Domenica 12 e lunedì 13 giugno, gli italiani sono chiamati a votare per 4 referendum su quesiti che, oltre che per gli aspetti politici, sono importanti per gli aspetti che riguardano il futuro dell'ambiente in cui viviamo e per l'uso delle risorse naturali e tecnologiche presenti e future. Per contribuire all'informazione in proposito, riportiamo qui gli elementi essenziali dei quesiti e le ragioni per votare "sì" o "no", desunte in gran in parte da un servizio de "Il Corriere della sera", on line del 7 giugno 2011.
- SCHEDA DI COLORE ROSSO
Privatizzazione dei servizi di fornitura dell’acqua
Il primo referendum sull’acqua si
intitola: «Modalità di affidamento e gestione dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica».
Il
quesito, molto complesso
nella formulazione, mira ad abrogare l’art. 23 bis del decreto
legge 25 giugno 2008 n.112 «Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria»,
a più riprese modificato da provvedimenti del 2009
Le ragioni del «sì»
Vota «sì» chi è contrario
alla privatizzazione dei servizi di fornitura dell’acqua, la cui
gestione è messa nelle mani dei privati dalla legge Ronchi (della
quale si chiede l’abrogazione). Il primo quesito riguarda i
servizi pubblici di rilevanza economica. Il provvedimento stabilisce
come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico
l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento
a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle
quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il
40%. Le società a totale capitale pubblico cesseranno
improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno
continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste,
con capitale privato al 40%. Abrogare questa norma —secondo il
comitato promotore — significa contrastare l’accelerazione sulle
privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al
mercato dei servizi idrici. E' vero che la gestione pubblica dei
servizi non è di per sè garanzia di certezza di una buona gestione, ma è
comunque soggetta a meccanismi di controllo pubblico democratico da
parte dei cittadini e dei loro rappresentanti, tale da consentire una
correzione di rotta quando necessaria. La gestione privata non può che
essere soggetta solo alle ragioni del mercato e alle esigenze di
profitto per chi deve fare onerosi investimenti.L'acqua non può essere considerata una "merce" qualsiasi.
Le ragioni del «no»
Chi si orienta per il no sottolinea che
non è vero che l’acqua viene «privatizzata»: l’acqua era e
resta un bene pubblico, cambia solo la gestione del servizio.
Gli argomenti portati a favore di questa tesi sono i seguenti: ogni
anno il dissesto del comparto idrico costa agli italiani 2 miliardi
di euro e molte persone non sanno che oggi l’acqua ha prezzi
enormemente diversi da una città all’altra e da una parte
all’altra del Paese. L’entrata in campo dei privati - è il
ragionamento- servirà per rendere efficiente e migliorare il
servizio
Che cosa succederà se vincono i
«sì»: Si potrà riaffidare la
gestione del servizio agli enti pubblici, senza l'obbligo di cessione della gestione a fine 2011
Che cosa succederà se vincono i "no»: Si procederà alla privatizzazione della
gestione dell'acqua, con le possibili conseguenze che le esigenze di mercato e di fare profitto comportano
- SCHEDA DI COLORE GIALLO
Privatizzazione dei servizi di fornitura dell’acqua
Determinazione delle tariffe del
servizio idrico
L’altro
referendum sull’acqua s’intitola: «Determinazione
della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata
remunerazione del capitale investito».
Questo
il quesito: «Volete
voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del
servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3
aprile 2006 "Norme in materia ambientale", limitatamente
alla seguente parte: "dell’adeguatezza della remunerazione del
capitale investito"?»
Le ragioni del «sì»
Il quesito riguarda
l’abrogazione dell’articolo 154 del decreto legislativo n.
152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella
parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è
determinata tenendo conto dell’«adeguatezza della remunerazione
del capitale investito». «La parte di normativa che si
chiede di abrogare— afferma il comitato promotore— è quella
che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla
tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione
del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica
di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio».
Dunque, conclude chi è favorevole al «sì»: «Abrogando questa
parte dell’articolo sulla norma tariffaria si elimina il "cavallo
di Troia" che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei
servizi idrici: si impedisce di fare profitti sull’acqua»
Le ragioni del «no»
Senza
remunerazione dei capitali, dice chi non vuole l’abrogazione, non
ci sarà interesse per i privati a gestire il servizio, che rimarrà
inefficiente com’era finora, con acquedotti-colabrodo e mancanza
d’acqua in certe zone e periodi dell’anno. Molti scandali (come
quello dell’acquedotto pugliese) hanno riguardato in passato la
gestione delle risorse idriche: è necessario cambiare e smantellare
i «carrozzoni politici» che hanno fatto di servizi pubblici
essenziali il loro appannaggio esclusivo
Che
cosa succederà se vincono i «sì» Le nuove norme vengono abrogate e si ritorna alle precedenti
Che
cosa succederà se vincono i «no» Si creeranno condizioni
che potrebbero rendere più appetibile per i privati l’ingresso in
questo settore, senza però alcuna garanzia per il miglioramento del servizio e il contenimento delle tariffe
- SCHEDA GRIGIA Nucleare
Il titolo del referendum sul nucleare, riformulato dalla Corte di Cassazione alla luce delle norme introdotte con il decreto Omnibus, sarà: «Abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare». Il testo del quesito dice: «Volete che siano abrogati i commi 1 e 8 dell’articolo 5 del dl 31/03/2011 n.34 convertito con modificazioni dalla legge 26/05/2011 n.75?»
Le ragioni del «sì»
Si vota «sì» per impedire che
possano essere progettate, localizzate e realizzate in futuro nuove
centrali nucleari sul territorio italiano.
Il piano italiano prevede attualmente 8 nuovi reattori
in quattro nuove centrali.
Tra le ragioni di chi lo critica ci sono gli alti costi e soprattutto
le insufficienti garanzie di sicurezza della tecnologia in relazione
al funzionamento delle centrali stesse, anche in considerazione della
forte sismicità del territorio italiano. Da rilevare i danni estesissimi e irreversibili che le radiazioni diffuse in caso di incidenti, possono arrecare agli uomini e all'ambiente naturale, per decenni. Inoltre, ancora non è stato trovato il modo sicuro per smaltire le scorie radioattive, che restano "attive" per secoli Gli elevatissimi
finanziamenti necessari, potrebbero invece essere utilizzati per
realizzare un piano energetico alternativo basato sulle energie
rinnovabili, come hanno già deciso di fare Germania e Svizzera, che
dopo l’incidente alla centrale giapponese di Fukushima hanno
rinunciato per sempre al nucleare
Le ragioni del «no»
Vota no chi vuole
mantenere l’attuale legge e quindi avere nuove centrali nucleari.
Visto che siamo circondati da centrali nucleari degli altri Paesi
confinanti, in particolare la Francia, ed importiamo —proprio dalla
Francia— energia ad alto costo. Vota no chi ritiene che le centrali
di nuova generazione siano più sicure di quella che ha subito
l’incidente in Giappone. Ma anche chi non si reca a votare può
fare una scelta che —abbassando il quorum necessario perché il
referendum sia valido —può alla fine avallare la decisione di
costruire nuove centrali nucleari
Che
cosa succederà se vincono i «sì» Il
governo italiano (non solo l’attuale governo Berlusconi) non potrà
inserire nel proprio piano energetico nazionale nuove centrali
nucleari
Che
cosa succederà se vincono i
«no»
.Resterà in
vigore la legge anche se sospesa per 2 anni per effetto
della moratoria decretata recentemente.
- SCHEDA VERDE Legittimo impedimento
Il referendum si intitola: «Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale».
Il quesito dice: «Volete voi che siano abrogati l’articolo 1, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonché l’articolo 2, della legge 7 aprile 2010, n. 51, recante "Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza"?»
Le ragioni del «sì»
Voterà «sì» chi
ritiene che il presidente del Consiglio o i ministri, siano essi
parlamentari oppure no, non debbano poter anteporre, per non presentarsi alle udienze dei processi che li riguardano, la scusante dell’esercizio
delle loro funzioni di governo, compresi "gli atti preparatori e conseguenti", definizione aleatoria che si presta a diverse interpretazioni ed amplia la casistica giustificabile come "impedimento". Si vuole invece l'adeguamento alle disposizioni in vigore per tutti i cittadin, in
base al principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della
Costituzione. Si vuole inoltre dare un segnale di contrarietà a questo che è solo l'ultimo dei reiterati tentativi di leggi ad personam mirati a consentire all'attuale presidente del Consiglio di evitare i processi che lo vedono imputato
Le ragioni del «no»
Voterà «no» chi
pensa che la legge nella forma attuale, parzialmente riscritta dalla
Corte costituzionale nella sua sentenza del gennaio scorso (che
assegna al giudice il compito di valutare di volta in volta se
un’assenza in udienza è giustificata), abbia passato il vaglio di
legittimità, operi un bilanciamento tra le esigenze di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e quelle della
governabilità, quindi non sia uno «scudo penale» o addirittura
un’immunità. Il presidente del Consiglio e i
ministri- secondo i fautori del no e dell'astensione - hanno diritto ad una forma tipica di «impedimento» in
relazione alla funzione, una tutela ulteriore rispetto a quella che
in base al codice hanno tutti i cittadini.
Che
cosa succederà se vincono i «sì»
Si torna alla disciplina precedente, cioè il presidente
del Consiglio, per non andare in udienza, non potrà far valere i suoi impegni istituzionali nella formulazione prevista dalle nuove norme.
Che
cosa succederà se vincono i «no»
Il legittimo impedimento per premier e ministri resta in
piedi, pur con tutti i paletti imposti dalla Corte costituzionale e con il
richiamo alla necessità di una «leale collaborazione» tra
esponenti di governo e giudici (che però è una raccomandazione non un obbligo, ndr).
Scritto in Economia e Societàinvia ad un amico | letto 1748 volte
Inserito da redazione il Gio, 2011-06-09 05:08