Non
è nato a Castello d'Argile, né vi ha vissuto, quindi non può
essere annoverato tra i “protagonisti
del Risorgimento di casa nostra”
elencati in altro apposito articolo. Ma merita di essere ricordato in
quanto fu tra i tanti protagonisti del
Risorgimento nazionale, soldati semplici o graduati, misconosciuti o
non noti alle cronache e alla storia, anche se fautori attivi delle
azioni belliche che portarono all'Unità d'Italia.
E comunque un legame di Sante Demarchi con Castello d'Argile c'è, in
quanto nonno materno del dottor Vittorio Rubini, che è stato per 37 anni (dal 1930 al 1967) medico condotto del paese, dove risiedono tuttora una sua figlia e
vari nipoti, quindi da lui discendenti di quarta o quinta
generazione.
Sante Demarchi nacque a Genova l'11 luglio 1828 e gli fu imposto il
nome del nonno, che era stato Capitano combattente nelle armate
napoleoniche, agli ordini del generale Massena, distinguendosi in
varie battaglie contro gli austriaci e sopravvivendo a varie e gravi
ferite.
La
vocazione militare di Sante junior non emerse subito, pur
dilettandosi da giovanetto nel “maneggio
delle armi”,
come d'uso per i maschi della borghesia dell'Ottocento. Dai
genitori fu anzi indirizzato allo studio della scultura, finchè non
scoppiò la 1a Guerra di Indipendenza, nel 1848, e, appena ventenne,
fu arruolato nel 16°
Fanteria Brigata Savona.
L'anno seguente, combattè a Novara,
rimanendo ferito al polpaccio sinistro durante una battaglia in
difesa della Bicocca,
il 23 marzo 1849.
Ormai inserito nella vita militare, fu promosso sottotenente il 1°
gennaio 1859, percorrendo poi rapidamente gli altri gradi fino a
che fu promosso Maggiore nel 1874, sostenendo gli esami di idoneità
in Roma, la capitale ormai liberata dal millenario dominio
pontificio.
Nel frattempo ebbe modo di dare il suo contributo a tutte le
battaglie risorgimentali.
“Nella
gloriosa campagna del 1859
- scrisse nel suo libricino di memorie (1) – ho
combattuto a Casale, a Borgo Vercelli, a Palestro ove la bandiera del
mio Reggimento pel combattimento del 30 maggio fu fregiata della
medaglia al valor militare. Presi parte alla battaglia di S. Martino
ed ebbi gli encomi del generale Cialdini per l'impianto da me
improvvisato sulla destra del lago di Garda di un ospedale da campo”.
“La
4a divisione cui apparteneva -
racconta ancora Sante Demarchi - venne
destinata ad occupare le 4 Legazioni ed il 23 marzo 1860 entrò in
Bologna. Il 2 settembre poi passava la frontiera pontificia, ed io
fui presente all'espugnazione della fortezza di Pesaro, presi parte
attiva alla battaglia di Castelfidardo ed all'assedio di Ancona.
Passato il Tronto trovammo Isernia in fiamme e saccheggiata dai
rivoltosi; l'avanguardia cui apparteneva unitamente alla cavalleria
comandata dal generale Ruffini, la ridusse presto in nostro possesso;
facemmo prigionieri tutti i ribelli compreso il generale comandante.
Il mio battaglione fu incaricato di ristabilire l'ordine, e tre
giorni dopo venne destinato a scorta a S. M. Vittorio Emanuale”.
Il
racconto di Demarchi prosegue ricordando gli impegni successivi,
dalla partecipazione all'assedio
di Gaeta alla
lotta “contro il
brigantaggio”.
“Il
29 ottobre il mio battaglione riaggregato al reggimento combattè al
passaggio del Garigliano, e rimase quindi all'assedio di Gaeta fino
alla sua resa il 18 febbraio 1861.
Durante
l'assedio stesso un giorno del gennaio mi trovai colla compagnia, che
comandavo in assenza del capitano, agli avamposti e respinsi il
nemico che protetto dai cannoni della fortezza tentava una sortita;
per questo fatto fui decorato della medaglia di bronzo.
Il 1° gennaio
1862 rientrato il reggimento in Bologna fui promosso capitano della
14a compagnia ; ed il 1° maggio dello stesso anno partii col
battaglione per Napoli e quindi per piedimonte d'Alife contro il
brigantaggio”.
Segue quindi la descrizione di alcuni episodi di quel tormentato
periodo postunitario che impegnò l'esercito regolare per debellare
nel Sud Italia le bande di ribelli o briganti che non
riconoscevano il nuovo Stato e si battevano per un ritorno al regime
borbonico o ecclesiastico.
La vicenda personale di Demarchi fu quindi ancora immersa nella
vicenda nazionale .
“”Nell'agosto
fu distaccato (il
suo battaglione, ndr)
ad Aversa coi pieni poteri, ove in un mese esegui il disarmo e
arrestai molti facinorosi, ed allora fui mandato colla stessa
missione a Maddaloni, a S. Maria di Capua ove espletai il mandato con
soddisfazione del generale Rei di Villarey comandante la divisione di
Caserta; finalmente fui mandato colla compagnia a S. Agata dei Goti
contro la banda brigantesca dei fratelli Sagalla che contava più di
400 uomini audaci e ben armati.
S.E. Il generale Lamarmora aveva proibito assolutamente di attaccare questa banda senza il concorso di altri distaccamenti; ma io il mattino del 2 ottobre avendo scorto sulla cresta del monte Taburro un piccolo posto di sette briganti che avevano tratto in ostaggio un proprietario, con una rapida marcia li sorpresi, ed ucciso uno di essi, e fugati gli altri riuscii a liberare il prigioniero; tra i fuggiaschi riuscimmo a catturare un ferito che feci tosto fucilare. Per questo fatto liberai la città dall'incubo dei malandrini ed essa per gratitudine mi nominava suo cittadino onorario”.
L'anno
seguente, nel maggio 1863, Demarchi fu destinato a Salopaca
di
dove “sloggiò
in breve tempo le bande che vi scorazzavano”.
Di quel periodo ricorda un episodio che gli piaceva raccontare a
figli e nipoti. Il giorno 21 ottobre ricevette una circolare dal
Gran Comando che ordinava perlustrazioni in ricerca del sergente
Paolo Albonico del 59° fanteria che si era allontanato dalla sua
pattuglia “per
un bisogno corporale”
presso il bosco
delle Fate
e si era poi smarrito. Sorpreso dai briganti, il sergente era stato
dapprima invitato ad unirsi alla banda. Ma di fronte al suo rifiuto
fu condannato a morte. I briganti legarono quindi le mani al
sergente e lo condussero sull'orlo di un burrone, qui gli inflissero
4 pugnalate nella regione del cuore e 2 sul dorso e lo spinsero nel
burrone, profondo 17 metri, credendolo morto.
Ma il sergente fu trattenuto da sterpi e sottobosco e rimase in
vita per tre giorni e due notti, pur immobilizzato dalle ferite e
senza cibo né acqua, finchè a poco a poco rinvenne e riuscì in
qualche modo a dissetarsi "con acqua paludosa" , medicarsi le ferite alla meglio e
sopravvivere fino al 1° novembre, festa d'Ognissanti e onomastico
di Sante Demarchi..
In quel giorno di festa era consuetudine nota che i briganti tornassero furtivamente alle proprie case per incontrare i famigliari, e Demarchi aveva quindi messo all'erta la sua compagnia, ordinando di fermare e portare al suo cospetto tutti gli uomini di passaggio. Tra questi furono fermati un pastore e suo figlio che portava un berretto da soldato, senza distintivi o numeri. Interrogato, l'uomo raccontò di aver trovato il berretto sull'orlo di un burrone nel Bosco delle Fate.
Demarchi,
pur essendo notte fonda, e mentre imperversava un temporale furioso,
decise di recarsi subito sul posto, insieme ai suoi soldati e con
il pastore come guida. Dopo due ore di cammino, giunto sull'orlo del
burrone, Demarchi cominciò a chiamare a gran voce in dialetto
piemontese il sergente scomparso: “Albonico
dove sei? Rispondi al tuo capitano!...”.
“Una
voce fioca che parve venire dagli abissi rispose: “Capitano... non
mi abbandoni!...”
. E il capitano infatti non lo abbandonò ma provvide al salvataggio
del ferito facendo calare un suo sergente con una scala di corda nel precipizio e
recuperandolo con un sedile improvvisato, con l'aiuto dei suoi
uomini.
“Sembrava
un Gesù, era uno scheletro insanguinato – racconta
ancora nelle sue Memorie Demarchi -
era rimasto in quello stato 10 giorni e 11 notti... se non fosse
stato recuperato l'Albonico sarebbe morto.... dopo il lunghissimo
digiuno, l'acqua che in quella notte a torrenti si precipitava
avrebbe finito per annegarlo”.
L'Albonico
fu poi portato a dorso di un somarino
nell'abitazione
di Demarchi, dove fu curato e assistito da lui e dalla moglie per 45
giorni. Durante la degenza il sergente ferito ricevette numerosi
doni in generi e denaro; il Generale Lamarmora gli inviò lire 300 e
la medaglia al valor militare per aver “resistito
alle lusinghe dei briganti e affrontato imperterrito la morte”.
Grato per le tante dimostrazioni di solidarietà ricevute, l'Albonico
alla fine della convalescenza, prima di partire per il suo paese,
donò 5 lire a tutti i soldati della compagnia, e “il
resto del suo peculio in elemosina ai poveri”.
Poco dopo “furono sorpresi in una grotta e catturati 5 briganti
che, condotti a Cerreto Sannita (sede di sottoprefettura, ndr),
confessarono di aver compiuto l'aggressione al sergente piemontese”.
La bella azione umanitaria del Demarchi fu vissuta in un contesto
di crudeltà e spietate rappresaglie e fucilazioni immediate da ambo
le parti nelle località citate e in particolare nel 1863, in un
clima da guerra tra le truppe regolari agli ordini del generale
Pallavicini e le bande rifugiate sui monti, che potevano
contare sull'appoggio di una parte delle popolazioni, carbonai,
pastori, contadini (e spesso anche dai preti locali) che li aiutavano, fungendo da informatori o spie
(secondo i punti di vista), segnalando ai briganti i movimenti delle
truppe. Particolarmente attive nel meridione, tra Campania, Molise, Basilicata e Puglia erano le bande di Carmine Crocco e di Giuseppe Schiavone (2).
La
vita militare del Demarchi proseguì poi a Rimini dove il suo
Battaglione fu destinato. Nel 1866 prese parte alla 3a
Compagnia
nel corpo dell'esercito comandato dal Generale
Cialdini
impegnato nella Terza guerra di indipendenza.
Infine,
non poteva mancare all'ultimo atto per completare l'unità
d'Italia: la presa di Roma nel 1870.
Demarchi racconta infatti che il 2 settembre, un dispaccio del
Gran Comando ordinava al suo battaglione di partire in tenuta di
guerra per destinazione ignota. Si passò per Ancona e per Terni,
si varcarono i confini pontifici allora poco distanti da Roma, fu
affrontata la prima scaramuccia a Civitavecchia e la mattina del 20
settembre
la sua brigata “si
disponeva per dare combattimento a Porta Pia. Alle 5 del mattino le
artiglierie aprirono il fuoco; alle 10 la breccia era aperta e il 39°
Reggimento di cui ero capitano alla14a entrava in Roma ed accampava
per onore in Campidoglio; la sua bandiera ferita da 7 colpi di
moschetto fu messa in mano alla statua di Marco Aurelio imperatore e
vi sventolò per 8 giorni!”.
Demarchi restò in servizio ancora per un decennio, impegnato di
nuovo contro il brigantaggio nel 1878 in provincia di Trapani.
Passato infine al distretto di Cremona, nel 1881 si ritirò dalla
vita militare per dedicarsi all'educazione dei figli.
Nel
1915, quando aveva 87 anni, Sante Demarchi considerò “una
fortuna”
aver udito di nuovo “per
la 5a volta, lo squillo di guerra per l'integrazione
dell'indipendenza nazionale”.
L'Italia era allora entrata nella Prima
guerra mondiale (scoppiata
l'anno prima ) e Demarchi scrisse “Possa
Dio conservarmi in vita fino al giorno della vittoria definitiva,
aspirazione suprema della mia vita”.
La guerra terminò il 4 novembre del 1918 con la vittoria
dell'Italia e dei suoi alleati e la liberazione del Trentino dal dominio austriaco. Ma
Demarchi non ebbe la consolazione di saperlo perchè morì, all'età
di 89 anni, pochi mesi prima, il 1 marzo 1918, a Bologna, dove risiedeva da tempo, in via Frassinago 24.
Questa è la storia raccontata da uno dei tanti protagonisti del
Risorgimento, vista con l'occhio e il sentimento di un militare di
stampo ottocentescoo con un alto senso dell'onore e della difesa
della Patria faticosamente unita a prezzo di tanti sacrifici e lotte.
“Memorie del Ten. Colonnello Comm. Sante Demarchi”. Tipografia Paolo Cuppini. Bologna 1917.
“L'episodio della grotta “delle Fate” a Pietraroja”, di Luisa Sangiuolo, da “Il Brigantaggio nella provincia di Benevento 1860-1880”. De Martino. Benevento 1975.
* La vicenda del sergente Paolo Albonico è citata anche, con altri particolari, nel libro di Massimo Lunardelli "Guardie e ladri. L'Unità d'Italia e la lotta al brigantaggio". Ed. Blu. Torino 2010 (pag. 7/ 118-120)
** Si ringrazia la famiglia di Carla Rubini Melotti per la disponibilità di foto, informazioni e documenti che hanno consentito la ricostruzione di questa storia
Magda Barbieri
Scritto in Articoli su Risorgimentoinvia ad un amico | letto 1919 volte
Inserito da redazione il Gio, 2014-06-26 07:04