Perché
nelle nostre campagne si trovano ancora tanti maceri, apparentemente
inutilizzati o inutili? Perché
il nostro Gruppo di Studi della Pianura del Reno ha deciso di dedicar
loro una serie di foto da conservare e mettere in mostra?
Perché i maceri sono un elemento caratteristico del paesaggio rurale
della pianura emiliana, bolognese e ferrarese in particolare, che ha
avuto una grandissima importanza nella storia della coltivazione
della canapa per secoli e fino alla metà del 1900; e perché ancora
oggi, se ben conservati, possono svolgere una funzione di
riequilibrio ecologico , favorendo la conservazione di habitat
naturali e di specie di flora e fauna selvatica tipici e originari
della nostra pianura e delle zone umide.
Storia e natura si sposano quindi in questi piccoli laghetti
artificiali sparsi e nascosti in mezzo ai campi, piccole oasi
spesso circondate da vegetazione spontanea, che spezzano
l'uniformità di un paesaggio rurale ormai prevalentemente piatto e
assoggettato alle esigenze di una agricoltura che richiede la massima
produttività e l'utilizzo di ogni metro di terra.
Per incentivare i proprietari e i conduttori dei fondi rustici al
restauro e al mantenimento dei maceri ancora esistenti nei loro
terreni, sono state emanate disposizioni e contributi economici
nell'ambito della Legge Regionale n. 8 del 1994 (con modifiche del
2000), che a sua volta recepiva le indicazione di un regolamento CEE
del 1992 per la salvaguardia di habitat naturali .
Ma, al di là degli aspetti normativi, soffermarsi a guardare i
nostri maceri è un piccolo omaggio alla memoria del lavoro e delle
fatiche dei nostri padri e nonni, e ci offre l'occasione per
l'osservazione e la riflessione davanti ad uno spazio naturale che si
restringe sempre più.
Le
foto sono state scattate dal socio consigliere Franco
Ardizzoni ,
che ha svolto nei mesi scorsi un paziente lavoro di ricerca e
individuazione dei maceri tuttora presenti in vari comuni del
bolognese, da Galliera ad Argelato, S. Giorgio di Piano, Castello d'Argile e altri comuni limitrofi che presentano le stesse caratteristiche ambientali e si portano dietro la stessa storia.
P.S. La mostra, già allestita a Galliera in agosto e poi a Baricella dal 19 al 26 ottobre 2008, é ora al MAF di S. Bartolomeo in Bosco (FE) . E' disponibile gratuitamente per altre sedi di Comuni e associazioni che la richiedano.
* Seguono note di Franco Ardizzoni a corredo della mostra:
I MACERI
Fino a 50-60 anni fa era ancora molto
diffusa, nelle nostre campagne, la coltivazione della
canapa (Cannabis sativa), usata per fabbricare corde,
tessuti, stuoie, ecc. Particolarmente nel mese di agosto il
calore estivo era accompagnato da un odore acuto che
emanava da vasche rettangolari , poco profonde,
scavate nel terreno e piene d’acqua – i maceri – in
cui venivano immerse le bacchette della canapa per dar modo a
speciali microrganismi di scomporre, con un
processo di fermentazione, le sostanze “collanti”
che tengono unite le fibre di canapa al loro supporto
legnoso.
I SALICI
Molti maceri avevano sulle rive,
generalmente sui lati che non venivano utilizzati per accedervi
, delle piante di salici (Salix viminalis), alberi che amano i
terreni umidi e freschi, i cui rami più lunghi (detti vimini)
venivano utilizzati per realizzare cesti, stuoie, oggetti
vari. Invece i rami più corti e sottili (detti vinchi) erano impiegati
per legare le viti. Con l’avvento della plastica la
funzione del salice ha perduto la sua secolare importanza.
LA LAVATURA DELLA CANAPA
Una delle fasi più faticose nella
lavorazione della canapa, forse la peggiore, era quella che
riguardava la lavatura nel macero. Le persone (soprattutto uomini, ma
anche donne) erano immerse fino alla cintola in un’acqua
sporca e maleodorante. Dovevano aprire i grossi fasci che
avevano formato la zattera, appesantiti dall’acqua, ed estrarre
le mannelle di cui erano costituiti i fasci stessi, e lavarle
sbattendole ripetutamente nell’acqua, quindi le dovevano
lanciare sulla riva del macero dove altre persone le raccoglievano
caricandole sul carro che le avrebbe trasportate nell’aia
della casa colonica. Qui venivano aperte a ventaglio, a
capannina, affinché si asciugassero completamente all’aria
ed al sole per poter poi essere pronte per la fase successiva
della lavorazione.
SASSI DI FIUMESulle sponde dei maceri vi erano
piccoli cumuli di sassi di fiume, del peso di circa 5-6 kg.
ciascuno, che servivano per appesantire le zattere
di canapa in modo che affondassero nel macero .I sassi erano stati prelevati dal letto
dei fiumi ai piedi delle colline (per il Reno nella zona
di Calderara), e trasportati dai barrocciai con i loro
carri trainati da un cavallo.Per affondare le zattere i sassi
venivano prelevati dai cumuli, da file di persone (circa 5-6
persone ed anche di più) che se li passavano l’un
l’altra fino ad arrivare a quella che li disponeva sulla zattera.
L’operazione, all’apparenza semplice, diventava un
po’ pericolosa quando i sassi venivano tolti dalle
zattere bagnate per cui facilmente potevano sfuggire dalle
mani finendo, a volte, sui piedi nudi di qualche
persona.
* Le foto a colori sono di Franco Ardizzoni e si riferiscono a maceri di Argelato e di Galliera
** La foto in bianco e nero è stata scattata a Venezzano nel 1985 nel corso di una ricostruzione del ciclo di lavorazione per il volume "Rappresentazioni fotografiche del lavoro agricolo" pubblicato a cura del Centro etnografico del Comune di Ferrara
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Inserito da redazione il Lun, 2008-10-13 07:35