La Chiesa, la statua di S. Antonio a Malalbergo, e la storia del maialino nero rubato

Sant’Antonio abate, patrono di Malalbergo. Testo di Dino Chiarini
Il Patrono della Parrocchia e del Comune di Malalbergo, nonché Titolare della Chiesa del capoluogo è da sempre Sant’Antonio abate.
Non ci sono notizie precise sulle motivazioni che portarono gli abitanti di quel piccolo centro abitato ad intitolare la chiesa a questo santo; posso però pensare che, essendo un paese dove la popolazione viveva di caccia, di pesca e di agricoltura, la scelta fosse caduta sul protettore degli animali per una certa quale affinità con le attività dei suoi abitanti.
Come potete immaginare questa è soltanto una mia ipotesi personale: potrei dire che è da prendere col beneficio d’inventario, non essendo suffragata né da alcuna testimonianza scritta né da una qualsivoglia tradizione orale locale. Secondo alcuni storici il primo luogo di culto risale alla metà XIV secolo, poiché nell’elenco di tutte le Parrocchie di Bologna e del suo Contado, effettuato nel 1300, quella di Malalbergo non compare, essendo questo territorio parte integrante della “Terra della Pegola”. Il primo documento che menziona un oratorio di Sant’Antonio abate a Malalbergo, porta la data del 1554 ed è una descrizione della visita pastorale fatta nell’ottobre di quell’anno; seguirono altre visite pastorali nel 1555, nel 1567 in cui si citava sempre l’oratorio di Sant’Antonio. Solo nel 1578 in un disegno eseguito da Egnazio Danti, compare il nome “chiesa di Sant’Antonio”. L’edificio di culto probabilmente venne elevata a parrocchia nel 1593, anno in cui vi si stabilì un curato. .

Tutti conoscono Sant’Antonio abate come il fondatore dell’ascetismo, assieme al suo allievo Sant’Atanasio e ai due compagni eremiti Macario e Amatas. Ricordo ai lettori che il Santo era egiziano, nato a Coma, l’odierna Qemans nel 250 d.C. e che morì il 17 gennaio 356 d.C. nell’eremo di Colzim. Si schierò decisamente contro l’eresia ariana e visse gran parte della sua esistenza come anacoreta sulle montagne del Pispir egiziano, fra il Nilo e il Mar Rosso.

Il Protettore.

È il protettore degli animali domestici, del bestiame e delle attività agresti, sia del contadino che di chiunque lavori in campagna. E’ anche protettore di macellai, fornai, pizzicagnoli, salumieri, tosatori, canestrai, tessitori e commercianti di tessuti, conciatori, guantai, fabbricanti di spazzole in setole; ma è pure protettore del fuoco e dei pompieri, oltre che difensore di malattie della pelle (l’herpes zoster -il cosiddetto fuoco di Sant’Antonio-, la rogna, la scabbia, lo scorbuto, la lebbra, la sifilide ed altre malattie veneree, la foruncolosi, le varici). Infine protegge i becchini e i suonatori di campane. Poi, per concludere, difende pure gli eremiti e i monaci.

La statua di Sant’Antonio conservata nella chiesa di Malalbergo.

All’interno dell’attuale chiesa, nel quarto altare laterale sinistro, vi è una bellissima statua lignea alta 145 centimetri, eseguita -secondo gli esperti- nel XVIII secolo da un autore anonimo locale che la ricavò da un grosso tronco. L’operatore del censimento, effettuato nel 1971, descrive la scultura con queste parole: «Il Santo, a figura intera, indossa veste marrone e manto nero tiene con la mano destra il bastone con la campanella e con la sinistra un libro al petto; il capo è leggermente rivolto verso destra e dal mento scende una folta barba. Ai suoi piedi vi è il porcellino simbolico». Nella descrizione non si fa cenno all’altro immancabile simbolo, il fuoco, che si trova sul piedistallo, vicino al maialino.
Ma andiamo per ordine, analizzando il significato dei simboli rappresentati. Il vecchio barbuto. Tutte le raffigurazioni lo ritraggono come un vecchio canuto con una folta barba, personificazione della persona anziana, piena di saggezza. Il libro. È sicuramente una raccolta di preghiere, che l’abate portava sempre con sé per invocare Dio durante il suo soggiorno nel deserto. Rappresenta pure il senno fortificato dalla cultura. Il manico del bastone a forma di tau. Questo emblema (la tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico e significa “allusione alle cose ultime e al destino”) richiama la croce egizia, antico simbolo di immortalità, adottata in seguito come segno rappresentativo dai cristiani di Alessandria d’Egitto. La campanella. Annunciava l’arrivo dei monaci antoniani in cerca della questua. Tale campanella era posta anche al collo dei maiali allevati dagli stessi frati: con il loro grasso gli antoniani producevano un unguento che alleggeriva i dolori causati dall’herpes zoster, ovvero il “fuoco di Sant’Antonio” o “fuoco sacro”. Il maiale. Qui vorrei azzardare un’ipotesi storica. Il santo è considerato il protettore degli animali sin dal medio evo ed è ancor oggi assai venerato nel nord-europa; tutti sanno che i popoli nordici avevano la loro base alimentare nel maiale e per questo, forse, è raffigurato quasi sempre accompagnato da un porcellino, che è diventato quindi il “suo” animale per eccellenza. Il fuoco. Il santo viene anche raffigurato con una fiamma ardente ai suoi piedi; questo fuoco pare proprio l’allegoria della purificazione, ma potrebbe pure richiamare quel “fuoco di Sant’Antonio” cui accennavo poc’anzi.

La storia del “maialino malalberghese”.

Parecchio interessanti sono le vicissitudini legate al ninazén (maialetto) collocato ai piedi della scultura del Santo patrono. Non tutti sanno che durante il bombardamento del 19 aprile 1945 (che distrusse quasi totalmente l’interno del principale luogo di culto malalberghese) anche la scultura di Sant’Antonio abate fu colpita da alcune schegge di bomba, mentre la vicina statua in gesso, dedicata a Santa Teresa del Bambino Gesù, andò in mille pezzi. Le “ferite” riportate dalla scultura di Sant’Antonio abate furono molto lievi, ma del maialino settecentesco nero, il colore tipico della mora romagnola, anch’esso scolpito nel legno e posto vicino al piede sinistro del Santo, non fu trovato nessun frammento; sicuramente venne rubato da falsi soccorritori che si erano infiltrati tra i fedeli intenti a mettere in salvo le opere d’arte della chiesa parrocchiale.

Terminato il conflitto mondiale, i parrocchiani contribuirono con le loro offerte a commissionare ad un falegname locale un nuovo maialino in legno, sempre di color nero come il precedente. Purtroppo cinque o sei anni fa alcuni ladri blasfemi, penetrati all’interno della chiesa, trafugarono il maialino; così ancora una volta i parrocchiani raccolsero una somma di denaro abbastanza consistente per  il nuovo maialino, eseguito da uno scultore di Santa Caterina Valgardena, oggi sfoggia un bel colorito roseo; è posizionato alla destra di Sant’Antonio, mentre a sinistra fa bella vista il fuoco ardente.

Dino Chiarini

FOTO.

1) La statua di Sant’Antonio abate con il maialino nero.

2) La statua di Sant’Antonio abate con il maialino rosa.

** Su S. Antonio, vedi anche l’articolo sul vecchio sito
http://www.pianurareno.org/?q=node/2945
S.Antonio abate, tra storia, leggenda e tradizioni