Le foibe e gli esuli istriani e dalmati. Dove, quando e perchè.

– Si ricorda il 10 febbraio, e in questi giorni se ne parla, su giornali e tv e in varie iniziative di commemorazione. Ma fu una tragedia  pianificata e di lunga durata. Riproponiamo quindi l’articolo scritto un anno fa –
Segnaliamo alcuni testi e fonti
1- Le foibe (con Raoul Pupo , di Pierluigi Tiriticco) su Raistoria, a cura di Massimo Bernardini
Settembre 1943 – Febbraio 1947: il calvario degli italiani di Istria e Dalmazia, uccisi a migliaia dalle truppe comuniste di Tito nelle cavità carsiche: le foibe. Una tragedia ripercorsa, nel Giorno del ricordo” (10 febbraio), dal professor Raoul Pupo raccontando non solo la storia delle deportazioni e delle stragi, ma anche il dramma di centinaia di migliaia di esuli costretti a lasciare le terre dei propri padri.
Comincia tutto all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre: la penisola istriana finisce sotto il controllo del Movimento di Liberazione jugoslavo guidato da Tito.
In un mese le foibe si riempiono dei corpi di almeno 500 italiani. Diventeranno alcune migliaia al termine della seconda guerra mondiale, quando gli jugoslavi occupano la Venezia Giulia e cominciano le deportazioni. Nel 1947, poi, il Trattato di Pace di Parigi impone il passaggio di Zara, Fiume e di gran parte dell’Istria alla Jugoslavia. È l’inizio di un esodo doloroso per circa 300 mila italiani.

Su tutto, però, cala il silenzio. Fino agli anni ’90, con la caduta del Muro di Berlino e la crisi jugoslava. E, nel 2004, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi firma il decreto che istituisce “Il giorno del ricordo”.
Raoul Pupo , di Pierluigi Tiriticco. La puntata dedicata alle foibe è consultabile su:
http://www.raistoria.rai.it/articoli-programma-puntate/le-foibe/29203/default.aspx 
PS di aggiornamento. Puntata non più consultabile, ma altre informazioni presenti su:
https://www.raicultura.it/speciali/ilgiornodelricordo/

Sull’argomento riportiamo anche un’altra fonte di stampa
2 – IL TRENO DELLA VERGOGNA !!!
A Bologna il treno degli esuli fu preso a sassate
Era una fredda domenica, quella dei 16 febbraio dei ’47, quando da Pola s’imbarcò con i sacchi, le pentole, le ultime lenzuola e un piccolo tricolore il quarto convoglio marittimo di esuli. Qualcuno aveva voluto portare con sé le ossa dei morti. Tutti avevano gli occhi rivolti alla città che sempre più rimpiccioliva. “Era come voler trattenere dentro l’incomparabile visione della nostra cittadina. Nessuno poteva immaginare quello che ci attendeva in madrepatria”.
A ricordarlo è uno di quei profughi, Lino Vivoda, allora quindicenne, che s’era imbarcato con i genitori sul piroscafo “Toscana“. Una delle tante storie di addio a una terra amata e cancellata per sempre vissuta da chi, a guerra finita, scelse l’esilio per continuare a sentirsi italiano.

Ad Ancona l’impatto fu tremendo. C’era un cordone dell’esercito a proteggerci e tanta gente che scendeva dalla parte alta della città. Noi, dal ponte della nave, agitavamo le mani in segno di saluto, con le bandiere al collo, anche perché faceva freddo, nevicava. E loro rispondevano col pugno chiuso“. Possibile che nessuno la pensasse diversamente. che non sentisse fratelli quei “veneti di la de mar”? Uno episodio, toccante ci fu. “Da quella folla vennero fuori in tre, due con la fisarmonica, e cominciarono a cantare vecchie canzoni istriane. Erano esuli pure loro. Una scena commovente che un po’ ci rincuorò. Anche chi ci insultava per un po’ smise.

Da lì partimmo con un lungo treno di vagoni merci la sera di lunedì 17 febbraio, sdraiati sulla paglia, attraverso l’Italia semisepolta dalla neve. Dopo innumerevoli soste in stazioncine secondarie arrivammo a Bologna. Era martedì, poco dopo mezzogiorno. La Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato un pasto caldo, atteso soprattutto dai bambini e dai più anziani”. Ma dai microfoni “rossi” una voce gridò: “Se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la stazione”. Poco prima il convoglio, che i ferrovieri chiamavano il “treno dei fascisti”, era stato preso a sassate da un gruppo di giovanissimi che sventolavano le bandiere con la falce e il martello. Ci fu perfino chi, per eccesso di zelo, versò sui binari il latte destinato ai bambini già in grave stato di disidratazione.

Il treno scomparve nella nebbia con il suo carico di delusione e di fame: la meta finale sarebbe stata una caserma di La Spezia. I pasti della Poa nel frattempo vennero trasportati a Parma con automezzi dell’esercito e distribuiti dalle crocerossine. “Vi giungemmo a tarda sera, la gente potè rifocillarsi dopo 24 ore di viaggio. C’erano tanti poveri tra noi, ma per i comunisti i poveri non avevano neanche il diritto di essere poveri”. A inquadrare la drammatica vicenda del “treno della vergogna” in un contesto storico più ampio è Guido Rumici, goriziano, ricercatore di Storia ed economia regionale, autore di “Infoibati”, “Fratelli d’Istria” e “Istria cinquant’anni dopo il grande esodo” per i tipi di Mursia. “Si trattò di un episodio nel quale la solidarietà nazionale venne meno per l’ignoranza dei veri motivi che avevano causato l’esodo di un intero popolo. Partirono tutte le classi sociali, dagli operai ai contadini, dai commercianti agli artigiani, dagli impiegati ai dirigenti. Un’intera popolazione lasciò le proprie case e i propri paesi, indipendentemente dal ceto e dalla colorazione politica dei singoli, per questo dico che è del tutto sbagliata e fuori luogo l’accusa indiscriminata fatta agli esuli di essere fuggiti dall’Istria e da Fiume perché troppo coinvolti con il fascismo.

C’era chi istigava all’odio anche dalle colonne dei giornali. “Tommaso Giglio che allora scriveva per l’edizione milanese dell’Unità e che poi diresse l’Espresso, in quei giorni firmò tre articoli . In uno titolò “Chissà dove finirà il treno dei fascisti?””. Bruno Saggini, fiumano, residente a Bologna, unica città italiana in cui, fino a pochi anni fa, non esisteva una sola via dedicata all’Istria e alla tragedia dell’esodo, sottolinea la forte valenza ideologica di episodi come quello dei treno. “Gli attivisti di sinistra non capivano che gli italiani abbandonavano in massa le loro terre d’Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire alla snazionalizzante dittatura slavocomunista. Chi aveva fatto questa scelta doveva per forza essere etichettato come fascista”.…

*Testo tratto da “Foibe-Martiri dimenticati” di Carla I. Cace, Matteo Signori.

3 – Figura significativa delle vittime infoibate è Norma Cossetto. V. “Foibe rosse. Vita di Norma Cossetto uccisa in Istria nel ’43” di Frediano Sessi
Norma Cossetto venne gettata ancora viva nella foiba di Villa Surani nella notte tra il 4 e il 5 ottobre del 1943. Aveva ventitré anni ed era iscritta al quarto anno di lettere e filosofia, all’Università di Padova. I suoi assassini, partigiani di Tito, che dopo il crollo del regime fascista tentano di prendere il potere in Istria non hanno pietà della sua giovinezza e innocenza e, prima di ucciderla, la violentano brutalmente. ….”

Il treno degli esuli da Pola respinto a Bologna

 

** NDR. Per decenni il ricordo delle foibe e degli esuli istriani e dalmati è stato mantenuto vivo solo sulla stampa e pubblicistica di destra ed estrema destra, in ottica anticomunista; mentre la sinistra ne taceva o tentava di giustificare le foibe come rappresaglia antifascista.

*** Vedi anche https://it.wikipedia.org/wiki/Massacri_delle_foibe

Foto da wikipedia, al link sopraindicato

Ricerca di Magda Barbieri

Data prima pubblicazione 9 febbraio 2019