Riceviamo
e pubblichiamo da
Ricordi finalesi di
Galileo Dallolio - Ottobre 2012 per Piazza Verdi
www.bottegadellaformazione.it
E,
in allegato, una pagina
del numero di febbraio con note sui burdigòn e al véci
Nel
Sillabario della
memoria.Viaggio sentimentale nelle
parole amate,
Salani 2010, Federico Roncoroni spiega le ragioni della
scelta:‘scrivendole
ho costruito un fortino di parole in cui baraccarmi in caso di
bisogno. Perché sono convinto che le parole, se non possono salvarti
la vita tout court, ti salvano senz’altro la vita mentre sei vivo :
la vita che hai vissuto e che ami, la vita dei ricordi che hai
coltivato con tanta passione. E che a partire da un certo momento
diventa, se non la tua unica vita, la tua vita vera’
- Su
dòrmia
, scrive “con la
dormia..eravamo pronti persino a lasciarci fare le
tonsille…ripensando a quei giorni lontani a quelle paure infantili,
ho cercato la parola dormia nel dizionario, ma non l’ho trovata in
nessuno dei tanti che ho consultato. Era, dunque, una parola
dialettale, magari una parola appartenente solo al nostro piccolo
mondo.”
Nella
forma finalese di sdòrmia
, questa parola mi
ha fatto venire in
mente Nemore,
questo grande infermiere buono che sapeva trovare per tutti una
parola di conforto , con un sorriso indimenticabile e gesti sempre
amichevoli. Ricordo a l’usdàl
l’operazion
dla pendicite come una
parentesi gradevole, tra gente capace e bendisposta , e ricordo, come
fosse adesso, la caminada
e la simpatia ad Nemore quando entrava nella stanza.
- Farabulan
Un’amica
finalese, lettrice di Piazza Verdi , mi aveva chiesto un parere
sull’origine ad
farabulan.
L’origine non è in affabalutore (fabulatore
, farabulatore..)
come pensavo, ma nella parola parabolano.
‘I
parabolani erano in origine infermieri congregati poi come medici da
strapazzo, che badavano a farsi stimare con le loro chiacchere.
Ce n'è un bell'esempio in Moliere ne Il Malato immaginario’ in
Emilio
Garro, Parole al microscopio SEI ed.1948.In un altro vocabolario si
legge
‘Dal
greco paràbolos
che si espone, che arrischia, audace. Nome dato nel Codice Teodosiano
a coloro che curano i malati e soprattutto affetti da malattie
contagiose. Aggiunto di gladiatori che combattevano contro le bestie
feroci’
(Vocabolario etimologico di O.Pianigiani) . In Le
parole dell'alto Frignano
Battista Minghelli scrive ‘Con
questo termine tondo e gonfio come una voluta barocca vien bollato
chi, sotto i veli di belle parole e di altisonanti promesse, nasconde
la stoffa del gabbamondo.(..) Dal tardo latino parabolanus collegato
con parabolus (temerario) e, più indietro, col greco paràbolos.
(..) Il
Doni scriveva, forse rivolto all’Aretino :’le gran viltà
mostrando in tutto ascose/
di
quel parabolano unico e raro/che
l’età nostra non gli trova paro’.
- Silach
Quando
un amico mi ha ricordato sia la parola che il significato - il
segno che fa l’elastico stretto in vita- mi è venuto in mente la
colonia, al custum da
bagn e il segno che
lasciava quando era troppo stretto.
Poi
è apparso alla memoria al silach
prodotto dall’elastico
della fionda quando, ben tirato, si rompeva e lasciando come na
scuriada
su la facia. Vaca
ac mal!
Giovanni
Sola nel suo Le parole
della memoria
R616 a proposito ad
silach , scrive
“gonfiore provocato da un colpo violento, ecchimosi “
Nel
Vocabolario
etimologico comparato dei dialetti dell’Emilia Romagna
di E.Magri,M.L.Vianelli, R.Calzolari del Laboratorio di Ricerca
culturale di Pieve di Cento, Nicola Calabria Editore, si legge:
“Lunga
ferita da taglio o lacero contusa, aperta come le valve di un
baccello (siliqua
in latino significa baccello dei legumi), ma si sostiene anche che
possa derivare dal francese sillage
, scia o dal tedesco
schlagen
rompere” (la voce è
di Eugenio Magri)
Al
seguito di sillage
ho trovato sillon,
solco (tracer de sillon
tracciare dei solchi)
e
siliqua
in finalese è la
scurnecia.
Ecco
cusa vol dir al
dialett, un patrimonio
di parole e di significati che vivono sottotraccia e pronti a saltar
fora appena evocati.
- Brisa
Un’amica
mi ha chiesto ma d’
andova saltla fora
brisa? Zà, da dove
salta fuori? I Dizionari e gli studiosi ci danno una mano..
A cominciare dal
grande Ludovico Antonio Muratori.:
“Per
niente.
Mutinenses et nonnulli Italiae populi le
brise del pane
appellant fragmenta seu micas panis, quas Germani dicunt
Brosen…Bricia
vero Italicum.
Idest mica,
aeque mihi certum est descendere e Gallico bris,
unde efformatum briser,
frangere; et
debris, res
fracta”.
L.A.Muratori,
P.Gherardi, G.Crispi e altri Vocaboli
del nostro dialetto modanese,
Leo S.Olschki, 1984 a cura di Fabio Marri, Mauro Calzolari, Giuseppe
Trenti. A
proposito di brisa
, scrive il bolognese Alberto Menarini: ‘E’
noto che ogni parlata dispone di espressioni talmente esclusive, o
per lo meno tanto caratteristiche, da colpire l’immaginazione degli
ascoltatori estranei, per i quali tali espressioni assumono il valore
di connotazioni tipiche, di pittoreschi simboli della parlata stessa.
A tali espressioni i linguisti danno comunemente il nome di
scibboleth*,
che è tratto dalla Bibbia. (…)
Oggi
il vocabolo di scibboleth
si usa per indicare quelle parole e quelle frasi che sono tipiche di
determinate comunità e regioni,e va detto che anche il dialetto
bolognese ne vanta di assai pittoresche e colorite: talora anche
troppo.
Fra
le più note è quel brisa
che serve sia come secondo elemento di negazione
(per
es. Al n’è brisa
turnè non è tornato)
sia come elemento assoluto (per es. Brisa
vèira! Non è vero!,
Brisa andéri!
Non andarci!..(…)
Quanto
all’etimo, va detto che brisa
nel latino della Gallia, doveva essere
brisia, da un celtico
brisiare
rompere, spezzettare..Carlo Tagliavini precisò appunto che da quel
brisa
si ebbe l’emiliano
brisa, e da un
dinimitivo de brisia l’italiano briciola (bolognese brisla)
e a proposito di negazione del tutto analoghi nell’origine e
nell’impiego, egli citò i seguenti: francese ne
pas (dal latino
passus,
quindi nemmeno un
passo, affatto);
l’italiano mica
(e il lombardo minga),
che prima significò briciola
poi un
poco (dal latino mica
briciola di pane
, grano di sale);
il milanese bric
col bergamasco brica
e il genovese bricca,
significanti nulla
, niente (procedente
dalla fusione di brisia
con micca ;
nonché infine il lombardo nagòt
(dal latino ne gutta
neppure una goccia,
affatto
già risalente a Marziale) . A.Menarini,
Bologna dialettale.
Parole Frasi Modi
Etimologie, Tamari
1978
- *Scibboleth “Parola
o espressione che, per le sue particolari difficoltà di pronuncia
da
parte degli stranieri, è impiegata da una comunità come proprio
contrassegno linguistico. Il suo significato letterale è ‘spiga’
e’torrente’: essa fu usata dai Galaaditi per smascherare gli
Efraimiti che cercavano di oltrepassare il Giordano; ’
e
quando uno de’ fuggiaschi d’Efraim diceva ‘lasciatemi passare’ gli
uomini di Galaad (…) gli dicevano ‘Ebbene di’ Scibboleth’; e
quello diceva Sibboleth,
senza fare attenzione a pronunziare bene; allora
lo pigliavano e lo scannavano presso i guadi del Giordano” (Giudici,
12, 5-6). (…)
(E’
da notare che quasi tutte le comunità linguistiche hanno coniato i
loro scibboleth
, da quello dei siciliani (durante la guerra dei Vespri), agli
Olandesi, ai piemontesi ..)
Caratteristiche degli Scibboleth sono dunque: a) la presenza di foni ritenuti di articolazione particolarmente tipica e poco diffusa presso altre comunità; b) l’incontro di numerosi foni simili (scioglilingua), che rendono difficile una pronuncia rapida”. (Tullio Telmon, a pag. 672 In Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica diretto da Gian Luca Beccaria, Einaudi (1994-2004)
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Inserito da redazione il Lun, 2012-10-29 08:30