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1796
| 1953 - Il modello industriale bolognese: una metamorfosi dalla
tradizione agricola all’industria meccanica
*** Per proseguire attraverso
testi, video, immagini e documenti rari , vedi
https://www.storiaememoriadibologna.it/il-modello-industriale-bolognese-una-metamorfosi-d-1312-evento
In particolare si segnalano i
video dedicati ai seguenti temi:
-
Bologna nei primi anni di governo Napoleonico
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Ragioni delle insorgenze antinapoleoniche
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Bologna nella Restaurazione
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La stampa bolognese nell'età della Restaurazione
-
Circoli e salotti femminili
-
Bologna post unitaria
-
Quadro socio politico della Bologna post unitaria nel periodo
1859-1900.
-
L'economia bolognese dall'unità alla grande crisi agraria - 1859 |
1880
-
Il Piano regolatore
-
Il panorama amministrativo bolognese
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La Città Rossa nella Grande Guerra
-
Celebrazione del centenario della Cassa di Risparmio di Bologna
-
I grandi affittuari terrieri e arretratezza dell'industria
bolognese
-
La società Operaia e il Mutualismo
-
1914 - 1918 | I negozi di Zanardi
-
L'entrata in Guerra e il forno del pane
La
Scheda storica è articolata nei capitoli
1.
Una
base agricola e artigianale
2.
Alle origini dell’industria meccanica
3.
Un’unificazione politica
4.
Una prima dinamica industriale
5.
La motocicletta: nuovo cuore dell’industria bolognese
6.
Alle origini del “miracolo economico” bolognese
Pubblichiamo
qui alcuni stralci del testo storico
1.
Una base agricola e artigianale
All’indomani del Congresso
di Vienna, con il quale si chiudeva la stagione napoleonica e si
sanciva il ritorno all’ordine restaurato, la situazione economica
di Bologna era in una fase di passaggio. L’industria bolognese
aveva conosciuto un rapido e rigoglioso sviluppo economico tra i
secoli XII e XV, con la città centro degli scambi, della produzione
industriale, della vita culturale e la campagna principale
produttrice di materie prime e di generi di sussistenza. Le due
colture principali, base di un’arte e di una relativa produzione
industriale, erano la seta e la canapa. L’industria serica,
fiorente fra XV e XVII secolo, già alla fine del XVIII secolo
cominciò la sua decadenza, derivata principalmente dal periodo di
instabilità causato dalla rivoluzione francese e dalle successive
guerre napoleoniche, che determinarono un calo delle esportazioni. A
ciò si aggiunse la crescente concorrenza straniera: in vari paesi,
primi fra tutti la Francia e la Svizzera, si era sviluppata una
produzione di veli meno costosa di quella bolognese. «In Bologna –
afferma Luigi Dal Pane – si sono affermate fino dal Medio Evo,
specie nel ramo serico, le prime forme dell’industria capitalistica
con lo sviluppo dell’industria a domicilio e con la riunione di un
certo numero di operai nei così detti filatogli. Prima ancora si
erano avuti nella campagna bolognese quei grandi rivolgimenti, che
avevano spezzato i vincoli feudali». Nel passaggio alla forma tipica
della grande fabbrica capitalistica – aggiunge Dal Pane –
importante fu la presenza di un mercato «capace di determinare, con
la [sua] accresciuta domanda, una spinta decisiva alle invenzioni nel
campo tecnico e alle trasformazioni delle forme di produzione».
Nella prima metà dell’Ottocento il quadro economico di Bologna
presentava un forte frazionamento dell’attività produttiva e un
mercato limitato all’area locale. Nel periodo napoleonico e durante
la Restaurazione un terzo dei bolognesi era occupato nel settore dei
servizi (domestici, facchini, cocchieri, stallieri, governanti, ecc.)
e prestava la propria opera al servizio di un ristretto numero di
proprietari terrieri (nobili ed ecclesiastici). La restante parte
della popolazione si divideva tra operai, artigiani, imprenditori,
professionisti, impiegati e commercianti. Numerosi erano inoltre i
bisognosi e i mendicanti. L’Almanacco del Dipartimento del Reno del
1808 riporta l’elenco delle principali fabbriche e case di
commercio del Dipartimento, consentendo di ricavare un quadro
generale della struttura economica di Bologna. Le principali attività
erano: “Argentieri, Banchieri, Cappelli, Carta, Stamperie, Fonderia
di caratteri, Librerie venali, Cera, Cioccolata, Corami e
pelletterie, Giargioli, tele, cordami, Olio e sapone, Ottonerie,
Pannine, Piombi, Rosoli e acquavite, Sete, bavelle e veli, Tele
cerate, Terraglie, Vetri”. Fatta eccezione per le manifatture
tessili, le altre industrie mantenevano un carattere limitatamente
locale. Nella campagna prevaleva l’allevamento dei bachi da seta,
controllato dai proprietari terrieri. Nella città era invece
concentrato il ciclo di lavoro che, se per la maggior parte delle sue
fasi aveva luogo in edifici appositamente attrezzati, dove affluivano
operai e maestranze, per la tessitura assumeva al contrario una
distribuzione di carattere domiciliare, sia urbana sia rurale. Entro
il primo decennio del XIX secolo, nello Stato pontificio, vennero
abolite le corporazioni, il cui ricordo rimase unicamente in alcuni
toponimi cittadini. Per gli anni successivi il quadro dell’attività
professionale si ottiene dall’analisi dei registri della Camera di
Commercio, da cui risulta una predominanza delle attività rivolte al
fabbisogno giornaliero: fornai, lardaioli, merciai e beccari, mentre
nel ramo tessile vi era una prevalenza di “gargiolari”, impiegati
nella lavorazione della canapa. Notevoli capitali erano poi impiegati
nella lavorazione e commercio di cuoi e pellami, in quella del ferro
e dei saponi e anche nel commercio delle stoffe. Tuttavia l’elemento
di maggiore spicco ……….
6. Alle origini del “miracolo economico” bolognese
Alla fine del secondo conflitto mondiale l’industria bolognese dovette fronteggiare un periodo di crisi relativa dovuta in parte alle distruzioni causate dai bombardamenti, ma soprattutto a un calo della domanda da addebitarsi in massima parte alla riduzione delle commesse pubbliche e militari. Il censimento industriale del 1951 evidenziava un calo nel numero delle aziende (quasi 3000 in meno) e una diminuzione in quello degli occupati di 4000 unità. A partire però già dall’inizio degli anni Cinquanta Bologna visse un particolare “boom economico”, che presentò caratteristiche differenti da quello nazionale. Uno dei principali elementi che caratterizzarono la capacità di ripresa dell’industria bolognese fu la decisione dei principali settori industriali di puntare non tanto sulla creazione di grandi fabbriche, quanto sulla “flessibilità e specializzazione in piccole e medie aziende”. Riprendendo un modello introdotto negli anni Trenta, i grandi industriali bolognesi scelsero di ristrutturare le proprie aziende e “decentrare” la produzione, continuando così a garantire una forte specializzazione che sembrava quasi assumere le caratteristiche di un artigianato altamente specializzato. Una “specializzazione flessibile”, costituita da “un tessuto di numerose piccole e medie imprese, modernamente attrezzate, dedicate a produzioni specializzate di beni di piccola serie o tendenzialmente personalizzati, di alta qualità ed accuratezza di lavorazione, e con una grande flessibilità di orientamento produttivo e di organizzazione del lavoro”. Questo sistema, che rimase inalterato per i decenni successivi, ha permesso di definire il bolognese come un “grande distretto policentrico, attraversato da un fittissimo reticolo di legami verticali e orizzontali nella produzione”. I settori primari di questo sistema restarono di fatto quelli dei decenni precedenti, con una maggiore diversificazione dei prodotti. A fare da guida restava l’industria meccanica, in particolare il packaging e la motoristica a cui si aggiunsero anche l’elettromeccanica e le macchine utensili. In calo, pur rimanendo presente, risultò invece l’industria alimentare, mentre crebbe ad esempio il settore calzaturiero. Il settore motoristico fu sicuramente quello che fece da traino al “miracolo economico” bolognese degli anni Cinquanta. Complice un’ormai solida tradizione e una “moda” sportiva, alimentata dalle corse trasmesse ormai anche attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, le commesse per le moto bolognesi aumentarono. Accanto alle ditte tradizionali, come la Moto Morini, che seppero ancora una volta riadattare la produzione all’indomani della guerra, se ne aggiunsero altre, come la Malaguti e la Italjet. Seguendo una tradizione ormai consolidata la maggior parte di esse sorgevano spesso a grazie all’intraprendenza e all’abilità di artigiani specializzati, che avevano lavorato per grandi aziende oppure trasformavano la loro conoscenza in nuova progettualità. Un caso speciale fu rappresentato dalla Ducati che per superare la crisi dell’immediato dopoguerra decise di diversificare la sua produzione e di sviluppare il settore motori. Cominciò nel 1946, con la realizzazione, su brevetto della torinese SIATA, del Cucciolo, un motore da applicare al telaio delle biciclette, per ampliare progressivamente la produzione…...
Elena Musiani
Testo tratto da "La Ruota e l’Incudine la memoria dell’Industria Meccanica bolognese in Certosa", Minerva, 2016
Scritto in Bologna | Storia. Locale e generaleinvia ad un amico | letto 586 volte
Inserito da redazione il Mar, 2018-08-07 16:23