PAOLO
GALEATI
TRA LA POLITICA E L’ARTE TIPOGRAFICA
L’Imola
in cui nacque Paolo Galeati era una tipica cittadina della Romagna di meno di diecimila abitanti, con le case addensate sui due lati della via Emilia e chiuse nella cerchia intatta delle antiche mura, che tale doveva restare fino ai primordi del nostro secolo.
Fra la
popolazione si distinguevano numerosi nobili, i più facoltosi
dei quali possedevano un palazzo in città, e terreni con
villa, o almeno una casa padronale, nel contado; un clero ancora
numeroso nelle sue varie ramificazioni, e benestante, benché
le sue proprietà avessero subito ampie falcidie durante il
periodo napoleonico, a vantaggio soprattutto della classe nobiliare e
possidente; un ceto di mercanti, di curiali, di medici, di
proprietari terrieri non nobili, insomma, di persone esercitanti
libere professioni o impieghi, che godevano al pari dei nobili di un
certo grado di istruzione e di abilità non manuali, al di
sotto dei quali c’era il ceto più numeroso degli artigiani,
dalle gradazioni infinitesime, passandosi da chi stava vicino a
coloro, che oggi diremmo borghesi; agli operai, che spesso cadevano
nella condizione di disoccupati. Frequente era poi il caso di
proprietari terrieri che si dedicavano agli impieghi pubblici o alle
libere professioni o a qualche attività commerciale o
artigianale, per incrementare i propri insufficienti redditi agrari.
Tale era il caso di Ignazio Galeati, padre di Paolo, che unì all’attività agraria nel 1816 quella di tipografo, quando con il socio Giuseppe Benacci prese in affitto la tipografia del Seminario Vescovile, per poi acquistarla nel 1824. Ignazio tre anni dopo liquidò il socio, e ne divenne l’unico proprietario. Si è notato che Ignazio, sebbene attaccato alla religione e al Governo Pontificio, oltre agli scritti sanfedistici e ascetici, stampò inni e scritti di propaganda patriottica. Uomo alieno dall’attività politica, e dalle sue avventure, gli toccò vivere anni particolarmente agitati, soprattutto in Romagna, dove la passione politica trascendeva da una parte all’altra con facilità alle violenze più gravi. Si pensi al cardinale Rivarola e a mons. Invernizzi, alle congiure e alle cospirazioni carbonare, alle lotte senza fine, agli agguati reciproci di centurioni e carbonari, che funestavano le notti di città e borghi romagnoli. E ciò accadeva soprattutto negli anni di massima effervescenza rivoluzionaria, nel 1831 e successivi, in uno stillicidio interminabile di vendette sanguinose, da cui nessuno si sentiva sicuro. Ignazio Galeati, benpensante, voleva che il figlio Paolo, prossimo ai venti anni di età proprio quando l’agitazione liberale e patriottica minacciava di raggiungere uno dei gradi più alti dopo l’elezione di Pio IX a pontefice, voleva che il figlio Paolo non si compromettesse, entrando nel pericoloso giro della politica locale.
Infatti il giovane Galeati, mentre non nascondeva la sua
insoddisfazione nei confronti dei limiti che il padre poneva al suo
avvenire di tipografo pretendendo che lo contenesse entro le
ristrette cerchia di un mestiere, non nascondeva nemmeno le sue
propensioni politiche, comuni a quelle dei veterani del ’31, come
il conte Giorgio Barbato Tozzoni e dei giovani Giuseppe Scarabelli
Gommi Flaminj, Luigi Lolli, Pietro Pirazzoli, Anton Domenico
Gamberini e altri, con i quali tutti manteneva rapporti di amicizia e
comunanza di idee. Allora Ignazio, per allontanarlo da Imola si
decise ad accontentare una richiesta del figlio, che voleva da tempo
recarsi a Firenze per perfezionarsi nell’arte tipografica, e questi
si procurò una raccomandazione per Felice Le Monnier, che lo
accolse nella sua tipografia. A
Firenze, città politicamente più tranquilla, dove un
giovane di talento poteva trovare condizioni migliori per sviluppare
la sua cultura e, nel caso del Galeati, per conoscere vere e proprie
imprese editoriali, questi potè perfezionarsi nell’arte
tipografica, rassodare la sua cultura; ma nel tempo stesso entrò
in un più ampio ambiente liberale, a conformarvi le sue
convinzioni politiche e il loro fondamento spirituale.
La
data della sua partenza per Firenze fu nel 1848 quando, poco più
che ventenne, raggiunse la capitale del Granducato toscano dove di
giorno lavorava ed imparava l’arte tipografica presso l’officina
del Le Monnier e, per tre sere la settimana, si recava presso
l’abitazione di Piero Thouar per completare la propria formazione
letteraria ed erudita: qui raggiunse la piena maturità
politica, professionale ed artistica. Per mezzo di Thouar conobbe il
Gabinetto Vieusseux e gli insigni personaggi che ad esso facevano
parte direttamente o indirettamente, da Gino Capponi al Lambruschini,
ecc.
Fu
in quegli anni che sarebbe diventato neoguelfo, proprio quando la
stella di questo movimento politico era tramontata, come conseguenza
della catastrofe del ’48.
Alla
fine del 1851 fece ritorno ad Imola per lavorare nella stamperia del
padre, ove si cominciarono a notare alcuni significativi cambiamenti
dovuti proprio alla presenza in officina del giovane Galeati,
arricchito dall’esperienza fiorentina.
I
cambiamenti introdotti nella lavorazione del libro ci appaiono con
maggior evidenza nei frontespizi, ormai composti secondo il modo
classico o, come allora si diceva, bodoniano.
(Bodoni
Gianbattista 1740-1813. Tipografo ed editore attivo dal 1768 alla
stamperia reale di Parma, disegnò e realizzò nuovi
caratteri che influenzarono largamente l’arte tipografica europea)
Il
suo battesimo tipografico è invece legato ai due grossi volumi
su “Il sistema ipotecario” del giurista bolognese Clemente
Giovanardi, stampati nel 1854 e nel 1855. La mole dell’opera ed il
rigore formale posto nella sua esecuzione hanno consentito al Galeati
di mostrare sia la grande capacità produttiva della sua
officina, sia la propria abilità tecnica.
Nel
1856, in seguito alla morte del padre, rimase l’unico titolare
della stamperia.
Si
mostrò fin dai primi anni convinto della necessità di
tenere viva l’antica tradizione tipografica bodoniana con la
produzione di libri che nella loro semplicità mostrassero una
eleganza sconosciuta a gran parte delle pubblicazioni contemporanee,
che tradivano la fretta ed anche l’ansia di adeguarsi alle esigenze
di un mercato librario in espansione. Nel suo modesto stabilimento
imolese Paolo Galeati poteva invece considerarsi un privilegiato,
poiché poteva seguire con amore la nascita delle proprie
edizioni senza essere distratto dalle ansie e dalla aleatorietà
del più vasto mercato librario italiano.
Sposatosi
nel 1876, dopo due anni ricevette da Felice Le Monnier ed i suoi
azionisti Isidoro del Lungo e Bettino Ricasoli, la proposta di
abbandonare il suo tranquillo nido imolese per andare a dirigere in
Firenze lo stabilimento e la casa editrice dei Successori Le Monnier.
Ma Paolo Galeati distingueva nettamente la produzione libraria dalla
sua commercializzazione e ai primi del 1879 fece sapere che non era
più disponibile.
Rimase
così ad Imola alla guida del suo modesto stabilimento in
armonia con la convinzione che il privilegio di continuare a stampare
libri belli in piena autonomia fosse più facilmente accordato
a chi non si lanciava nell’editoria di grande consumo, ma,
sull’esempio ancora di Bodoni, puntava soprattutto sulle
committenze private di quanti desideravano, al di fuori di ogni
progetto commerciale, veder pubblicato un bel libro ed erano pronti a
pagare in anticipo le spese: proprio come aveva fatto il Carducci nel
1873 per le “Nuove Poesie”. Posto tra committenza ed editoria il
suo sogno di stampare un libro che fosse bello in se stesso senza
nulla che ne condizionasse la produzione, lo faceva inevitabilmente
optare per la prima. Ed a questa linea uniformò tutta la sua
attività.
Fu
così che tra gli anni Settanta ed Ottanta dell’Ottocento
dall’officina di Paolo Galeati uscirono libri che per la loro
nitidezza ed eleganza furono ovunque ammirati ed anche imitati: egli
con un po’ di compiacenza e con una buona dose di civetteria,
avrebbe desiderato nelle sue Memorie presentarsi al pubblico
come un “tipografo di provincia”, proprio perché nutriva
la ferma convinzione che i suoi libri nulla avevano di provinciale.
Memore
della lezione bodoniana, la stampa era prima di tutto un’arte. Egli
prendeva come punto di riferimento quanti in Italia, a partire da
Giuseppe Pomba, da Felice Le Monnier e da Gaspero Barbera, avevano
stampato edizioni nelle quali, in pieno secolo XIX, “rifulge
l’arte, rifulge il bello, rifulge l’armonia, l’eleganza, la
nitidezza”. Così egli parlò agli allievi
della scuola tipografica di Milano il 21 maggio 1899. Questo egli
aveva cercato di infondere nei suoi libri in cinquant’anni di
attività tipografica. Per spiegare poi a quei giovani allievi
come si costruiva un bel libro, disse loro che il miglior studio era
quello di osservare con attenzione le belle edizioni uscite dalle
tipografie più qualificate: “troverete che dall’accurata
esecuzione di tutte de più piccole parti di un libro e dei più
minuti accessori, si ottiene la nitidezza e l’eleganza; dalla buona
proporzione dei margini col sesto, dalla qualità della cara,
dalla razionale distribuzione dei caratteri, dalla correzione, dalla
nitida tiratura si ottiene l’armonia del libro; e se alla fine
saprete adornarlo di un bel frontespizio e di una bella legatura, Voi
avrete ottenuto, se non addirittura l’arte e il bello nel libro,
certamente un libro fatto con arte”. In queste parole sta racchiusa
tutta intera l’estetica di Paolo Galeati e del suo culto del libro
bello.
Dopo
questa stagione felice le committenze cittadine cominciarono però
a diradarsi per la presenza in Imola di altre tre tipografie, e
diventò sempre più difficile assicurarsi la stampa a
pagamento delle opere di eruditi e letterati della Romagna, delle
Marche e delle altre regioni italiane. Aveva rinunciato ad andare a
Firenze a dirigere uno dei primi stabilimenti d’Italia per potersi
dedicare in tutta tranquillità alla produzione di libri
eleganti e raffinati, ed ora gli veniva a mancare la stessa
possibilità di lavorare. L’unica strada percorribile per
trovare un po’ di serenità ed assicurare ai suoi figli un
futuro più che dignitoso, gli parve quella di unire il suo
stabilimento con quelli dei suoi concorrenti di Imola per aprire una
nuova tipografia cooperativa, in cui egli avrebbe tenuto la direzione
tecnica.
La cessione del suo stabilimento si dimostrò un buon
affare e nonostante ritenesse che gli errori compiuti dai suoi nuovi
soci non fossero pochi: sul piano finanziario non avevano raccolto un
numero adeguato di azioni; lo stabilimento era stato dislocato,
contro ogni logica, su tre piani; ed infine avevano aumentato le
paghe agli operai, ridotto la giornata lavorativa da dieci ad otto
ore ed avevano proscritto, nel rispetto del loro “codice
socialistico”, il lavoro a cottimo. Nonostante queste riserve,
l’anziano tipografo mostrò tuttavia di aderire con sincerità
alla nuova forma cooperativa dell’azienda; ed alla sua morte (1903) i soci
vollero unire per sempre il nome di Paolo Galeati alla Cooperativa
Tipografica Editrice di Imola.
Testo/Tesina di studio di Margherita Goretti di Pieve di Cento
Foto di torchio tipografico in metallo, conservato all'Istituto Aldini Valeriani di Bologna, (Dal volume "Atlante dei beni culturali dell'Emilia romagna" 4°vol. Fotografo Marco Ravenna. Ed Rolo Banca 1473. 1996)
Bibliografia per saperne di più:
R. Galli "L'arte della stampa in Imola". Imola 1901
R. Galli "Paolo Galeati e la tradizione bodoniana". Imola 1940
A. Grilli "Paolo Galeati e un sessantennio di vita cooperativa". Galeati Imola 1960
M. Baruzzi- R. Campioni- V. Martinoli "Un tipografo di provincia. Paolo Galeati e l'arte della stampa tra Otto e Novecento" Ed. Coop. Marabini 1991.
www.ibc.regione.emilia-romagna.it/soprintendenza/grafe/galeaticon.htm
"Archivio dei fondi di cultura dell'Otto-Novecento in Emilia Romagna. Tipografia Galeati"
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Inserito da redazione il Mer, 2006-01-25 08:40