8 settembre 1943 e il Proclama Badoglio. Cenni di storia

Premessa: quanti , specie tra i giovani, sanno il significato di questa data così importante per la storia italiana? Forse pochi.  Vale la pena quindi  riportare qui  alcuni cenni storici di sintesi, ripresi da alcune fonti su internet.
“Il proclama di Badoglio dell’8 settembre 1943 è l’annuncio dell’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile firmato dal governo Badoglio I del Regno d’Italia con gli Alleati della seconda guerra mondiale.
Il messaggio, letto dal maresciallo Pietro Badoglio (capo del governo e maresciallo d’Italia) alle 19:42 al microfono dell’EIAR, annunciò alla popolazione italiana l’entrata in vigore dell‘armistizio di Cassibile, firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese.

Dopo la sigla dellarmistizio di Cassibile, Badoglio riunì il governo solo per annunciare che le trattative per la resa erano “iniziate”. Gli Alleati, da parte loro, fecero pressioni sullo stesso Badoglio affinché rendesse pubblico il passaggio di campo dell’Italia, ma il maresciallo tergiversò. La risposta degli anglo-americani fu drammatica: gli aerei alleati scaricarono bombe sulle città della penisola. Nei giorni dal 5 al 7 settembre i bombardamenti furono intensi: oltre 130 aerei B-17 attaccarono Civitavecchia e Viterbo. Il 6 fu la volta di Napoli. Perdurando l’incertezza da parte italiana, gli Alleati decisero di annunciare autonomamente l’avvenuto armistizio: l’8 settembre, alle 17:30 (le 18:30 in Italia), il generale Dwight Eisenhower lesse il proclama ai microfoni di Radio Algeri. Poco più di un’ora dopo, Badoglio fece il suo annuncio da Roma.

Il proclama letto alla radio

«Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.»

La fuga di Vittorio Emanuele III e la nascita del Regno del Sud

La fuga dalla Capitale dei vertici militari, del Capo del governo Pietro Badoglio, del re Vittorio Emanuele III e di suo figlio Umberto, dapprima verso Pescara, poi verso Brindisi, e la confusione, provocata soprattutto dall’utilizzo di una forma che non faceva comprendere il reale senso delle clausole armistiziali e che fu dai più invece erroneamente interpretata come indicazione della fine della guerra, generarono ulteriore confusione presso tutte le forze armate italiane in tutti i vari fronti sui quali ancora combattevano: lasciate senza precisi ordini, si sbandarono. 815 000 soldati italiani vennero catturati dall’esercito germanico e destinati a diversi lager con la qualifica di I.M.I. (Internati militari italiani) nelle settimane immediatamente successive.

Più della metà dei soldati in servizio nella penisola abbandonarono le armi e tornarono alle loro case in abiti civili. La ritorsione da parte degli ormai ex-alleati tedeschi, i cui alti comandi, come quelli italiani, avevano appreso la notizia dalle intercettazioni del messaggio radio di Eisenhower, non si fece attendere: fu immediatamente messa in atto l’Operazione Achse (“asse”), ovvero l’occupazione militare di tutta la penisola italiana e il 9 settembre fu affondata la corazzata Roma, alla quale nella notte precedente era stato ordinato, assieme a tutta la flotta della Regia Marina, di far rotta verso Malta in ottemperanza alle clausole armistiziali anziché, come precedentemente stabilito, attaccare gli alleati impegnati nello sbarco di Salerno.

Nelle stesse ore una piccola parte delle forze armate rimase fedele al re Vittorio Emanuele III, come la Divisione Acqui sull’isola di Cefalonia, dove fu annientata; una parte si diede alla macchia dando vita alle prime formazioni partigiane, come la Brigata Maiella; altri reparti ancora, soprattutto al nord, come la Xª Flottiglia MAS e la MVSN, scelsero di rimanere fedeli al vecchio alleato e al fascismo. Nonostante il proclama di Badoglio, gli alleati impedirono una massiccia e immediata scarcerazione dei prigionieri di guerra italiani.

Ai militari sbandatisi dopo l’8 settembre che si ripresentarono a fine guerra ai rispettivi comandi, per sistemare la propria carriera interrotta e anche recuperare gli arretrati di paga, venne richiesto di compilare un questionario di ben 97 domande, atto a definirne la posizione disciplinare e amministrativa.

Il dibattito sull’8 settembre come “morte della patria”

Il giurista e scrittore Salvatore Satta, nel suo libro di riflessioni De profundis del 1948, definì l’8 settembre la “morte della patria“, con riferimento all’implosione dell’intero apparato statale costruito dopo il Risorgimento, aggiungendo che “la morte della patria è certamente l’avvenimento più grandioso che possa occorrere nella vita dell’individuo”.

L’espressione fu riscoperta da Ernesto Galli della Loggia in un convegno del 1993 e ripresa da Renzo De Felice nel libro-intervista Il Rosso e il Nero del 1995. Entrambi questi storici hanno sostenuto che il Risorgimento avesse creato un sentimento nazionale italiano che, crollato l’8 settembre, non è più rinato.

Galli della Loggia ha addirittura intitolato un suo libro del 1996 La morte della patria, facendo di questa tesi l’argomento dell’intero libro. Ha in particolare approfondito come la Resistenza non abbia potuto creare un nuovo sentimento nazionale perché era divisa fra più “anime”, alcune delle quali di sentimenti più internazionalisti, se non addirittura contrari agli interessi nazionali (con riferimento al fatto che il PCI sostenesse le rivendicazioni jugoslave in Venezia Giulia).

Questo libro scatenò inevitabilmente una discussione, in cui storici e politici vicini alla Resistenza criticarono la tesi della “morte della patria”. Fra gli storici si possono citare Claudio Pavone (Una guerra civile, 1991 e Nicola Tranfaglia. Sulla questione prese la parola anche il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nel 2001 al ritorno da Cefalonia, dove aveva commemorato i caduti della divisione Acqui. Tutti costoro hanno sostenuto che la Resistenza e la Costituzione hanno efficacemente fatto rinascere un sentimento nazionale italiano .

** Da altra fonte:https://www.ilsussidiario.net/news/8-settembre-1943-larmistizio-resa-e-illusione-italia-nel-caos-verso-guerra-civile/1923666/

8 SETTEMBRE 1943, L’ARMISTIZIO/ La mancata difesa di Roma: 1000 morti per la Capitale  8.09.2019, – Emanuela Longo

Uno dei momenti più importanti legati all’8 settembre 1943 è quello che viene ricordato come la Mancata difesa di Roma, in riferimento all’occupazione nazista messa in atto dalle forze tedesche della Wehrmacht schierate a sud e a nord della città, come da ordini di Adolf Hitler in caso di defezione italiana. La Capitale non disponeva di un piano organico per la difesa della città: non era di fatto pronta ad una conduzione coordinata della resistenza militare all’occupazione tedesca. Si capisce bene come il caos ebbe il sopravvento: il morale della città era d’altronde già fiaccato dalla fuga di Vittorio Emanuele III assieme alla corte, al capo del governo e ai vertici militari. Roma così venne in fretta conquistata dalle truppe della Germania nazista. Gli unici ad opporre una eroica quanto vana resistenza furono le truppe del Regio Esercito e i civili: caddero in 1000. Ed è a costoro che oggi il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il Sindaco di Roma Virginia Raggi, ha reso omaggio nel corso della cerimonia di deposizione di una corona d’alloro a Porta San Paolo, in occasione del 76° anniversario della difesa di Roma. (agg. di Dario D’Angelo)

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8 SETTEMBRE 1943, ARMISTIZIO: UN PAESE ALLO SBANDO

E proprio nel caos più totale, all’indomani dell’8 settembre, il Re, la Regina e lo stesso Badoglio insieme ad alcuni ministri e generali dello stato maggiore fuggivano da Roma verso Brindisi, per qualche mese sede degli Enti istituzionali. In assenza di alcuna direttiva né misura presa per difendere la Capitale, l’esercito si dissolse. A reagire fu proprio la Germania che diede via al Piano Achse: la stessa notte dell’8 settembre, le forze militari tedesche presero possesso di aeroporti, stazioni ferroviarie e caserme. Furono i tedeschi a dare le direttive per il disarmo dei militari italiani suddivisi in tre gruppi: chi accettava di combattere dalla loro parte poteva continuare a conservare le armi, al contrario veniva mandato nei cambi di internamento in Germania e ritenuto prigioniero di guerra. Infine, chi opponeva resistenza o si schierava con i partigiani veniva ucciso o impiegato nei campi di lavoro. Anche per i civili le cose andarono molto male sul piano economico e dopo l’armistizio la situazione peggiorò radicalmente a causa dei blocchi da parte dei nazisti.

L’8 settembre, dunque, portò all’Italia solo l’illusione che la guerra fosse finita ma il conflitto andò avanti fino alla primavera del ’45 con l’aggravante di essersi trasformato in una sorta di guerra civile tra due Italie divise, quella fedele al Fascio e ai tedeschi e quella decisa a liberare il Paese insieme agli Alleati.

In foto: Pietro Badoglio, capo del governo italiano dal 25 luglio 1943 al 17 aprile 1944: