tematiche (oggetti,
attrezzi e strumenti di lavoro, macchinari, materiali archivistici),
finalizzando le sue ricerche ad un arco temporale oscillante dalla
fine dell’800 alla metà degli anni ’50, periodo significativo della
storia agraria ferrarese e italiana, che intercorre dal primo
affermarsi della meccanizzazione sino a giungere all’ormai
irreversibile fase della scomparsa della coltura tradizionale.
Le sue fondamentali intuizioni
incontrano in seguito l’incondizionato appoggio di Renato
Sitti, fondatore con Mario Roffi e direttore del Centro
Etnografico del Comune di Ferrara. Grazie a questo importante
rapporto di collaborazione, si costituirà il Centro di
Documentazione del Mondo Agricolo Ferrarese (oggi MAF) che, da
raccolta collezionistica, si trasformerà in progress in uno
dei più interessanti musei del settore, non soltanto in regione (è,
tra l’altro, il più importante in territorio ferrarese), ma anche in
ambiti nazionali.
In una testimonianza registrata da
Renato Sitti nel 1980, presenti Ismer Piva e Franco Cazzola, Guido
Scaramagli ricorda con grande semplicità , ma con intensa
convinzione, i suoi primi passi di raccoglitore-ricercatore: “Da
circa dieci anni raccolgo tutto quello che trovo e che riguarda la
vita e il lavoro del mondo contadino ferrarese. Perché lo faccio? La
gente non ricorda più tante cose , soprattutto i giovani, la
lavorazione della canapa ad esempio… Ho raccolto
queste cose con l’intento di conservarle, ordinarle, per far
conoscere qual era la vita nelle campagne ferraresi”.
Si sviluppa tra queste due figure,
diverse per formazione ma parimenti motivate nella ricerca, una
interessante fase di collaborazione, che viene così riassunta da
Sitti: “L’incontro risultò reciprocamente proficuo. Lo
Scaramagli poteva avvalersi dei frutti di una metodologia di analisi
interdisciplinare, di numerosissimi dati storici, antropologici,
sociologici. Il Centro Etnografico poteva confrontarsi con una realtÃ
tecnico-storico-culturale che lo stesso Scaramagli, con la sua
iniziativa, compiutamente rappresentava. Nasceva così da questo
incontro il primo modesto, ma consistente, allestimento del Centro di
Documentazione del Mondo Agricolo Ferrarese”. Guido
Scaramagli stipula quindi, fin dal 1982, una convenzione con il
Comune di Ferrara, grazie alla quale si dà il via ad un’inusuale –
per quei tempi – e stimolante esperienza sinergica tra pubblico e
privato, che diverrà in seguito fonte d’ispirazione ad analoghi
progetti in altre strutture museali italiane. All’inizio degli anni
’80 il lavoro di Guido Scaramagli con Renato Sitti e con il Centro
Etnografico Ferrarese si sviluppa sostanzialmente in tre direzioni:
la schedatura dell’ingente materiale raccolto, l’allestimento museale
e il progressivo suo arricchimento attraverso nuove sezioni, derivate
anche dalla ideazione di mostre-studio e dalla successiva
utilizzazione dei relativi apparati documentari e didascalici. La
prima struttura museale s’impernia pressoché esclusivamente sulla
sua raccolta e si prefigge, in particolare, di porre in atto un’opera
di razionalizzazione che consenta il tracciamento di un percorso
culturale mirato ad evolversi da mero deposito ad organico centro di
documentazione etnografica. Sorgono così le sezioni riguardanti la
trasformazione del lavoro dalla manualità alla meccanizzazione; la
vita e il lavoro nel borgo rurale con le sue botteghe artigianali, i
“negozi” e gli uffici; la casa e la sua cucina, vero cuore
relazionale nel mondo della ruralità . Si dà pure inizio ad un
lavoro di organizzazione della biblioteca di storia dell’agricoltura,
ricca di rare pubblicazioni e di periodici specializzati.
Il lavoro della canapa nel Ferrarese
costituisce la prima esperienza espositiva di rilievo. Progettata a
fini itineranti e allestita nel 1982 a San Bartolomeo in Bosco, alla
sala Efer di Ferrara e in numerose altre località provinciali e
regionali, si traduce di fatto in cassa di risonanza del nascente
centro di documentazione, che registra i suoi primi apprezzamenti in
ambito nazionale, grazie anche all’omonimo catalogo curato da Renato
Sitti, Roberto Roda e Carla Ticchioni (Portomaggiore, Arstudio,
1982). La relativa, fondamentale sezione diverrà uno tra i
principali settori oggetto di visita museale.
A questa rilevante realizzazione fanno
seguito altre due mostre: “Un paese dagli album di famiglia.
Una ricerca di Guido Scaramagli a San Bartolomeo in Bosco”
(1982) e “I mestieri ambulanti nelle campagne ferraresi”
(1984), che contribuiranno, tra l’altro, a dare rispettivamente
ordine al patrimonio archivistico (fotografie, carteggi familiari e
aziendali, contabilità e materiali imprenditoriali vari, ecc.) e
alla specifica sezione, ricca di articolate e spesso inedite
testimonianze. Alle fasi allestitive vengono contestualmente abbinati
colloqui (ma, di fatto, si tratta di veri e propri convegni)
culturali di approfondimento tematico, che registrano l’adesione, tra
il 1982 e il 1983, di alcune tra le più rilevanti figure di studiosi
italiani di storia, cultura materiale e antropologia. Gli atti di
tali interventi assumeranno veste editoriale nel 1989, grazie al
volume “La Terra Vecchia. Contributi per una storia del mondo
agricolo ferrarese”, a cura di Violetta Ferrioli e Roberto Roda
(Firenze, La casa Usher). Determinante è l’apporto di Guido
Scaramagli, in collaborazione con Renato Sitti e Carla Ticchioni,
alla realizzazione del catalogo “Dal lavoro manuale alla
meccanizzazione. Inventario-guida del Centro di Documentazione del
Mondo Agricolo Ferrarese”, “Quaderno” numero 27 (1985)
del Centro Etnografico Ferrarese. La pubblicazione costituisce
il primo organico momento di analisi delle attività e dei traguardi
sino ad allora conseguiti e offre, al tempo stesso, un’ampia e utile
conoscenza delle terminologie, in italiano e in dialetto ferrarese,
degli strumenti, delle attrezzature, delle macchine e degli oggetti
che compongono il centro documentario. Su stimolo di Renato Sitti
vengono in quel periodo privilegiati i più significativi segni
storici della meccanizzazione nelle campagne. Si tratta del primo
esempio realizzato nella Regione Emilia-Romagna e Sitti lo sottolinea
con lungimiranza nelle pagine dello stesso catalogo: “La
storia della meccanizzazione, qui ampiamente documentata, coincide in
gran parte con la storia del mondo agricolo ferrarese di quel periodo
la cui influenza incide ancora, nonostante i profondi mutamenti
intervenuti negli ultimi trent’anni, nella realtà attuale”.
Accanto alla divulgazione della cultura
tradizionale, Guido Scaramagli, sempre con il sostegno di Renato
Sitti, si dimostra attivo anche nella promozione dello studio di
aspetti peculiari dell’agricoltura ferrarese, come il convegno sulla
frutticoltura, promosso nel 1987 in collaborazione con il Comune e la
Provincia di Ferrara. “Coltivata” con passione e
competenza, la sua struttura si mantiene costantemente in evoluzione,
arricchendosi di ulteriori cimeli e di nuove ricostruzioni. Agli anni
1986 e 1988 risalgono, ad esempio, gli allestimenti, in un’apposita
sezione, degli ateliers (burattini, teatri, scenografie, copioni,
attrezzeria di scena, ecc.) dei burattinai Ettore Forni e Pompeo
Gandolfi, di proprietà del Comune di Ferrara, di gran lunga
anticipatori degli odierni musei di teatro popolare. Ad alcuni anni
più tardi risalgono invece le fedeli ricostruzioni di una
stazioncina d’epoca, arredata con estrema cura, e di un oratorio
poderale, esempio di piccolo luogo di culto, un tempo diffuso nelle
campagne ferraresi, ospitante in modo particolare le tradizionali
recite del rosario durante il mese di maggio.
Il suo imponente materiale
documentario è di supporto, inoltre, ad alcune produzioni
cinematografiche, tra le quali “La neve nel bicchiere” di
Florestano Vancini (1984) e In nome del popolo sovrano di
Luigi Magni (1990). Gli anni ’90 sono contrassegnati dalla
sperimentazione che Guido Scaramagli indirizza verso le giovani
generazioni, quali gli esempi di utilizzazione della forza eolica in
agricoltura e nella tecnica molitoria e, ancora, del restauro, con
criteri scientifici, di molti macchinari, tra i quali i trattori
statunitensi a vapore Peerless (licenza De Dion Bouton, 1906) e Mogul
(Mc Cormick, 1910-1915). Scaramagli prosegue con successo su questa
strada attrezzando ingegnosamente a forza elettrica diverse macchine
agricole (decanapulatrice, trebbiatrice, ecc.), un tempo funzionanti
a vapore – pur mantenendo inalterata anche questa funzione originaria
-, che fa posizionare su un’unica linea espositiva.
Attiva, inoltre, con la collaborazione
del Centro Etnografico Ferrarese, una convenzione con la
Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna per favorire
l’elaborazione di tesi di laurea di storia dell’agricoltura. Per i
proficui risultati raggiunti dal Centro di Documentazione del Mondo
Agricolo Ferrarese, la Camera di Commercio di Ferrara, nel 1993, gli
conferisce un riconoscimento ufficiale. Già a partire dall’anno
precedente, aveva pure dato inizio, con instancabile tenacia, ad
un’interessante esperienza editoriale, in gran parte basata sulle
sue esperienze esistenziali, soprattutto giovanili. La sua prima
pubblicazione, Al bugadùr (ovvero la tela di canapa che
veniva utilizzata per il tradizionale bucato con la cenere),
autoprodotta, è interamente in dialetto e raccoglie poesie e
racconti. Dedicata alla memoria dei genitori (“mi hanno
insegnato, fin dall’adolescenza, ad apprezzare ed amare i luoghi, le
cose, le persone e la semplice vita della mia terra”, scrive
con gratitudine), si avvale della prefazione di Renato Sitti, che
precisa opportunamente: “Avvalendosi di un linguaggio (non
sempre, per la verità , ma spesso) secco, asciutto, lapidario, egli
rivela in poche parole, o in poche frasi, i segreti del mondo morale
e psicologico che conserva dentro dalla fanciullezza condiviso con la
famiglia, con gli amici, con la gente che gli è stata attorno ogni
giorno”.
La sua produzione poetica, composta nel
vernacolo di San Bartolomeo, si rivela gradevole – a tratti ironica,
a volte toccante – e fa trasparire veri e propri bozzetti di vita
nella campagna e nei piccoli paesi che la sfiorano. Vi compaiono
antiche scene di quotidianità con protagonisti i contadini,
l’arzdóra (la reggitrice) e le sue fatiche, il sarto, l’oste,
il calzolaio e, ancora, episodi, alcuni di aneddotica, con al centro
il lavoro e il suo ciclo stagionale, la religiosità popolare, le
tradizioni (si veda, per tutte, la descrizione in versi de La
tamplà , l’arcaico rituale degli assordanti strepiti serali
provocati dagli oggetti più strani soprattutto in occasione dei
matrimoni dei vedovi), gli affetti familiari e i sentimenti. Densa di
commozione e di sensibilità si dimostra, in particolare, la lirica
La mié tèra (La mia terra), amorevole dichiarazione
dell’autore alla madre-terra:
O dólza, o fòrta ma ssémpar pìna
ad blézza
at véd cumè ai prìm an dla
giovinézza
quand a campà va cuntént e in
alégria
còl giòi che ti t’am dav o tèra
mia.
Al témp al passa ma tì t’an cambi
mai
e quand l’arssùra o al mòi it dÃ
di guai
ta ti ssupòrt…, e apéna dì, o a
l’óra ad nòt
at trassùd dai crèp o da la
smòrcia ch’è ssui lòt
cal vapór fin, alziér, ssénza
culòr
cl’am tién avsìn a tì con tant
amór
e che l’am fa arcurdà r acssì
‘luntiéra
che la cùna dal mié vivar l’è chì
in mèz a la mié tèra.
(O dolce, o forte ma sempre piena di
bellezza / ti vedo come ai primi anni della giovinezza / quando
vivevo contento e in allegria / con le gioie che mi davi o terra mia.
// Il tempo passa ma tu non cambi mai / e quando l’arsura o il
bagnato ti danno dei guai / li sopporti…, e appena (fa) giorno, o
all’ora notturna / trasudi dalle crepe o dalla fanghiglia che è
sulle zolle / quel vapore fino, senza colore / che mi tiene vicino a
te con tanto amore / e che mi fa ricordare così volentieri / che la
culla del mio vivere è qui / in mezzo alla mia terra).
E sempre sul dialetto e sulla cultura
popolare è incentrata la sua commedia “Al spusalìzzi ‘d la fiòla
dal Segrétari” (Lo sposalizio della figlia del Segretario),
ambientata durante gli anni del Fascismo, avente il suo museo come
spazio scenico. A questo suo lavoro, proposto al pubblico in
videotape nel 1994, collaborano la Compagnia di teatro popolare
“Listón”, Sergio Altafini per la regia, il coro “I
milurdìn ad Franculìn” (I “milordini” di Francolino)
diretto da Elisabetta Vincenzi, per la colonna sonora, e Carlo Magri
per le riprese cinematografiche. Il percorso editoriale di Guido
Scaramagli prosegue con altri due volumi di chiara matrice
autobiografica: La grande siepe (Roma, Il Cedro, 1994) e
L’ultimo fronte (Ferrara, Corbo, 1997). Nel primo ripercorre
in forma romanzata l’amore – coltivato fin dall’infanzia – per la
terra africana, finalmente conosciuta in modo diretto negli anni ’60.
Con modalità descrittive estremamente efficaci e attraverso la voce,
il pensiero e i sentimenti di un giovane, ci fa conoscere il grande
continente “dall’interno”, vissuto a diretto contatto con
quel suggestivo habitat e con gli stimolanti incontri con quelle
popolazioni. Il libro è particolarmente gradito anche a Folco
Quilici, che ne cura una pubblica presentazione alla Biblioteca
Ariostea di Ferrara. Scrive Lidia Fiorentini Chiozzi in una
partecipata nota introduttiva: “Scaramagli ci descrive non
soltanto la natura e le numerose varietà di animali, ma anche le
persone con cui viene a contatto, soprattutto in Eritrea. Egli è
attento , preciso , interessato nel cogliere le diversità che
caratterizzano le etnie che vivono in Africa, lasciando trapelare che
anche nel suo animo si è insinuato “il mal d’Africa”, una
malìa di cui non riuscirà più a liberarsi”.
Il secondo volume, prefato da
Gianfranco Rossi, è un’intensa testimonianza degli ultimi giorni
della seconda guerra mondiale, contrassegnata dalla descrizione in
prima persona (Guido Scaramagli era temporaneamente esonerato dal
servizio militare per problemi di salute) di alcune tra le fasi più
emozionanti e drammatiche che segnano la storia delle campagne
attorno a San Bartolomeo in Bosco, la cui popolazione è
costantemente soggetta alla drammatica aleatorietà degli eventi, che
vedono protagonisti tedeschi, fascisti, partigiani e forze alleate in
arrivo. Le sue descrizioni vengono valutate dall’illustre prefatore
alla stregua di una vera e corrispondenza di guerra, rigorosa e
attenta, “da offrire l’impressione che il racconto sia (anche
per la sua visività ) concepito come una sorta di sceneggiatura
cinematografica, o comunque come testo per il cinema”. Le
sue qualità di custode e di divulgatore della cultura rurale al
Museo sono messe a disposizione della collettività anche nel terzo
millennio: al 2003 risale, ad esempio, la mostra, curata con lo
scrivente, “Il mondo rurale nei disegni di ‘Nino’ Zagni”,
esposta alla Sala Efer. I relativi materiali, oltre ad essere
illustrati in un apposito catalogo edito dal Comune di Ferrara,
andranno in seguito a costituire uno specifico percorso all’interno
della sezione del borgo rurale. Guido Scaramagli proseguirà in
questa sua meritoria opera fino al crepuscolo della sua esistenza: i
risultati da lui conseguiti possono tuttora ammirarsi nel “suo”
Centro di Documentazione del Mondo Agricolo Ferrarese (MAF), uno
tra i più affascinanti percorsi museali che caratterizzano il
territorio ferrarese.
Gian Paolo Borghi
Già pubblicato in Num. 33 di Ferrara –
voci di una cittÃ
Rivista semestrale di cultura,
informazione e attualità della Fondazione Cassa di Risparmio di
Ferrara
http://rivista.fondazionecarife.it/it/2010/item/731-guido-scaramagli