Un importante filato veniva prodotto nelle nostre campagne: la seta.
La produzione della sete va di pari passo con la coltivazione del gelso.
L’importanza del gelso non è fine a se stessa ma strettamente legata ad un bruco che vive sul gelso, infatti viene chiamato bombice del gelso (bombyx mori), la cui larva comunemente chiamata baco da seta si nutre delle foglie del gelso.
Il bombyx mori sarebbe l’effetto della domesticazione della Theophilia mandarina, lepidottero assai comune in Asia. Si hanno notizie di allevamenti di bachi da seta a scopo economico in Cina presso il popolo dei Seri[i] a partire dal 27° secolo a.C..
La bachicoltura si estese in tutta l’Asia, ma solo nel VI sec. d.C. venne introdotta in Europa, prima in Grecia e poi in Sicilia, ma solo dopo si sviluppò in tutta l’Italia e in particolar modo nel Veneto e nella pianura padana, dove il gelso cresceva bene, portando l’Italia al primo posto tra i paesi sericoli del mondo. Poi si spostò dall’Italia all’Europa meridionale, in specie nella Francia dove Lione divenne uno dei mercati più¹ importanti per i tessuti e in concorrenza con Bologna che produceva veli e organzini. Per lungo tempo l’Italia importò tessuti di seta dall’Asia senza avere conoscenza di come effettivamente fosse prodotta. Sembra che monaci missionari portassero nel 552 d.C. a Costantinopoli, nascosti dentro un bastone cavo, i primi bachi e le indicazioni per l’allevamento.
Nella campagna attorno al Castello di San Giorgio i contadini sin dal XIV secolo abbinavano l’allevamento del baco alla coltivazione agricola. Erano soprattutto le donne che si interessavano di tale forma di attività , contrastate in ciò dai proprietari terrieri che temevano che i mezzadri trascurassero i lavori agricoli a favore della bachicoltura.
D’altra parte l’attività era fatta nei periodi di minor intensità di lavorazione sui campi e comunque erano le donne che alla sera o alla mattina prestissimo si interessavano della tenuta dei bachi.
Nella nostra pianura la coltivazione era molto intensa in quanto da parte delle manifatture bolognesi c’era una grande richiesta di filato. Nelle case del contado si arrivava solo alla produzione dei bozzoli, che venivano poi inviati alla città , che era fornita di mulini azionati ad acqua per la lavorazione successiva: essiccazione e solforazione dei bozzoli, trattura della seta greggia, torcitura, stagionatura, aspatura in matasse e quindi lavorazione a telaio dei tessuti.
Anche nelle case degli abitanti attorno al Castello di San Giorgio e delle frazioni abitative limitrofe ci si interessavano alla bachicoltura, essa avveniva in posti ampi ben arieggiati e asciutti e puliti: i granai erano i locali preferiti. Il baco è molto soggetto ad infezioni dovute alla mancanza di pulizia e quindi i locali e gli attrezzi che venivano usati erano normalmente disinfettati con suffumigi a base di acqua e zolfo prima dell’inizio dell’allevamento.
Si formavano lettiere per il seme di bachi, mediante cannicci, costruiti con canne palustri essiccate. Sulle lettiere o arelle venivano messe delle strisce di tela forata e su di esse venivano poste le foglie di gelso trinciata e i bachi nati dai semi. Si formavano castelli di queste lettiere e i bachi venivano spostati da una lettiera ad una lettiera superiore, pulita e con foglie di gelso fresche. La quantità di foglia di gelso usata era notevole, si pensi che i bachi nati da un’oncia di seme hanno bisogno per la loro nutrizione, sino a maturazione, di una tonnellata di foglie di gelso. Il processo di maturazione delle uova (semi) prodotte dalle farfalle dura circa un anno, deve passare l’estate, l’autunno poi l’inverno per arrivare alla primavera successiva quando si è sicuri di avere la foglia di gelso per sfamare le larve che sono sgusciate dalle uova. Le nostre antenate bachicoltrici dovevano lavorare per tutto il periodo per mantenere le uova alla temperatura giusta e farle sopravvivere . Le larve divenute bachi si imboscano in supporti aerei (fascine di erica, paglia) e iniziano a produrre il filamento che esce dalla bocca miscelato ad un liquido gommoso che permette al baco di arrotolare attorno a se stesso il filo formando il bozzolo. I bozzoli migliori vengono fatti seccare per ottenere un filamento continuo per trattura[ii]. Dagli altri sfarfalla in estate la crisalide, che si è formata dentro, e riprende il ciclo produttivo con l’accoppiamento e la successiva deposizione delle uova.
Nel contado non sempre veniva seguito tutto il processo di maturazione del baco, dato il poco tempo disponibile, ma si acquistavano i semi già maturi e si seguiva la muta delle larve e l’imboscamento sino alla formazione del bozzolo. La produzione dei bozzoli in campagna, anche se osteggiata da parte dei proprietari terrieri, era però molto conveniente perchè essi potevano vendere i bozzoli[iii] pronti alla fiera di giugno-luglio della piazza del Pavaglione di Bologna ad un prezzo competitivo. Solo a tale fiera era possibile commercializzare i bozzoli prodotti nella pianura bolognese e al Pavaglione si incontravano contadini , proprietari terrieri, sensali e compratori. Ogni operazione successiva al bozzolo era obbligatoriamente fatta all’interno della città.
La coltivazione dei gelsi e la produzione dei bozzoli fu fiorente sino all’inizio del XIX secolo, decadendo progressivamente a partire dall’unità d’Italia.
Le bachicoltrici non utilizzavano il filato di seta proveniente dalla trattura, ma solo i cascami di seta dei bozzoli che si aprivano precocemente lasciando uscire la farfalla. le nostre ave, dopo aver ripulito con acqua calda i bozzoli perforati dalla parte gommosa, ricavavano il cascame di seta con cui imbottivano le coperte per le spose: la coperta di seta era molto leggera e calda.
Da un avviso di gara per la vendita all’sta della foglia di gelso, affisso alla casa comunale nel 1899 (v. sotto , ndr) e conservato nell’archivio del Comune, possiamo aver anche informazioni sulla struttura del Castello di S. Giorgio di Piano alla fine del 1800. La foglia di gelso venduta era quella dei gelsi di proprietà comunale e i gelsi crescevano lungo i lati del quadrilatero che racchiudeva il Castello.
Infatti si delinea così l’esatto contorno del Castello a quell’epoca.
A partire dall’Oratorio, che si trova all’inizio dell’attuale via della Libertà , abbiamo lo stradone (forse le attuali via della Pace e via Pradelli), la Porta di sotto, Porta Capuana o Ferrara, viale XX Settembre sino alle Scuole, che allora erano situate nell’attuale caserma dei carabinieri; la Porta nuova, Porta Bologna andata distrutta, e la via Provinciale, ora via Matteotti verso Bologna.
(*) MUNICIPIO di SAN GIORGIO di PIANO
Avviso di Gara
Si rende di pubblica ragione che nel giorno di Domenica 23 c. m., alle ore 14
nella segreteria comunale dinanzi al Sindaco o chi per esso, avranno luogo
i pubblici incanti per la vendita del primo prodotto della foglia di Gelsi
lungo i terragli di questo comune in quattro distinti lotti, e cioè:
1° lotto Dall’oratorio allo stradone
2° lotto Dallo stradone alla Porta di sotto
3° lotto Dalla Porta di sotto sino al viale XX Settembre
(eccetto gli 8 gelsi di fianco alla scuola )
4° lotto Dalla Porta nuova sino alla via Provinciale
Il prezzo base su cui si apre la gara è il seguente
1° lotto £ 205 | 2° lotto £ 200
2° lotto £ 100 | 4° lotto £ 160
AVVERTENZE
Il Capitolato contenente le norme per la migliore riuscita di quanto sopra è disponibile nella segreteria comunale e nelle ore d’ufficio.
S. Giorgio di Piano 20 Aprile 1899
Il Segretario
NOTE[i] Ecco perchè i tessuti ottenuti dal filato di seta vennero detti sericei o serici.
[iv] Toccando la coperta spesso si sentivano i bozzoli non ben mondati.
[v] Si parla di terragli (dal latino volgare terraculum = terra ammucchiata). Attorno al Castello di San Giorgio sino al 1742 vi erano, sui quattro lati del suo impianto, terrapieni e fossati a protezione dell’abitato. I fossati raccoglievano acque luride ed in tempo di peste, colera ed altre epidemie erano veicoli di infezione. Appunto nel 1742 il Comune decise che venissero interrati i fossati e spianati i terrapieni, formando così una prateria. Il lavoro venne commissionato al Marchese Cospi, che ne ebbe l’uso per se e per i suoi discendenti maschi.
Quando nel 1847 finì la linea maschile dei Cospi il terreno divenne di proprietà comunale.
Ricerca di Angela Bonora- Anna Fini