Mario Mondadori e la
campagna
Articolo
di Maurizio Goldoni,
pubblicato
su Piazza Verdi ,
Finale Emilia novembre
2013
Mario Mondadori se n’è
andato. Dopo aver raccolto per anni le testimonianze di una civiltà
contadina dalla quale avremmo ancora molto da imparare, dopo aver
girato col suo furgoncino per le piazze a portare in giro le
testimonianze di un passato ormai quasi remoto – attrezzi agricoli,
utensili, fotografie – è tornato alla terra che ha sempre
celebrato.
Ho avuto modo di frequentarlo per lavoro, dato che mi ha
commissionato molti servizi, tutti riguardanti quella che era
diventata una passione intensissima. Aveva sempre fretta, gli veniva
un’idea e la voleva veder realizzata subito, ma quando gli facevo
notare che certi tempi erano indispensabili cercava di metter freno
all’impazienza. Posso dire che si fidava di me; ed era un ottimo
pagatore. Ex casaro, attività di cui parlava spesso con orgoglio, mi
fece fotografare il caseificio di Pavignane, ora chiuso, e una stalla
di Massa Finalese, poiché era l’ultima in funzione e presto
avrebbe chiuso l’attività.
Deciso, tenace fino alla testardaggine,
a volte addirittura mistico e piuttosto criptico nelle pagine che,
negli ultimi anni in cui era autosufficiente, faceva scrivere e
fotocopiare e che distribuiva a negozi, passanti, amministrazione
comunale, Mario ha sempre desiderato un posto dove esporre le sue
cose e far da cicerone, posto che non ha mai ottenuto; un errore
dell’amministrazione di allora. Di qui l’autopromozione, col suo
geniale furgoncino Fiat. Confido che tutto il materiale che ha
pazientemente raccolto negli anni, spesso più unico che raro, non
vada disperso.
Fin qui quello che avevo
scritto su Mario, e che non ho mandato subito a Piazza Verdi. Nel
frattempo altri due interventi lo hanno ricordato, e allora, per non
cestinare il mio ricordo di questo finalese, colgo l’occasione per
allargare appena un po’ il discorso.
La
passione di Mario Mondadori è diventata poco alla volta una forma di
vita – altri direbbero una mania – ma dietro ogni ossessione c’è
un desiderio, anche solo di cambiamento. Per molti “il ritorno alla
terra” è una pia intenzione, o magari un’utopia, anche se negli
ultimi anni sono numerose le pubblicazioni riguardanti la
“decrescita”, il “downshifting” e filosofie simili, e c’è
nell’aria il desiderio di un ritorno ad una vita meno frenetica,
più vicina alla terra, slegata per quanto possibile dal meccanismo
lavoro-acquisto.
Molti anni fa pubblicai un articolo intitolato
“Marocchini nella nebbia”, in cui mostravo il mio scetticismo
verso il recupero delle case di campagna per l’uso che avevano
originariamente, e dubitavo che volessimo veramente tornare ad una
vita dalla quale eravamo e siamo così orgogliosi di esserci
emancipati. Scrivevo: “Le case di campagna
di una volta vanno benissimo come produttrici di ricordi e di
aneddoti; tutti ne parlano con affetto, molti le rimpiangono, ma
nessuno di noi si adatta più agli spifferi, all’odore di fumo, al
cesso all’aperto, alle camere da letto ghiacciate; e al tepore del
“prete” tutti, checché ne dicano, preferiscono i termosifoni. Le
case rurali di un tempo sono scomparse, e nemmeno i ricchi possono
ricrearne l’atmosfera. Fino a qualche tempo fa, potevano farlo i
poveri, quelli che vivevano in quelle case perché non trovavano di
meglio”. Ed è quello che penso tuttora.
L’umanità continua imperterrita ad immaginare una scomparsa età
dell’oro, ne parla con nostalgia, periodicamente la vuole ricreare,
ma io sono con Emil Cioran nel ritenere che in realtà siamo sempre
vissuti in un’età del ferro, e l’Eden sia un luogo del
desiderio, del mito. Questo non toglie che un rapporto diverso con la
terra e con la Terra si possa e si debba
assolutamente avere, anche se credo che sia
pericolosamente tardi.
Alla fin fine, quel di cui abbiamo bisogno per
vivere è terra aria acqua cibo e un riparo, e le nostre campagne
davano e continuano a dare tutto questo, e ben lo sanno Paesi e
multinazionali che giocano d’anticipo comprando terreni e sorgenti
d’acqua in tutto il mondo, brevettando sementi, brevettando la
vita, mentre continuano a inculcare la
filosofia del consumo, del lavorare per produrre merci che sono per
gran parte inutili alla sopravvivenza ma anche al benessere. Io credo
che costoro siano molto difficili da battere, soprattutto perché
hanno connivenze, mezzi economici e di persuasione, e poi perché si
avvalgono della collaborazione di quasi tutti noi: non perché ci
siamo venduti al nemico, ma perché non lo consideriamo tale. Ma un
compromesso forse è possibile, e possiamo già iniziare, avendo in
mente un progetto e sforzandoci di realizzarlo. Vivere più sani è
possibile se sei tu a produrre quel che mangi, senza torturare e
malnutrire bovini, suini, polli, senza assumere veleni, direttamente
o indirettamente. Eccetera.
Quanto a me, da mesi batto
le campagne della nostra zona fotografando le costruzioni rurali,
aggiornandone appena posso l’archivio che già ne comprende
centinaia; è un’opera che se continuata negli anni diventerà
monumentale, alla quale mi accingo con grande passione, perché sento
che la terra delle nostre campagne appartiene alla parte più intima
e remota della mia vita, perché è dalla campagna che veniamo tutti,
anche se ce ne stiamo dimenticando. Siamo stati tutti contadini, e
tornare alla vita rurale potrà rivelarsi una salvezza per molti.
Nel frattempo continuo la
mia collezione di rovine, e registro che il quasi il cento per cento
delle corti di campagna se ne sta andando in malora. Come l’umanità
intera, del resto.
Maurizio Goldoni, Piazza Verdi , Finale Emilia novembre 2013
Segnalazione di Galileo Dallolio
Scritto in Biografie | Finale Emilia (MO)invia ad un amico | letto 1538 volte
Inserito da redazione il Gio, 2014-01-09 07:08