E'
comprensibile e legittimo che i capi di una religione esaltino i
benefici spirituali che possono derivare a quanti ne rispettino i
contenuti. Ma non è del tutto corretto, anzi si potrebbe rilevarne
gli estremi di una “pubblicità
ingannevole”,
sostenere che solo
la fede religiosa è l'unico ed esclusivo mezzo per praticare il bene
e raggiungere la “salvezza” dell'uomo.
E'
vero che ci sono tanti esempi di persone che, animate dalla fede in
un Dio e in una religione, hanno condotto una vita esemplare e
generosa e fatto del bene all'umanità; e penso soprattutto , ma non
solo, ai tanti missionari cristiani che mettono in pratica i
fondamentali insegnamenti evangelici e spendono la propria vita per
alleviare le sofferenze altrui. Ma è anche vero che se
una fede religiosa non è accompagnata dalla ragione e dal senso di
giustizia e rispetto per gli altri, può produrre effetti tragici e
disastrosi.
Gli
esempi negativi in proposito abbondano, per tutte le religioni, nella
storia e pure nel presente; ci vorrebbe un libro solo per elencarli.
Le sanguinarie Crociate, le sofferenze, le torture e le condanne a
morte inflitte dalle “Sante
Inquisizioni”
per secoli, le guerre di religione tra cristiani, le “Guerre
sante”
degli islamici , gli omicidi e le stragi perpetrate dai fanatici di
varie fedi stanno lì a dimostrarlo, senza ombra di dubbio.
Bisogna
poi tenere presente che anche
gli atei, gli agnostici o quanti non si riconoscono in un sistema di
credenze religiose fissate in “libri sacri” e strutturate in
dogmi e riti, possono essere animati da un fede profonda in valori
umani e sociali che non sono meno apprezzabili e costruttivi di
quelli connessi alle religioni.
Anche
tra questi gli esempi non mancano. Basti pensare ai tanti eroi civili
del Risorgimento e della Resistenza, ai giudici onesti e agli uomini
delle forze dell'ordine che si sono sacrificati consapevolmente in
difesa della giustizia, penso a quanti operano con disinteresse,
intelligenza e forza morale per il progresso della scienza, per la
difesa della libertà e dei diritti umani, pur non essendo credenti o
praticanti nel senso letterale del termine.
Voglio
ricordare solo l'esempio che ci viene dai giudici Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino,
morti
a distanza di due mesi l'uno dall'altro, vittime della mafia che
avevano cercato di sconfiggere con le armi della legge e della
giustizia, accomunati
dallo stesso impegno etico civile pur conoscendo i rischi che
correvano. Non
andava a Messa il primo, ci andava il secondo.
Che
differenza di valori c'è tra l'uno e l'altro? Evidentemente si può
arrivare allo stesso risultato percorrendo strade intime diverse.
In
ultima analisi, ciò
che conta è la forza morale interiore di ogni uomo, quale
che sia il sistema di valori, religiosi o semplicemente civili, in
cui crede.
Non tutti riescono a trovare i valori cristiani, o i valori fondanti per la propria vita, o l'espressione della propria spiritualità, nelle genuflessioni e nei segni di croce, nelle processioni dietro una immagine o dietro prelati pomposamente e arcaicamente vestiti, nelle “ore di adorazione” davanti ad un tabernacolo, nello spargere di incensi, nell'ascolto ogni domenica di una “parola di Dio” identificata nelle lettere che S. Paolo scrisse quasi duemila anni fa ai Corinti e agli Efesini, nelle ripetizioni mnemoniche di preghiere, litanie e rosari ( mantra, o altro versetto “sacro” di altra religione ...). Chi trova conforto in queste pratiche, liberissimo deve essere, e buon pro gli faccia.
Ma il fatto che ormai solo il 15-30 % della popolazione, ufficialmente cattolica o cristiana, non le segua più, deve pur significare qualcosa. E quel 70-80% di un popolo, che pur si definisce cristiano ma non frequenta regolarmente le funzioni religiose, non deve essere tutto schiavo del demonio o costituito da persone prive di moralità, potenziali delinquenti o aspiranti nazisti.
Se è pur vero che la ragione non porta automaticamente alla verità; verità che va sempre cercata, ridefinita, perfezionata, come un traguardo che si sposta sempre in avanti, nemmeno la fede religiosa è sinonimo di verità, poichè si basa su affermazioni, tradizioni, consuetudini e dogmi che vogliono restare immutabili nel tempo, nonostante abbiano causato anche tanti effetti perversi o si siano rivelati per tanti aspetti superati e in contrasto con l'evolversi del pensiero, delle esigenze umane e col progresso della scienza e della conoscenza.
L'idea
di Dio che tutti noi ci portiamo dietro dall'infanzia, abitando in
Paesi con una cultura religiosa dominante o prevalente (cattolica, o protestante, o musulmana, o
ebraica, o induista, ecc..) ci viene dalla lettura, praticamente
imposta attraverso la catechizzazione infantile, delle rispettive “Sacre
scritture”.
Ma va ricordato che le tre grandi religioni monoteiste si basano
tutte su testi che non sono stati scritti direttamente e
personalmente dai profeti a cui si ispirano, Mosè,
Gesù, Maometto,
ma che riferiscono “verità
rivelate”,
cioè dichiarazioni attribuite a patriarchi o “profeti”,
misteriosamente scelti
da Dio come messaggeri della sua parola,
solo ad essi “rivelata”
e poi tramandata nei secoli dai loro seguaci, dapprima per via orale
e poi per iscritto. Questo assunto apre la porta a tanti
interrogativi e legittimi dubbi da parte di chi non si sente di
“accettare a scatola chiusa” queste presunte rivelazioni divine.
Intanto non è possibile avere la ragionevole certezza che i testi “sacri” giunti fino a noi, attraverso un viaggio bimillenario e tanti passaggi orali e scritti, e traduzioni da una lingua all'altra, siano la copia esatta di quelli originari dettati da profeti ed evangelizzatori. E' anzi certo che siano stati parzialmente ritoccati, con aggiunte o cancellazioni, volute dai compilatori per favorire determinate convinzioni, o capitate per errori di trascrizione, traduzione e interpretazione.
In ogni caso, anche se i libri della Bibbia, Vecchio e Nuovo testamento (e del Corano e altri testi "sacri") fossero davvero l'espressione esatta fino all'ultima virgola di quanto dichiarato dagli antichi profeti e messia, è lecito affermare che le “verità rivelate”, sono, per loro stessa natura, “verità relative”, frutto di convinzioni umane maturate dai compilatori di tanti secoli fa, rabbini, evangelisti, teologi, imam e califfi, santoni o guru, diverse a seconda dei luoghi e dei tempi. “Verità di fede” dunque, vere e valide per chi ci crede, per chi le accetta per convinzione o tradizione della famiglia e del luogo in cui è nato.
E la fede è sentimento soggettivo; il modo di vivere ed esprimere una fede varia da individuo a individuo, a seconda del suo bagaglio culturale, del suo carattere, della forza morale, della minore o maggior coerenza tra dire e fare. E ognuno dei credenti ha una sua idea di Dio, non esattamente uguale a quella degli altri. Spesso i capi religiosi rimproverano e accusano i non credenti, o diversamente credenti, di “relativismo” morale e ideale: ma è un'accusa ingiusta e impropria, perché si può affermare il contrario senza tema di smentita, osservando semplicemente quanto è accaduto e accade nel mondo, e cioè che: nulla è più “relativo” delle religioni.
Non possiamo ignorare infatti che da sempre ogni popolo della terra ha avuto una “ sua” religione, sue divinità, mitologie ed eroi leggendari, con credenze, regole, riti, culti, feste e divieti che venivano tramandati di generazione in generazione, e ai quali i singoli non potevano sottrarsi perché ne venivano educati fin da neonati ed erano di fatto costretti all'osservanza per tutta la vita, dalla culla alla tomba, dal contesto sociale, politico e religioso in cui vivevano. Ogni popolo era pertanto animato dalla convinzione che solo la propria religione era quella “vera”, con valore assoluto; e ogni pensiero o atto non conforme era considerato sacrilego e contro Dio, quindi punibile dagli uomini che detenevano il potere su questa terra e da Dio dopo la morte, in un ipotetico Inferno, o luogo di maledizione in un al di là comunque chiamato.
Non possiamo ignorare che, in un'
Europa pur già evoluta culturalmente come quella del 1500, quando si
trovò ad affrontare la “Riforma “ religiosa proposta da
Lutero, non si seppe far di meglio che impugnare le armi e
dilaniarsi in feroci guerre di religione tra cristiani cattolici e
cristiani protestanti. E per far cessare i bagni di sangue, si
trovò infine un accordo (pace di Augusta, 1555) sul principio del
“cuis regio eius religio” che tradotto letteralmente
significa “a ogni regione la sua religione” e, nella
sostanza, che ogni popolo avrebbe dovuto praticare la religione del
Principe o Re dello Stato in cui si trovava. E chi non l'accettava
poteva emigrare nello Stato con la religione che preferiva; scelta ovviamente molto onerosa. Non è quindi frutto di una vera libertà di scelta se un popolo, o gli abitanti di una nazione o di una regione, praticano, o si dichiarano credenti di una stessa religione.
Inoltre, la Bibbia ha avuto ed ha tante interpretazioni diverse e ha alimentato tante religioni e sette, spesso in sanguinaria competizione tra loro, e comunque con regole diverse per i fedeli e per gli stessi ministri del culto (si pensi ad esempio al celibato dei preti, imposto solo ai cattolici). Quella del cristianesimo è una galassia molto composita, a partire dai tre grandi filoni in cui si è divisa: cattolici, ortodossi e protestanti o “riformati”. Lungo sarebbe l'elenco dei gruppi religiosi, più o meno estesi, che dicono di ispirarsi alla Bibbia o anche al Vangelo. Non parliamo delle persone che dicono di trarre da essi la propria guida morale: ci si ritrova in compagnia con uomini onesti e pii, con capi di stato guerrafondai, con generosi benefattori e con feroci torturatori, con persone di cultura e altre di estrema ignoranza, e spesso anche con grandi bugiardi, delinquenti ed esaltati, e tanta superstizione. Se non è relativismo religioso questo.....
Si
può anche far rilevare che l'osservanza di
una etica fissata nei dogmi di una religione,
può essere considerata, a rigor di logica, debole
e passiva,
se
non
è frutto di libera scelta volontaria e consapevole,
ma è indotta
o imposta dal
contesto religioso, culturale, sociale e politico in cui l'individuo
vive. Tutt'al più si può parlare di osservanza o obbedienza,
ma
non di una vera etica responsabile e adeguata per una umanità che
voglia vivere esprimendo tutte le proprie facoltà intellettive e
spirituali, in primo luogo senza rinunciare alla propria libertà di
pensiero.
Ancor
più relativa è la cosiddetta morale
cattolica,
che così come viene vissuta da tanta parte di fedeli ed
ecclesiastici, è di fatto una doppia
morale,
o la persistente vecchia morale del “mercato
delle indulgenze”
che
suscitò le ire di Lutero. Qualunque peccato, colpa o delitto, può
venire “perdonato
“ con
la recita di preghiere e “atti
di dolore”,
confessione, comunione, frequenza ai riti e pellegrinaggi, a un dato
santuario, meglio ancora se accompagnati da offerte alla Chiesa. E'
una morale sostanzialmente basata su un interessato “do
ut des”. Si chiedono grazie a
Dio in cambio di offerte e preghiere, più o meno come si faceva con
gli antichi rituali pagani e le offerte sacrificali praticati un po'
ovunque nel mondo in forme diverse. Il fedele che si comporta male
nella vita, ma accetta le regole dei culti fissate da una tradizione,
e si sottopone al giudizio di un confessore, può godere di una
assoluzione pronunciata “ in nome di Dio”.
Ma è veramente etico o morale tutto questo?
Il matrimonio cristiano è considerato sacramento indissolubile e il divorzio è proibito per un cattolico osservante. Ma poi la Chiesa stessa in molti casi ne sancisce l'annullamento attraverso il suo Tribunale della Sacra Rota. La Chiesa condanna ogni pratica che limiti le nascite o ogni forma di aborto e soppressione di embrione appena concepito, ma poi ha promosso o benedetto guerre, e mantenuto per due millenni la pena di morte nei propri ordinamenti. Si potrebbe continuare ancora con l'elencazione delle contraddizioni e degli esempi di relativismo etico nell'ambito della religione cristiana e in specifico di quella cattolica, soprattutto in Italia.
Ma il vero guaio non sta tanto in questo relativismo di fatto praticato anche dai credenti; il pericolo nasce quando si vogliono imporre i valori religiosi come valori assoluti, e quando non si tollera ombra di critica o di dubbio. Ritenendo di essere unici possessori della “verità” e unici interpreti della “volontà di Dio”, gli assolutisti non si fermano davanti a niente e credono di potersi permettere qualsiasi cosa; in primis di imporre agli altri, con qualsiasi mezzo, la propria “verità” e le proprie regole di vita.
A fronte dei danni che può provocare l'assolutismo etico-religioso, ben venga quindi il relativismo. Un relativismo che sia sinonimo di laicità, intesa come libertà per tutti, di credere o di non credere, di sottomettersi in parte o in tutto agli insegnamenti e alle regole di una religione, o di rifiutarle, secondo la propria coscienza, senza violare i diritti altrui e senza pretendere di imporle agli altri, meno che mai come leggi di uno Stato.
Perché solo le religioni devono essere considerate intoccabili e indiscutibili? Perché certi capi religiosi si possono permettere di porsi al di sopra di tutti, arrogandosi il diritto di parlare in nome di Dio pur essendo comuni mortali come noi, con pregi e limiti come tutti? Non è giunto il tempo in cui si possa essere liberi di credere e di pregare secondo le proprie convinzioni, senza subire anatemi o condanne sociali (quando non anche penali in certi Stati)? Non è ancora giunto il tempo in cui non possa più essere consentito parlare "in nome di Dio", perché a nessuno dovrebbe essere consentita tale presunzione, basata su interpretazioni discutibili di testi arcaici, scritti da uomini di millenni fa? A quando una religione che sia solo fonte di speranza e carità, solidarietà e amore del prossimo e non fonte di potere politico?
Solo un approccio relativistico e non dogmatico o totalitario alle religioni ci può salvare dalle “guerre di religione”, e farci convivere pacificamente, ognuno con le sue credenze o scetticismi, nel rispetto reciproco (*)
(*) Estratto dal testo di Magda Barbieri "Non nominare il nome di Dio invano". Agosto 2009
http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/451514/Non%20nominare%20il%20nome%20di%20Dio%20invano#!
* La foto in alto raffigura Albert Einstein nel 1947; ripresa da Wikipedia, nella pagina dedicata alla sua biografia
** In basso, una raccolta di simboli religiosi che vuol auspicare una convivenza pacifica tra le religioni. Auspicio purtroppo finora smentito da una tragica realtà , passata e presente, di conflitti e abusi compiuti in nome di una religione
Scritto in Storia delle religioniinvia ad un amico | letto 6781 volte
Inserito da redazione il Dom, 2012-02-19 17:14