S. Giorgio di Piano e la Grande Guerra. Anna Fini

SAN GIORGIO DI PIANO NELLA GRANDE GUERRA
Ricerca storica di Anna Fini
All’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915 San Giorgio era un paese con 4826 abitanti ma in piena espansione: infatti la zona verde dei terragli, che cingeva il paese, era stata suddivisa in numerosi lotti ed era già iniziata la costruzione delle prime abitazioni; parte delle nuove vie e piazze erano state intitolate già dal 1911, in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, ai futuri territori italiani allora ancora in mano austriache.
Il paese non solo si stava ingrandendo ma si era abbellito col nuovo “acciottolato” nella via principale, col restauro di porta Ferrara e con la costruzione di nuove case per operai, abitazione dotate di “gabinetti”; inoltre, erano appena stati costruiti nuovi edifici per tutta la comunità quali il macello, un lavatoio pubblico ed un “fabbricato d’isolamento” per ricoverarvi le persone affette da malattie contagiose e dove era possibile usufruire del bagno pubblico.
Un acquedotto pubblico distribuiva l’acqua sia al lavatoio che alla popolazione attraverso 3 fontanelle poste lungo la via principale e da un anno a San Giorgio “il castello” aveva l’illuminazione elettrica, mentre alle frazioni era stata ceduta quella precedente a gas acetilene.
In un locale presso il municipio era stato aperto l’ufficio telefonico ed i collegamenti erano possibili con Bologna e con diversi comuni del circondario.
La vita sangiorgese non era però del tutto rosea in quanto forti preoccupazioni si ponevano sul fronte sanitario per il timore cagionato dalle ondate epidemiche di colera che periodicamente colpivano la popolazione: si curavano infezioni di tracoma infantile chiamando un luminare da Bologna, si vaccinava contro il vaiolo e la difterite, si disinfettavano i locali, si lavavano le strade e soprattutto si fecero spostare al di fuori del centro abitato stalle e porcili facendoli costruire con nuove norme sanitarie.

Altro motivo di preoccupazione consisteva nella forte disoccupazione di muratori e di operai che l’Amministrazione del comune cercò di arginare sia programmando lavori pubblici (che dovevano realizzarsi con mano d’opera locale) che sostenendo le famiglie bisognose inserendole nell’elenco dei poveri, così da consentire loro di usufruire dell’assistenza del medico condotto, di ricevere medicinali e generi alimentari di prima necessità e, in caso di ricovero in ospedale, di ottenere dal Comune il pagamento della retta di degenza.

I costi dell’assistenza sanitaria erano molto alti in tutta la nostra provincia e da un’indagine della Prefettura risultò che negli anni precedenti alla guerra le persone assistite a San Giorgio oscillavano tra il 27 ed il 31% della popolazione, una percentuale alla quale, negli anni del conflitto, si aggiunsero coloro che in tempo di pace non avrebbero avuto necessità della beneficenza sanitaria, come le famiglie dei richiamati alle armi.

L’Amministrazione Comunale che amministrò il nostro comune durante il periodo della prima guerra mondiale era stata eletta il 19 giugno 1914: tra le due liste in lizza, una socialista ed una clerico-moderata, si impose la seconda con uno scarto di soli 33 voti (590 contro i 557 ricevuti dai socialisti).

Nella seduta del Consiglio comunale del 5 agosto 1914 venne eletto Sindaco Gaetano Rossi ed a lui ed alla sua Giunta, in cui spicca l’Assessore Gaetano Tommasini, spettò il difficile compito di amministrare nel periodo bellico San Giorgio provvedendo alle varie necessità della popolazione.

Il Consiglio comunale di San Giorgio restò però al completo per breve tempo: infatti, già nel giugno del 1916, l’Amministrazione comunale comunicava alla Prefettura che dei 20 Consiglieri ben 4 (di cui un assessore) erano stati richiamati alle armi; essi non riuscirono ad essere presenti in Consiglio per tutto il periodo della guerra e la Prefettura dovette dare indicazioni per stabilire nuove regole ai fini del calcolo della maggioranza nelle votazioni.

Le voci contrarie alla guerra arrivarono anche a San Giorgio attraverso il partito di minoranza: dal marzo al maggio del 1915 la federazione provinciale socialista di Bologna fece in tutta la provincia una campagna contro la guerra; anche nella nostra piazza un comizio, tenuto da Genuzio Bentini, eletto deputato 2 anni prima proprio nella nostra circoscrizione elettorale, illustrava “ai lavoratori l’importanza della pace fra i popoli”.

Il 24 maggio 1915, a 10 mesi dall’inizio del conflitto l’Italia entrò in guerra.
Non conosciamo il numero esatto dei nostri concittadini che parteciparono alla prima guerra mondiale ma dalla consultazione dei fogli matricolari apprendiamo che i sangiorgesi che furono richiamati (in varie armi: cavalleria, fanteria,artiglieria da campagna e da montagna, artiglieria campale e artiglieria pesante, genio, automobilismo, reali carabinieri e sussistenza) appartenevano alle classi di nascita dal 1874 al 1900: la classe veterana aveva quindi 41 anni e la più giovane 18; per alcuni militari si trattò di un periodo molto lungo e continuativo, dato che alcuni soldati, nati nel 1892/93, furono chiamati alla leva militare nel 1913 e congedati soltanto a guerra finita nel 1919 e per alcuni di loro il destino volle che nel 1943 fossero poi nuovamente richiamati per pochi mesi alle armi per essere poi definitivamente congedati.

Le classi dei soldati più anziani furono richiamati per mobilitazione nel 1916, mentre le classi dei più giovani, chiamati dopo Caporetto, avevano appena 18 anni e diventarono famosi come i “ragazzi del ‘99” (ma furono chiamati anche i nati nei primi mesi del 1900); i sopravvissuti che avevano combattuto nel primo conflitto mondiale per almeno 6 mesi vennero nominati nel 1968, a 50 anni dalla fine della guerra, Cavalieri di Vittorio Veneto.

Al Sindaco, come capo dell’Amministrazione Comunale competevano le comunicazioni con i vari comandi militari: sono 282 le pratiche esistenti che riguardano richieste di licenza che i familiari presentavano al primo cittadino e, ottenuto il suo l’avvallo, venivano inviate ai vari comandi.

Le necessità che motivavano la richiesta di licenza erano molto varie: motivi gravi di salute di un familiare, inderogabili problemi lavorativi, la gestione economica delle piccole attività che richiedevano l’assoluta presenza del titolare, sostituire il padre fornaio ammalato, importanti lavori agricoli quali semina e raccolto o provvedere al gregge.

Anche i comandi militari avevano nel Sindaco il loro referente sia nelle risposte per le licenze, a volte non consentite dai regolamenti, sia nelle comunicazioni di soldati feriti, morti e dispersi che dal Sindaco dovevano poi essere comunicate ai familiari, con la raccomandazione di avvisare “con i modi dovuti ed i riguardi che il caso richiede”.

Dalla Ricerca in archivio comunale è emersa anche la corrispondenza inviata dalla Croce Rossa che, oltre all’impegno nei campi di battaglia, si era assunta il compito di visitare i campi di prigionia verificando la condizione dei detenuti e coordinando la corrispondenza e l’invio da parte dei familiari di generi di sostentamento, spesso difficili da reperire vista la scarsità dei generi alimentari dovuta al protrarsi della guerra.

Significativo è un telegramma inviato dalla Croce Rossa con la comunicazione che il sergente Vecchietti Ernesto era internato a Mathausen.

Tra i principali problemi che l’Amministrazione Comunale dovette affrontare un grande rilievo l’ebbero l’approvvigionamento alimentare, la relativa modalità di distribuzione, la quantità pro capite, ed i costi dei prodotti.

Dal marzo del 1916, su richiesta del Prefetto, si fissò il prezzo massimo del pane a cui seguì il calmiere per zucchero, riso, farina, carne, lardo, ventresca, strutto e latte. Questi prezzi venivano rivisti e deliberati settimanalmente per rimanere in sintonia con i prezzi di mercato e la Prefettura vigilava sui vari provvedimenti arrivando a rilevare, in più di una occasione, che i prezzi qui praticati erano superiori a quelli degli altri comuni.

L’approvvigionamento del grano a San Giorgio nel 1915 fu un problema relativo, ma l’Amministrazione aderì comunque al Consorzio Granario Provinciale di Bologna su suggerimento del Sindaco di Bologna Zanardi, rivolgendosi a tale ente nell’anno successivo per l’ acquisto di grano per l’alimentazione umana e granoturco per il bestiame.

Queste merci dovevano essere distribuite dai rivenditori del paese in modo limitato ed equo a tutta la popolazione ma, dato che tale regola non fu correttamente rispettata, all’inizio dell’anno agricolo 1917/18 il nostro Comune, come altri, si assunse l’incarico di approvvigionare direttamente tutta la popolazione civile: gli alimenti così distribuiti in un primo momento furono solo i cereali a cui seguirono la maggior parte dei generi alimentari di prima necessità ed il passo successivo fu l’istituzione dell’ufficio consumi e della tessera di famiglia, dunque il razionamento.

La ripartizione del grano era rigidamente fissata su due categorie, la prima composta da famiglie dei lavoratori della terra alle quali era destinato un maggior quantitativo, la seconda comprendente tutte le altre famiglie; le misure fissate erano scarse per tutti ed in modo particolare per i lavoratori di “fatica” come muratori e fabbri che avevano necessità di più calorie ed il Sindaco cercò di sopperire a questo problema facendo varie economie e dettando regole per la spigolatura dei campi al fine di recuperare anche il poco grano rimasto nei campi dopo la mietitura.

La necessità di suddividere rigidamente il frumento incontrò un limite nella gestione dei profughi, inizialmente stimati in 40 famiglie per un totale di 123 persone (provenienti dalle zone di guerra di Belluno, Treviso e Venezia) ma successivamente, dopo l’esame delle singole posizioni ad opera dell’autorità, ridottisi al numero di 50 persone, equiparate agli altri cittadini sangiorgesi nella distribuzione del grano.

Un capitolo importante relativo ai bisogni della popolazione fu l’assistenza prestata alle famiglie dei richiamati, alla quale provvedano varie istituzioni governative, comunali e civiche: a San Giorgio fu creato un comitato di assistenza civile (composto da amministratori, ufficiale sanitario, arciprete e maestre delle scuole) che assieme al patronato scolastico creò un asilo per i figli dei richiamati nel quale un’ottantina di bambini (dai 2 anni e mezzo agli 8 anni) venivano accolti durante tutta la giornata e rifocillati con colazione, pranzo e merenda.

Nel corso di questi anni l’Amministrazione Comunale dovette affrontare un aggravio economico enorme: erano aumentate le spese per l’assistenza sanitaria, per l’assistenza ai civili, per il sostegno delle famiglie dei caduti e per l’educazione degli orfani ed a ciò si aggiungevano i maggiori costi dei generi di prima necessità (alimenti, combustibile ed oneri per il mantenimento delle strade).

Il maggior fabbisogno economico nel bilancio venne affrontato aumentando le tasse, dapprima intervenendo sul focatico (tassa di famiglia) e sulle tasse di esercizio e rivendita per poi passare, su suggerimento del Prefetto, ad una sovrattassa sul bestiame bovino diversificata a seconda se buoi o manzi, mucche o manze, vitelli o vitelle.

Durante gli anni della guerra San Giorgio ospitò accasermamenti di distaccamenti, e di compagnie militari per esercitazioni. La stessa Giunta comunale propose il nostro territorio alle autorità per ospitare tali strutture in quanto consapevole del carattere funzionale del nostro territorio per le esercitazioni dei presidi di Bologna e Ferrara e dei benefici economici che ne potevano derivare.

Occorre infatti ricordare che Bologna ed il suo circondario furono un punto di passaggio per le truppe mobilitate e per lo smistamento dei rifornimenti destinati al fronte, sede di servizi di supporto al conflitto, sede di ospedali, di case di rieducazione, luogo di accoglimento dei prigionieri e dei profughi dopo Caporetto, sede dell’intendenza generale dell’esercito, del servizio di smistamento postale degli uffici di censura da e per il fronte, dell’ufficio per le famiglie dei militari, di importanti stabilimenti di produzione dell’amministrazione militare quale il laboratorio pirotecnico, per le munizioni, e il carnificio di Casaralta.

L’accasermamento dei militari avvenne in locali messi a disposizione dal Municipio e dai grossi proprietari terrieri: furono requisiti i locali pubblici dell’asilo infantile, le soffitte delle scuole elementari, il teatro comunale, il locale d’isolamento ed il lavatoio pubblico.

Le varie divisioni utilizzavano i grandi ambienti per i dormitori delle truppe, per immagazzinare vari materiali, per le stalle dei cavalli (come l’essiccatoio del tabacco utilizzato al pian terreno come stalla ed il piano superiore come dormitorio), per il deposito delle biciclette e per i laboratori per le riparazioni.

Gli uffici delle varie compagnie erano nella zona centrale del paese, così come le camere nelle quali alloggiavano ufficiali e sott’ufficiali, ospitati nella locanda esistente o presso famiglie sangiorgesi che mettevano a loro disposizione una o più camere.

La convivenza con questi presidi militari ebbe alterne vicende: non mancarono le lamentele per alcuni comportamenti scorretti ma tutti i sangiorgesi parteciparono al dolore per uno di questi militari morto a San Giorgio.

Di questi militari è rimasta per anni una traccia in un fienile di Gherghenzano che rappresentava gli emisferi terrestri, dipinto che la tradizione popolare faceva risalire alla mano di un soldato di una guarnigione arrivata dopo Caporetto.

Il comando del presidio militare di San Giorgio fece affiggere un manifesto con le norme da tenere in caso d’incursioni aeree nemiche: il suono a martello delle campane avrebbe dato l’allarme e tutte le persone si sarebbero dovute rifugiare nelle case; ogni casa doveva lasciare aperti i portoni per permettere a chiunque di rifugiarvisi; i veicoli, sia a motore che trainati da animali, dovevano fermarsi al margine della strada e per tutto il tempo dell’allarme non era consentito circolare né sostare in strada o sotto i portici.

Sarebbe, inoltre, stata tolta l’illuminazione elettrica e dalle finestre, con i vetri aperti per evitare danni da spostamenti d’aria, non doveva filtrare nessuna luce.

Il cessato allarme sarebbe stato segnalato dal suono delle campane a stormo e da quel momento si poteva riprendere la quotidianità.

Fortunatamente non ci fu necessità di sperimentare queste indicazioni: infatti soltanto un aereo nemico giunse fino alla nostre zone ma, arrivato a Malalbergo, dovette ritornare indietro per mancanza di carburante.

Nell’ottobre del 1918 una forte epidemia influenzale colpì con forza devastante San Giorgio così come tutta l’Italia e l’Europa. Già dall’inizio di quell’anno il Prefetto aveva allertato Sindaci ed ufficiali sanitari perché si facesse attenzione ai casi di vaiolo e si rendesse obbligatoria la rivaccinazione per alcune categorie, invitando anche i parroci a ricordare, dall’altare, l’importanza della vaccinazione dei figli.

Dal settembre la Prefettura chiese informazioni sulle manifestazioni patologiche influenzali e si rispose che vi erano alcuni casi che nei giorni seguenti aumentarono e si moltiplicarono: alla fine di ottobre si contavano una cinquantina di nuovi ammalati al giorno ed aumentavano quelli gravi ai quali seguiva spesso la morte.

Il Sindaco invitò l’arciprete a sospendere l’annuncio di morte col suono della campane (la “passè” tradizionale) per evitare che il morale della popolazione si abbattesse ulteriormente o fosse presa dal panico e dalla Prefettura si diedero indicazioni per evitare, date le condizioni sanitarie, qualsiasi concentramento di persone nella ricorrenza dei defunti del 2 novembre.

Si deve segnalare che se da noi vi erano queste condizioni la vita non era migliore nei comuni vicini: il Prefetto informava infatti che i medici di Bentivoglio e Castello d’Argile si erano ammalati e chiedeva la disponibilità di un nostro medico per la sostituzione.

Il fronte sanitario era composto da 2 medici e da un infermiere della Croce Rossa, la quale aveva aperto un ospedale a Bentivoglio e mise a disposizione una ventina di letti per ospedalizzare i casi più gravi e le persone che, abitando lontano dal paese, erano difficilmente raggiungibili.

L’ufficiale sanitario stilò un bollettino giornaliero sull’andamento dell’epidemia e finalmente il 25 novembre ne relazionò al Sindaco la sua conclusione facendone il bilancio: in 2 mesi i colpiti dal morbo erano stati i 4/5 della popolazione e le vittime 67, in massima parte giovani.

La fine della guerra fu celebrata (con uno scostamento di data per la situazione sanitaria ) il 27 dicembre in una seduta del Consiglio comunale durante la quale la Giunta, ancora su proposta del Prefetto, comunicò l’intenzione di applicare presso il Municipio una lapide in ricordo dei caduti.

Una funzione religiosa solenne il 13 gennaio 1919 fu celebrata nella chiesa Arcipretale a suffragio dei caduti.

Le lapidi che attualmente vediamo a fianco dell’entrata del palazzo comunale furono inaugurate il 4 novembre 1919, giornata diventata Festa Nazionale, e da 100 anni ci ricordano, assieme al comunicato del generale Diaz, i luoghi delle battaglie ed i morti sangiorgesi nella guerra: i primi nomi indicati sono quelli di coloro che hanno ricevuto una medaglia al valor militare, seguiti dagli altri combattenti per ordine alfabetico con l’indicazione del relativo grado.

E’ doveroso raccontare che In questa occasione non tutti i sangiorgesi parteciparono alle celebrazioni volute dal Sindaco Gaetano Rossi: i membri della lega socialista non vollero celebrare una vittoria che rappresentava un lutto profondo perché i loro figli, fratelli e compagni di lavoro “non avrebbero voluto la guerra né avrebbero voluto essere chiamati eroi”; preferirono quindi ricordare i loro cari in una cerimonia qualche giorno dopo.

Il numero dei soldati sangiorgesi morti è 117. I militari che morirono sui campi di battaglia furono 46 e perirono nei luoghi ormai famosi nella storia nazionale: sul Carso, a Caporetto, sul Pasubio, sul monte Grappa, sul Piave, nelle montagne e altopiani dell’Isonzo, a Redipuglia e sulle montagne di Treviso.

Molti, 38 persone, morirono per malattie causate dalle condizioni difficilissime del fronte; altri 18 soldati furono dichiarati dispersi ed infine furono almeno i 13 i soldati morti in prigionia (ma alcuni riferimenti in archivio comunale sembrano deporre per un numero maggiore) nei campi in Austria, in Germania ed in Moldavia, alcuni di questi luoghi come Mathausen che tornarono famosi durante l’ultimo conflitto mondiale.

I nostri militari caduti erano in netta maggioranza giovanissimi: in 60 non superavano i 25 anni, 4 di loro erano ragazzi di 19 anni. L’età degli altri caduti va dai 26 anni ai 38; un caduto, appartenente alla classe più veterana, ha 44 anni nel 1918 quando muore all’ospedale militare di Bologna.

Data la giovane età, 69 caduti erano celibi ma altri avevano mogli e figli, in alcuni casi anche 5 e 6; la loro professione era legata in gran parte al mondo agricolo: un’ottantina erano coloni, braccianti e contadini mentre 12 erano i muratori ed altri appartenevano alle categorie dei calzolai, birrocciai, canapini, falegnami, sarti, studenti, fabbri operai, meccanici e custodi.

Sappiamo che tra i nostri caduti alcuni si sono distinti e sono stati decorati con medaglie al valor militare: in archivio è presente la documentazione di lodi solenni, lettere di gratitudine, encomi di gratitudine ma anche segnalazioni di episodi di auto-ferimento per un estremo sconforto.

Nel 1922 il Governo Italiano concesse il trasporto gratuito delle salme dei militari dal luogo di sepoltura provvisoria durante la guerra ai cimiteri dei paesi d’origine ed anche il nostro Comune si attivò per accoglierli ampliando il cimitero e costruendo un ricordo marmoreo per commemorali.

Il monumento, costituito da un basamento di mattoni con una colonna di marmo sormontata dalla statua in bronzo della vittoria alata (realizzata da Arturo Orsoni), fu posto all’ingresso del nostro cimitero.

L’inaugurazione ufficiale avvenne nel novembre del 1922 non più da parte dell’amministrazione socialista che lo aveva progettato a causa dell’avanzata fascista che aveva già preso il sopravvento.

Le salme arrivarono nei 2 anni successivi a San Giorgio in piccoli gruppi a seconda del luogo di provenienza, utilizzando la stessa linea ferroviaria attuale e che già nel 1921 aveva visto transitare, rallentando in prossimità del nostro paese, il convoglio del milite ignoto.

Non tutte le salme dei caduti Sangiorgesi si trovano qui, dato che per alcuni la famiglia non desiderò lo spostamento e per altri non fu consentito dalle leggi. Ancora una volta furono penalizzati i prigionieri: le loro salme, secondo la normativa del tempo, non potevano usufruire della possibilità data agli altri caduti poiché non erano considerati morti in combattimento né per ferite di guerra.

Nel 1940 la statua in bronzo fu inviata in fonderia e fusa per ricavare cannoni per la patria.

La toponomastica stradale sangiorgese ci ricorda nelle sue intitolazioni luoghi, persone e date collegate al momento storico descritto:

  • Piazza Trento Trieste, via Vittorio Veneto intitolate con delibera del Consiglio Comunale nell’aprile del 1911 quando questi territori erano ancora in mano austriache, quale simbolo del movimento per l’unità dell’Italia
  • Via Gaetano Beretta (1891- 1923) maggiore dell’esercito e valoroso combattente della prima guerra mondiale. Nell’edificio che fa angolo tra questa via e via XX Settembre vi è un ricordo marmoreo di un altro caduto sangiorgese: Giuseppe Bricola (1892-1916) tenente degli alpini e medaglia d’argento alla memoria.
  • Via IV Novembre in ricordo dell’entrata in vigore dell’armistizio, giornata che per convenzione italiana si fa coincidere con la fine della prima guerra mondiale
  • Via Gaetano Rossi ( 1880-1923) amministratore comunale di San Giorgio di Piano e Sindaco durante il primo conflitto mondiale.

DIDASCALIE FOTO

1- S. Giorgio di Piano, Piazza Indipendenza con Torresotto, in cartolina di inizio ‘900 a colori

2 – S. Giorgio, centro storico, in altra cartolina di inizio ‘900

3 – Manifesto del Partito socialista per intervento di Genunzio Bentini contro la guerra

4- Telegramma della Croce Rossa che comunicava  la presenza di un militare sangiorgese in campo di prigionia a Mathausen

5 – Comunicazione dell’Esercito per requisizione del Teatro di S. Giorgio

6 – Casolare di Gherghenzano con disegno degli emisferi opera di militari qui ospitati

7 – Pagina del diario sanitario del dottor Olderico Rubini con resoconto per epidemia  influenza “spagnola”

8 – Lapide con i nomi dei caduti sangiorgesi, posta nell’atrio del Municipio

9-  Monumento ai caduti sangiorgesi posto  nel viale del cimitero, con vittoria alata.

FONTI
– Archivio Storico del comune di San Giorgio di Piano,
– Museo civico del Risorgimento di Bologna – Caduti della grande guerra di Bologna e provincia
– “Uomini, lotte e altre cose “ di Luigi Arbizzani

Anna Fini autrice della ricerca

P.S.

  Volantino   diffuso nel maggio 2009  in occasione di una iniziativa di informazione storica sulla situazione di S. Giorgio di Piano durante la Grande Guerra. Iniziativa promossa dal Comune di S. Giorgio e dal Gruppo di Studi Pianura del Reno, articolata in due serate e corredata da una ricca mostra  fotografica curata dalla nostra socia e consigliera sangiorgese Anna Fini, studiosa della storia locale e autrice della ricerca.

** vedi nella Galleria fotografica le foto dell’iniziativahttps://get.google.com/albumarchive/101640191564179251531/album/AF1QipNDa0JbV6tHhPNLM_D4_h29yftCm2U8Yvr0eBpb